woody62
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sabato 28 gennaio 2023
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il primo film sulla ritirata di russia nel 1943
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All'odissea dei militari italiani durante la tragica ritirata di Russia nel 1943 è dedicato il primo lungometraggio di Alessandro Garilli (premiato a Venezia nel 2018 per il corto “Io sono Rosa Parks”), che è anche il primo film su una vicenda oggetto fino ad ora solo di documentari. Lo spunto è fornito dal libro “Ritorno” di Nelson Cenci uno dei reduci sopra vissuti che ha raccontato quelle vicende (come Bedeschi in “Centomila gavette di ghiaccio” o Rigoni Stern nel “Sergente nella neve”). Protagonisti della storia sei militari ed un mulo, ultimi superstiti della compagnia 604 che devono a tutti i costi cercare di rompere l'accerchiamento dell'esercito russo per avere una speranza di tornare a casa.
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All'odissea dei militari italiani durante la tragica ritirata di Russia nel 1943 è dedicato il primo lungometraggio di Alessandro Garilli (premiato a Venezia nel 2018 per il corto “Io sono Rosa Parks”), che è anche il primo film su una vicenda oggetto fino ad ora solo di documentari. Lo spunto è fornito dal libro “Ritorno” di Nelson Cenci uno dei reduci sopra vissuti che ha raccontato quelle vicende (come Bedeschi in “Centomila gavette di ghiaccio” o Rigoni Stern nel “Sergente nella neve”). Protagonisti della storia sei militari ed un mulo, ultimi superstiti della compagnia 604 che devono a tutti i costi cercare di rompere l'accerchiamento dell'esercito russo per avere una speranza di tornare a casa. La marcia infinita nel ghiaccio e nella neve, con temperature oltre i trenta gradi sotto zero, con la continua minaccia di attacchi del nemico, diventa una sfida estenuante contro la morte, con le ultime forze residue che solo il ricordo dei propri cari è in grado di stimolare. Garilli rappresenta questa dimensione onirica, fatta di flash back, di immagini fantastiche che si mischiano alla cruda realtà della guerra. La forza del cameratismo, del legame fortissimo tra i commilitoni che devono contare sulla fiducia reciproca per sopravvivere, viene resa con efficacia e talvolta anche con leggerezza, in una narrazione semplice e con un cast affiatato e credibile. Bella la colonna sonora che solo in un caso si affida ad un canto della tradizione alpina della SAT. “Indormenzete pupin” è la ninna nanna trentina di Arturo Benedetti Michelangeli, che accompagna il sonno dei soldati stremati, in un ritorno all'incoscienza dei bambini che per molti fu l'ultima consolazione prima di abbandonarsi alla morte nel gelo della steppa. Il film si chiude con ilo ritorno dei pochi superstiti dalle proprie famiglie, ma alla stazione la moglie del sergente Bisi attende inutilmente che lui scenda dal treno. Uno dei tanti caduti nella ritirata di Russia.
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foglia gianluca
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sabato 28 gennaio 2023
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un'opera prima col talento di
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Saper sentire il dolore dell'altro, vestirne i panni e avere il coraggio di restituire questo dolore al pubblico, sapendo che il pubblico è libero di scegliere se condividere questa passione o rinunciare e pensare che LA SECONDA VIA sia solo un film. Alessandro Garilli, regista e sceneggiatore, in questi anni ha attraversato la "sua interminabile neve", quella della necessità di dare voce a un'umanità dispersa e sepolta nel freddo. LA SECONDA VIA è la memoria ritrovata degli oltre centomila dispersi nella Campagna di Russia, è una carezza che giunge finalmente dopo 80 anni alle madri, alle spose e alle fidanzate di chi non è tornato, ma anche di chi (pochissimi) ha rivisto casa per non guarire più dalla sopravvivenza di quell'esperienza.
