clara stroppiana
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sabato 13 maggio 2023
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le parole del silenzio
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È stato coraggioso Daniele Vicari a scegliere come protagonista del suo film, Orlando, un personaggio poco alla moda. Un contadino solitario, un "ultimo dei Mohicani" di un'Italia dove nei campi "dei padroni" oggi lavorano quasi soltanto immigrati. Un uomo che ha scelto di affidare alle parole solo l'indispensabile in un mondo sopraffatto dai rumori e dal chiacchiericcio inarrestabile dei social.
Poco incline al contatto fisico (scosta istintivamente il viso dalla "cinese" che gli porge una carezza), non disposto a lasciarsi andare alla gioia del gioco come faceva la moglie insieme al figlio bambino: risate che non ha mai compreso.
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È stato coraggioso Daniele Vicari a scegliere come protagonista del suo film, Orlando, un personaggio poco alla moda. Un contadino solitario, un "ultimo dei Mohicani" di un'Italia dove nei campi "dei padroni" oggi lavorano quasi soltanto immigrati. Un uomo che ha scelto di affidare alle parole solo l'indispensabile in un mondo sopraffatto dai rumori e dal chiacchiericcio inarrestabile dei social.
Poco incline al contatto fisico (scosta istintivamente il viso dalla "cinese" che gli porge una carezza), non disposto a lasciarsi andare alla gioia del gioco come faceva la moglie insieme al figlio bambino: risate che non ha mai compreso. Un uomo che conosce, e riconosce, come regole, soltanto quelle che hanno normato e chiuso il suo mondo. Un figlio deve seguire il solco tracciato dal padre: scelta imperdonabile quella di Valerio che ha lasciato il paese ed è emigrato.
Quando all'improvviso si ritrova catapultato dentro una realtà diversa, dove le regole sono altre, il silenzio di Orlando cambia registro. Grazie all'ottima interpretazione di Placido e alla mano sicura della regia lo spettatore tace e di quel silenzio ascolta le parole.
Ciò che Orlando trova "oltre il giardino" gli appare disordinato, confuso, grigio e fuori misura. Ostile. Abituato alle basse case del suo paese, gli audaci edifici della Bruxelles moderna, i ponti sospesi, sembrano una sfida alle leggi della gravità. Inaccettabile che il padrone di casa sia un "negro" e "che femmina è" una madre che ha rifiutato la figlia? Orlando cerca di riportare in quel disordine il "suo ordine" e comincia da ciò che conosce e sa fare: la pulizia e la zappettatura dello spazio esterno alla casa, lasciato in abbandono.
Intanto al silenzio del vecchio si contrappone la loquacità di Elisa, nipote dodicenne. Racconta, spiega, chiede, informa, pretende dal nonno, che le ignora, risposte alle sue domande. Elisa tiene testa a Orlando e l'esordiente Angelica Kazankova non sfigura davvero nel confronto con Placido. Due caratteri, due generazioni, due modi di stare al mondo si contrappongono inconciliabili. Se Orlando comunica con il silenzio, Elisa grida i suoi sentimenti, gioia, sofferenza, rabbia. Ha imparato dal padre a sognare, vede nell'edificio cadente un ristorante che verrà, forse mai, ma che già ha un nome. Le cose cominciano ad esistere se le evochiamo. Il contadino al contrario vive di concretezza. Viene da una dimensione arcaica. I soldi che ha portato con sé cuciti dentro la fodera della giacca, finiscono presto. La soluzione è la ricerca di un lavoro, immediato e qualunque, per pagare almeno l'affitto.
La vita è dura e Orlando la fronteggia con la resistenza di una roccia. Elisa con la spavalderia dell'adolescente. Sono due combattenti. Ciascuno ha trovato la propria strategia, ma quando le circostanze li obbligano al confronto gli equilibri saltano. Per accompagnarci verso il finale, la sceneggiatura ci indica, con misura, alcuni segnali di avvicinamento, di cedimento alla tenerezza. La coperta che Orlando stende sulla nipote addormentata. Quella mano alzata in segno di saluto a Elisa che pattina sul ghiaccio. La telefonata in Italia alla proprietaria del bar, in cui attraverso il silenzio, la lingua che meglio conosce, Orlando grida il suo strazio per la morte del figlio. Una scena di fortissimo impatto in cui la donna piange le lacrime che l'uomo non è riuscito a versare. Anche da parte di Elisa arrivano piccoli segnali come il caffè già preparato: "basta metterlo sul fuoco" scrive sul post-it. Il cappello che passa dalla testa del nonno addormentato alla sua in un gioco divertito.
Quando lo spettatore è quasi pronto per un finale lieto nonostante tutto, Vicari lo sorprende e fa precipitare la situazione. In una concitata sequenza finale Orlando in affanno rincorre Elisa che scappa in una sfida spericolata tra le automobili. La tensione si scioglie infine nell’abbraccio tra Orlando e la nipote che per la prima volta lo chiama “nonno”, lei che chiamava il padre “Valerio”: un reciproco riconoscimento dei ruoli, l’agnizione finale di un dramma contemporaneo.
