lizzy
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sabato 28 novembre 2020
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una storia stanca per un attrice svogliata.
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Ancora non mi capacito, a distanza di anni, come una Catherine Spaak non sia mai riuscita a trovare un ruolo ben definito nella cinematografia italiana (o, eventualmente, mondiale).
Eppure le premesse c'erano tutte: dopo una partenza a tutto gas con pellicole come "La voglia matta" (un capolavoro con uno dei migliori Tognazzi di sempre), "La parmigiana" (anche qui affiancata da un notevole Manfredi) e "La noia" (che, malgrado dica la critica, comunque è un bel film che ci fa riflettere su un certo tipo di borghesia "naufragata" non solo di quei tempi), e qualche commedia notevole e frizzante come "Adulterio all'Italiana" o "Certo, certissimo, anzi probabile" (Dove una stupefacente Claudia Cardinale le fa da perfetto contraltare), "Febbre da cavallo" e lo spassosissimo "Bruciati da cocente passione", la Spaak ha finito per.
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Ancora non mi capacito, a distanza di anni, come una Catherine Spaak non sia mai riuscita a trovare un ruolo ben definito nella cinematografia italiana (o, eventualmente, mondiale).
Eppure le premesse c'erano tutte: dopo una partenza a tutto gas con pellicole come "La voglia matta" (un capolavoro con uno dei migliori Tognazzi di sempre), "La parmigiana" (anche qui affiancata da un notevole Manfredi) e "La noia" (che, malgrado dica la critica, comunque è un bel film che ci fa riflettere su un certo tipo di borghesia "naufragata" non solo di quei tempi), e qualche commedia notevole e frizzante come "Adulterio all'Italiana" o "Certo, certissimo, anzi probabile" (Dove una stupefacente Claudia Cardinale le fa da perfetto contraltare), "Febbre da cavallo" e lo spassosissimo "Bruciati da cocente passione", la Spaak ha finito per...darsi alla macchia.
Filmetti discutibili, parti non all'altezza.
Addirittura Catherine si è prestata ad operazioni incredibilmente fasulle come "Joy - scherzi di gioia", opere che mai dovrebbero essere proposte al pubblico e dove una come lei mai dovrebbe recitare, manco se fosse finita alla fame (come la povera Biagini).
Eppure se guardiamo la filmografia della Spaak non troviamo più nulla di veramente decente ormai dai tempi del "Ragionier Arturo De Fanti" (dove ella comunque recita una parte marginale): in pratica la Spaak, come "attrice", si ferma agli anni 70.
Ma siamo pure nel 2020 e questo cercare di riproporsi in un film del genere (dopo la caduta di stile da censura della partecipazione a "L'isola dei famosi") sarebbe potuto anche starci se le cose fossero state dirette e pensate diversamente.
La trama poteva anche essere intrigante: una anziana giudice in vena di perdere la sua personalità a causa dell' Alzheimer, negli ultimi sprazzi di lucidità a lei concessi dalla malattia vorrebbe rivedere le cose del suo passato andando a trovare una vecchia terrorista ormai bastonata dalla vita.
Qui parrebbe starci tutta la "Sindrome di Stoccolma" (che la Spaak abbia avuto nel passato anche una relazione lesbica con l'aguzzina?) visti i particolari rapporti di odio/amore fra le due.
E che c'entra l'uomo, chiaramente bipolare, con la terrorista/santona? Perchè si appassiona dell'anziano magistrato, oltre che decrepito fisicamente ormai anche visibilmente disturbato psichicamente (certi dialoghi sono impietosi...).
Amore fra i due certo non è, rispetto credo neanche...forse due solitudini che cercano di sostenersi disperatamente a vicenda?
Poco credibile, come poco credibile è l'ambientazione (in pratica il bar starebbe aperto solo per le due tardone)...
Altrettanto poco credibile è la recitazione della pur brava Signoris, anche lei sempre più relegata a parti non adatte che non le danno giustizia.
