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lunedì 26 novembre 2018
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d’accordo ma non sul giudizio finale
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Trovo tutto giusto , tuttavia mi mancano le motivazioni per quella mezza stella che, a mio modesto avviso, è un po’ stitica. Per me un quattro stelle pieno. (Mi è piaciuto ancora più di Welcome).
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angeloumana
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mercoledì 21 novembre 2018
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pezzi anonimi
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Il problema dell'immigrazione visto dallo sguardo privato di una donna bianca, tedesca, benestante, capace nel suo ruolo di medico, 40enne e libera, padrona di sé e della attrezzatissima barca a vela da 12 mt. con cui sola vuole raggiungere l'isola atlantica di Asunciòn a 1600 km. dalla costa africana, in cerca di natura, quasi un paradiso terrestre incontaminato, una vacanza tutta sua.
Nel film dominano le magnifiche immagini del mare a perdita d'occhio, il daffare di Rieke (Susanne Wolff) sulla barca, il governo di essa in una tempesta, le rade comunicazioni con altre imbarcazioni in quello spazio acqueo, la solitudine e la libertà che ha ricercato.
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Il problema dell'immigrazione visto dallo sguardo privato di una donna bianca, tedesca, benestante, capace nel suo ruolo di medico, 40enne e libera, padrona di sé e della attrezzatissima barca a vela da 12 mt. con cui sola vuole raggiungere l'isola atlantica di Asunciòn a 1600 km. dalla costa africana, in cerca di natura, quasi un paradiso terrestre incontaminato, una vacanza tutta sua.
Nel film dominano le magnifiche immagini del mare a perdita d'occhio, il daffare di Rieke (Susanne Wolff) sulla barca, il governo di essa in una tempesta, le rade comunicazioni con altre imbarcazioni in quello spazio acqueo, la solitudine e la libertà che ha ricercato. Il suo “incontro” è con un barcone immobile che vede in lontananza, scuro e come abbandonato, che non risponde ai suoi messaggi radio; da più vicino sente delle voci disperate, solo un'altra presenza umana vedremo, un ragazzo ca. 14enne che a nuoto raggiunge la sua barca, è Kingsley (Gedion Wekesa Oduor), sfinito, ferito e in ipotermia. Lo accudisce, lo ristabilisce ma, e qui è il senso di tutto il film, nonostante la coscienza e il senso di responsabilità che le parlano, non può avvicinarsi al barcone, altri si butterebbero in mare per aggrapparsi alla piccola barca, e i quei 12 mt. non potrebbero ospitare che pochi altri. Il ragazzo vorrebbe che fosse soccorsa la sua sorellina rimasta là, ma lei non può:non ho risposte per te, non so cosa fare. Dev'essere la stessa osservazione che si sono fatti i deputati del parlamento europeo che hanno assegnato un premio a questo nuovissimo film, premiato alla Berlinale e altrove.
Uguale dubbio ci pone il regista Wolfgang Fischer, che fare, non abbiamo risposte. Rieke è sola e dall'immagine del barcone scuro, forse arenato, emana un'aria di morte e di abbandono, ci sono centinaia di persone. L'Europa, o il mondo c.d. sviluppato, sono piccoli per i milioni di persone che vorrebbero migrarci, perché di migrazioni planetarie si tratta. La fame e le guerre di altre parti del pianeta sono anche causa del nostro “star bene”, però … non sappiamo che fare. Riflessioni simili restano da questo film scarno di parole, asciutto ed essenziale, senza distrazioni rispetto al tema centrale.
I soccorsi che Rieke ha invocato via radio alla guardia costiera arriveranno solo dopo dieci ore, agli uomini dei soccorsi che finalmente arrivano al barcone non resta che la contabilità dei sacchi neri con cui raccolgono i cadaveri. Il pensiero và agli anonimi “pezzi”, die Stücke, dei forni crematori nel film Il figlio di Saul. Il “protocollo” prevede un'indagine, domande a cui essa, svuotata e dallo sguardo assente, non sa più rispondere.
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fabiofeli
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martedì 20 novembre 2018
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la via per il paradiso è sbarrata dell'inferno
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Styx di Wolfgang Fischer
Rieke (Susanne Wolff) è una dottoressa tedesca esperta di pronto soccorso che passa la sua vacanza in barca a vela. Va in solitaria su Asa Gray, un guscio di 12 metri a vela e motore, partendo da Gibilterra diretta verso l’isola Asuncion, situata nell’oceano Atlantico a nord di S. Elena: il fazzoletto di terra è un paradiso tropicale per un rimboschimento operato dalla Marina Britannica nella metà del 19mo secolo. Rieke sfoglia un libro con splendide immagini dell’isola e non si preoccupa più di tanto quando dalla radio di bordo il personale di un mercantile che l’ha avvistata, il Pulpca, le annuncia una tempesta in arrivo.