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clara stroppiana
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sabato 13 maggio 2023
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le parole del silenzio
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È stato coraggioso Daniele Vicari a scegliere come protagonista del suo film, Orlando, un personaggio di certo poco alla moda. Un contadino "solitario", un "ultimo dei Mohicani" di un'Italia dove nei campi "dei padroni" oggi lavorano quasi soltanto immigrati al limite della schiavitù, qualche romantico giovane tenta la strada del biologico, e qualche condominio borghese si diverte con gli orti urbani.
Un uomo che ha scelto di affidare alle parole solo l'indispensabile in un mondo sopraffatto dai rumori e dal chiacchiericcio inarrestabile dei social.
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È stato coraggioso Daniele Vicari a scegliere come protagonista del suo film, Orlando, un personaggio di certo poco alla moda. Un contadino "solitario", un "ultimo dei Mohicani" di un'Italia dove nei campi "dei padroni" oggi lavorano quasi soltanto immigrati al limite della schiavitù, qualche romantico giovane tenta la strada del biologico, e qualche condominio borghese si diverte con gli orti urbani.
Un uomo che ha scelto di affidare alle parole solo l'indispensabile in un mondo sopraffatto dai rumori e dal chiacchiericcio inarrestabile dei social.
Poco incline al contatto fisico con l'altro (scosta istintivamente il viso dalla "cinese" che gli porge una carezza), non disposto a lasciarsi andare alla leggerezza come faceva la moglie insieme al figlio bambino: risate che non ha mai compreso.
Un uomo che conosce, e riconosce, come regole, soltanto quelle che hanno normato e chiuso il suo mondo. Un figlio deve seguire il solco tracciato dal padre, scelta imperdonabile quella di Valerio che ha lasciato il paese ed è emigrato.
Quando all'improvviso si ritrova catapultato dentro una realtà diversa, dove le regole sono altre, il silenzio di Orlando cambia registro.
Grazie all'ottima interpretazione di Placido e alla mano sicura della regia, dentro quel silenzio lo spettatore trova pensieri che lo accompagnano nella visione, intreccia un dialogo interiore con il protagonista e diventa parte attiva nella costruzione del personaggio. Ognuno con la propria sensibilità, ma tutti tacciono di fronte al silenzio e ne ascoltano le parole.
Ciò che Orlando trova "oltre il giardino" gli appare disordinato, confuso, grigio e fuori misura. Ostile. Abituato alle basse case del suo paese, gli audaci edifici della Bruxelles moderna, i ponti sospesi, sembrano una sfida alle leggi della gravità. Inaccettabile che il padrone di casa sia un "negro" e "che femmina è" una madre che ha rifiutato la figlia?
Orlando cerca di riportare in quel disordine il "suo ordine" e comincia da ciò che conosce e sa fare: la pulizia e la zappettatura dello spazio esterno alla casa, lasciato in abbandono.
Intanto al silenzio del vecchio si è contrapposta la loquacità di Elisa, nipote dodicenne. Racconta, spiega, chiede, informa, pretende dal nonno, che le ignora, risposte alle sue domande. Elisa tiene testa a Orlando e l'esordiente Angelica Kazankova non sfigura davvero nel confronto con Placido.
Due caratteri, due generazioni, due modi di stare al mondo si contrappongono inconciliabili. Orlando comunica con il silenzio, Elisa grida i suoi sentimenti, gioia, sofferenza, rabbia. Ha imparato dal padre a sognare, vede nell'edificio cadente un ristorante che verrà, forse mai, ma che già ha un nome. Le cose cominciano ad esistere se le evochiamo.
Orlando al contrario vive di concretezza. Viene da una dimensione arcaica. I soldi, forse i risparmi di una vita che ha portato con sé cuciti dentro la fodera della giacca, finiscono presto. La soluzione è la ricerca di un lavoro, immediato e qualunque, per pagare almeno l'affitto.
La vita è dura e Orlando la fronteggia con la resistenza di una roccia. Elisa con la spavalderia dell'adolescente.
Sono due combattenti. Ciascuno ha trovato la propria strategia per stare al mondo, ognuno nel proprio. Quando le circostanze li obbligano a metterli insieme lo scontro è inevitabile.
Per accompagnarci verso il finale, la sceneggiatura ci indica con sapiente misura alcuni segnali di avvicinamento, di cedimento alla tenerezza. La coperta che Orlando stende sulla nipote addormentata. Quelle poche parole, quel sorriso appena accennato, ma compiaciuto, quando scopre che Valerio ha insegnato ad Elisa un piatto che preparava la moglie. Quella mano alzata in segno di saluto alla nipote che pattina sul ghiaccio. La telefonata in Italia alla proprietaria del bar, in cui attraverso il silenzio, la lingua che meglio conosce, Orlando grida il suo strazio per la morte del figlio. Una scena di fortissimo impatto in cui la donna piange le lacrime che l'uomo non è riuscito a versare.