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Saper sentire il dolore dell'altro, vestirne i panni e avere il coraggio di restituire questo dolore al pubblico, sapendo che il pubblico è libero di scegliere se condividere questa passione o rinunciare e pensare che LA SECONDA VIA sia solo un film. Alessandro Garilli, regista e sceneggiatore, in questi anni ha attraversato la "sua interminabile neve", quella della necessità di dare voce a un'umanità dispersa e sepolta nel freddo. LA SECONDA VIA è la memoria ritrovata degli oltre centomila dispersi nella Campagna di Russia, è una carezza che giunge finalmente dopo 80 anni alle madri, alle spose e alle fidanzate di chi non è tornato, ma anche di chi (pochissimi) ha rivisto casa per non guarire più dalla sopravvivenza di quell'esperienza. "Questo film è senz'altro un fazzoletto troppo piccolo per asciugare le tante lacrime" dice Garilli, ma ora esiste e finalmente. Occorre coraggio nel raccontare il silenzio e l'interminabile attraversata nella neve a 40 gradi sottozero di questi giovani gettati a morire, perchè l'istinto di chi guarda è voltarsi altrove e perseguire l'alibi di chi non vuol sapere. Alla prima del Cinema Adriano di Roma, il 26 gennaio, la commozione generale degli attori ha rivelato come Garilli abbia saputo proteggere e condurre questa squadra oltre la recitazione: la consapevolezza di essere nuovi testimoni e ambasciatori di pace. Il loro talento emerge anche in questo. Nell'eccellente fotografia di Claudio Zamarion, i volti dei protagonisti sono incisi con la tridimensionalità di un vissuto che lo spettatore può sentire fino a patire il freddo e tentare di immaginare cosa sia il dolore. Infine la musica, nella colonna sonora di Elisabetta Garilli e Francesco Menini: emozionanti la capacità di dettaglio e la ricerca di questi due autori, dotati della sensibilità rara di soffrire con il racconto e il rispetto verso chi è raccontato. La musica a tratti è un'ostinazione all'inesauribile fatica cui gli Alpini sono sottoposti, a tratti è quel vento che a meno 40° graffia la pelle fino a ustionarla, infine è tregua senza scampo che asciuga quel "fazzoletto troppo piccolo". Mentre le immagini scorrono, lenite a tratti dai ricordi dei giovani Alpini in fuga dalla morte, lo stillicidio delle note penetra lo spettatore e incide anche il granito dell'indifferenza. Garilli e Menini, straordinario lavoro di sensibilità professionale. LA SECONDA VIA è un'opera prima, ma così riuscita che già precede l'attesa della prossima.
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marionuzzo
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domenica 29 gennaio 2023
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silenzio in sala, parlano le emozioni
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Conosco bene la lunga storia e le traversie che hanno caratterizzato la produzione di questo film. Nulla in confronto alle prove, fisiche e mentali, che devono affrontare i sei protagonisti ma comunque un percorso irto di difficoltà. Il risultato è clamoroso. Ogni momento di questo film è attraversato dalla sofferenza del racconto ma anche dall’amore che tutte le persone coinvolte in questa impresa hanno messo a disposizione della storia. Una storia, quella della ritirata delle armate italiana dalla Russia, che in parte conosciamo e in parte no e che il film non vuole narrarci perché non si tratta, come dice il regista, di “un film di guerra ma di un film di uomini nella guerra”.
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Conosco bene la lunga storia e le traversie che hanno caratterizzato la produzione di questo film. Nulla in confronto alle prove, fisiche e mentali, che devono affrontare i sei protagonisti ma comunque un percorso irto di difficoltà. Il risultato è clamoroso. Ogni momento di questo film è attraversato dalla sofferenza del racconto ma anche dall’amore che tutte le persone coinvolte in questa impresa hanno messo a disposizione della storia. Una storia, quella della ritirata delle armate italiana dalla Russia, che in parte conosciamo e in parte no e che il film non vuole narrarci perché non si tratta, come dice il regista, di “un film di guerra ma di un film di uomini nella guerra”. Ecco, ad un certo punto noi spettatori diventiamo quelle persone, quella lotta, quella perseveranza, quel desiderio incessabile di vita. Un emozionante inno alla vita attraverso storie, frammenti, pensieri che i protagonisti vivono nel drammatico presente in cui si trovano. Ho visto il film in una sala piena, silenziosa, emozionata ed attenta che si è unita un lungo applauso finale dopo le toccanti parole di Nelson Cenci che aprono i titoli di coda. Un film da almeno 4 stelle che diventano obbligatoriamente 5 per il coraggio e la determinazione nello scriverlo, produrlo e portarlo in sala in Italia oggi. Bravi tutti.
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