E ancora poco credibile è il comportamento del marito, da una parte disegnato come persona superficiale e strafottente, dall'altra come attento e amorevole coniuge (dove starebbe la verità e la coerenza della sceneggiatura?).
La banale fine (attenzione, spoiler) non poteva che esser questa: un velo pietoso su tutto e la cancellazione della memoria e del vissuto a dare una ripulita alla questione, come un getto di candeggina su un pavimento sporco ed infettato da pericolosi batteri (i sentimenti e le sensazioni che legavano la Spaak/Giudice al passato).
Conclude il tutto un girato veramente essenziale e delle inquadrature banali che non soddisfano nemmeno l'occhio dello spettatore.
Peccato.
Più che altro per Catherine: si meriterebbe una pellicola veramente decente e una conclusione di carriera col botto... così come era iniziata.
P.S. In effetti pare che oltre la Signoris anche la Spaak reciti "tanto per". Sembrano compitini da svolgere a casa assegnati ad un ragazzino delle elementari più che parti di un dramma psicologico ed umano consumato alla fine dell'esistenza di una persona.
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rurk78
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domenica 6 settembre 2020
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un nuovo vero autore
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Una maturità veramente rara per un regista così giovane (standard cinematografici italiani) rispetto all'interessante opera prima, la regia migliora molto: non esiste un'inquadratura banale e questo modo di lavorare si riflette anche in molti altri aspetti come fotografia, scelta dei colori, location. Scrittura chirurgica e coraggiosa, la profondità dei temi che si vuole affrontare è insidiosa, sono storie di solitudine e grande umanità, il mondo che circonda i personaggi appare sempre un po' sterile/cinico come in gran parte del cinema italiano, ma in questa rappresentazione cinica e struggente della vita il regista riesce sempre a dare spessore e umanità ai personaggi, si sente che li ama e sopratutto riesce a fare un discorso ed un'analisi molto complessa ed originale dei sentimenti ed in modo particolare dell'amore.
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Una maturità veramente rara per un regista così giovane (standard cinematografici italiani) rispetto all'interessante opera prima, la regia migliora molto: non esiste un'inquadratura banale e questo modo di lavorare si riflette anche in molti altri aspetti come fotografia, scelta dei colori, location. Scrittura chirurgica e coraggiosa, la profondità dei temi che si vuole affrontare è insidiosa, sono storie di solitudine e grande umanità, il mondo che circonda i personaggi appare sempre un po' sterile/cinico come in gran parte del cinema italiano, ma in questa rappresentazione cinica e struggente della vita il regista riesce sempre a dare spessore e umanità ai personaggi, si sente che li ama e sopratutto riesce a fare un discorso ed un'analisi molto complessa ed originale dei sentimenti ed in modo particolare dell'amore. Come anche nel film precedente l'amore è un'emozione primordiale che riesce a nascere anche nella desolazione, nella solitudine e nella mancanza di empatia. Ma l'amore diventa anche un sentimento ambiguo, mai salvifico, perennemente in ostaggio dell'egoismo delle persone stesse, della loro solitudine ed incapacità di provare vera empatia per l'altro. Un sentimento sfuggevole in perenne bilico tra razionalità e emotività, che sono due aspetti molto generici di come si ama una persona e che vengono perfettamente sublimati dall'intelligente scelta patologica per i due protagonisti: uno bipolare che si arrovella nelle proprie emozioni e l'altra che sia per indole che anche per la malattia (alzheimer) tende a detonare tutto ciò che tormenta la vita come i rimpianti, i sensi di colpa, i rancori. L'amore è un sentimento flebile e nel film sembra essere raggiunto solo a tratti, per lo più attraverso l'amicizia, salvo poi perdersi nuovamente. La vacanza è un film sentimentale, un film stratificato, al netto di alcune debolezze di trama (si avverte ad esempio una certa sensazione di mancanza di elementi sul passato della protagonista) è un film talmente maturo e talmente italiano da ricordarmi più di altri i film di Antonio Pietrangeli.
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