Anche da parte di Elisa arrivano piccoli gesti di avvicinamento come il caffè già preparato, "basta metterlo sul fuoco" scrive sul post it, il cappello che passa dalla testa del nonno addormentato alla sua in un gioco divertito.
Nonostante questo Orlando e la nipote continuano a tirare in direzioni opposte e la rottura appare inevitabile.
È un peccato che la conclusione tardi ad arrivare, che una sceneggiatura quasi perfetta si indebolisca per voler raccontare qualcosa di più senza aggiungere nulla. Dare meno spazio alle scene degli incontri con gli assistenti sociali ad esempio, eliminare la crisi di Elisa con relativo ricovero in ospedale... Una narrazione inutilmente protratta per 120 minuti quando ne sarebbero bastati 90 per portare la storia all'abbraccio tra Orlando e la nipote che per la prima volta lo chiama "nonno", lei che ha sempre chiamato il padre Valerio. Una sorta di reciproco riconoscimento dei ruoli, l'agnizione finale di un dramma contemporaneo.
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spione
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giovedì 30 marzo 2023
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due anime così lontane, così vicine.
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Daniele Vicari (autore di "Diaz", che non ho mai trovato il coraggio di guardare per via della rabbia che mi scatenerebbe, e del bellissimo "Sole cuore amore"), confeziona sapientemente la storia di un anziano contadino - magistralmente interpretato da Michele Placido - che dal paesello dell'Appennino laziale dove aveva passato l'intera esistenza ed in cui è un'impresa trovare qualcuno che parli il francese ("U sindaco!". "Ma no, u sindaco nun parla mancu l'italianu!", sentenziano gli avventori del bar) si ritrova catapultato all'improvviso a Bruxelles, la città più cosmopolita d'Europa, quando riceve la notizia della malattia del figlio emigrato lì molti anni prima.
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Daniele Vicari (autore di "Diaz", che non ho mai trovato il coraggio di guardare per via della rabbia che mi scatenerebbe, e del bellissimo "Sole cuore amore"), confeziona sapientemente la storia di un anziano contadino - magistralmente interpretato da Michele Placido - che dal paesello dell'Appennino laziale dove aveva passato l'intera esistenza ed in cui è un'impresa trovare qualcuno che parli il francese ("U sindaco!". "Ma no, u sindaco nun parla mancu l'italianu!", sentenziano gli avventori del bar) si ritrova catapultato all'improvviso a Bruxelles, la città più cosmopolita d'Europa, quando riceve la notizia della malattia del figlio emigrato lì molti anni prima. Purtroppo non riesce ad arrivare in tempo per vederlo ancora vivo, ma in compenso incontra la nipotina dodicenne che non sapeva di avere e da cui lo divide una distanza incolmabile, tanto che i quasi 70 anni che li separano sembrano 700: lui uomo del passato con i soldi cuciti all'interno della giacca, lei “millennial” proiettata nel futuro, multilingue e appassionata di pattinaggio sul ghiaccio. Benché non si trovino in sintonia neppure sul modo “giusto” di tagliare una cipolla, però, tra loro nasce e si sviluppa un rapporto di profondissimo affetto che costringe il ruvido e taciturno Orlando a confrontarsi con la sua atavica difficoltà a gestire ed esternare i sentimenti, espressi con la musica di un organetto quando la parola proprio non riesce a sgorgare spontanea.
Film molto bello, che dimostra una volta di più come un attore del calibro di Michele Placido, ingestibile per via del suo scellerato narcisismo se lasciato a briglia sciolta, possa regalare una prova più che convincente per intensità ed espressività quando sia diretto da un regista che sa il fatto suo. Intenerisce per altro l'ingenuità con la quale viene rappresentato il consolato italiano, luogo lindo, silenzioso e mai affollato dove si può essere ricevuti in qualsiasi momento da un'addetta in possesso di adeguate conoscenze linguistiche.
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astromelia
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mercoledì 29 marzo 2023
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la domanda sorge spontanea
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gran bel film,michele placido ineccepibile,sempre nella parte, ma la domanda sul finale resta aperta,imprevedibile il corso della storia,forse voluto per non perdere gli interrogativi che pervadono tutto il film,comunque finali aperti lasciano troppo scoperti punti nevralgici ai quali dare una risposta....anche dopo!
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sabato 3 dicembre 2022
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orlando
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Le recensioni di Zappoli mi stupiscono sempre, se sono di un fim che ho visto, condivido molte sfumature del suo sentire, l’occhio attento vede quello che io ho visto. Se non ho visto il film, la sua guida mi guida. Grazie Rita Michela
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