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Styx di Wolfgang Fischer
Rieke (Susanne Wolff) è una dottoressa tedesca esperta di pronto soccorso che passa la sua vacanza in barca a vela. Va in solitaria su Asa Gray, un guscio di 12 metri a vela e motore, partendo da Gibilterra diretta verso l’isola Asuncion, situata nell’oceano Atlantico a nord di S. Elena: il fazzoletto di terra è un paradiso tropicale per un rimboschimento operato dalla Marina Britannica nella metà del 19mo secolo. Rieke sfoglia un libro con splendide immagini dell’isola e non si preoccupa più di tanto quando dalla radio di bordo il personale di un mercantile che l’ha avvistata, il Pulpca, le annuncia una tempesta in arrivo. Il fortunale passa senza danni per la barca. Rieke continua il viaggio e avvista a poche centinaia di metri un battello in avaria, senza immaginare che la sua vita sta per cambiare. Getta un salvagente a un ragazzo che si è tuffato dal battello per nuotare verso di lei e lo tira a bordo: è un adolescente africano stremato, disidratato e in ipotermia, che presenta una grave ustione sulla schiena. Su un braccialetto c’è il nome, Wesley. Rieke lo cura e avverte via radio la Guardia Costiera della presenza del battello in avaria con persone che rischiano la vita: viene ammonita a non intervenire, perché i soccorsi – le si dice – arriveranno presto. E’ una bugia. Mentre attende i soccorsi, Wesley si rianima e cerca di convincere Rieke a dirigersi verso il battello dove c’è anche una sua sorella. Rieke, una dottoressa dedita a salvare vite, è in una grave incertezza: la legge del mare e la sua visione del mondo le imporrebbero di portare soccorso anche agli altri occupanti del battello, ma sarebbe un suicidio; Asa Gray non è in grado di accoglierli tutti. Va a vuoto anche il tentativo di Rieke di convincere via radio il comandante del Pulpca a intervenire e i soccorsi promessi non arrivano. E’ furiosa quando le giunge la risposta “non posso intervenire”. Urla nel microfono: “Non potete? VOI DOVETE!” …
Wolfgang Fischer costruisce una storia che senza mezzi termini mette a fuoco la tragedia dei migranti, un dramma che coinvolge tutti. Rieke non ha esitato a salvare il ragazzo ma è certa che pagherà le conseguenze del suo atto. Era un dovere morale ed etico: lo dettavano la “legge del mare”, il giuramento di Esculapio e soprattutto l’umana solidarietà. Antigone, nella tragedia di Sofocle, infrange la legge di Creonte e seppellisce il fratello Polinice: va incontro alla distruzione della sua vita. Il film presentato al Festival di Locarno ha uno stile asciutto, senza sbavature: con ellissi ed eclissi narrative, con quasi solo le parole dei messaggi via radio che nascondono fragorosi silenzi. Rieke è sgomenta, ma sa di aver tentato tutto e sa di aver fatto l’unica cosa giusta e possibile. Styx, parola tedesca, in italiano suona Stige, il fiume dell’odio che scorre nell’Ade. La via per il paradiso di Asuncion è sbarrata dalla Stige infernale. L’odio per i migranti va cancellato: è il dovere morale ed etico di rimanere umani. Da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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cardclau
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lunedì 19 novembre 2018
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la difficoltà della compassione
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Il film interessante di Wolfgang Fischer, Styx, Germania-Austria, con la brava Rieke (Susanne Wolff) ci permette un pieno di importanti riflessioni. Rieke è un medico capace e inossidabile, si occupa di medicina d’urgenza, una branca della medicina dove la scienza soverchia l’arte, sa dove e come mettere le mani, quasi sempre. Ovviamente ha bisogno di staccare anche lei, ogni tanto. Una valente velista, parte da sola per l’isola dell’Ascensione, una piccola isola dell’Oceano Atlantico meridionale, relata a Sant’Elena, sembra sia un paradiso della natura. Rieke, una donna matura, assai attraente, in solitaria. Probabilmente nella sua storia di maschi ne ha assaggiati diversi, ma forse ne sono usciti piuttosto insipidi e troppo invadenti.
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Il film interessante di Wolfgang Fischer, Styx, Germania-Austria, con la brava Rieke (Susanne Wolff) ci permette un pieno di importanti riflessioni. Rieke è un medico capace e inossidabile, si occupa di medicina d’urgenza, una branca della medicina dove la scienza soverchia l’arte, sa dove e come mettere le mani, quasi sempre. Ovviamente ha bisogno di staccare anche lei, ogni tanto. Una valente velista, parte da sola per l’isola dell’Ascensione, una piccola isola dell’Oceano Atlantico meridionale, relata a Sant’Elena, sembra sia un paradiso della natura. Rieke, una donna matura, assai attraente, in solitaria. Probabilmente nella sua storia di maschi ne ha assaggiati diversi, ma forse ne sono usciti piuttosto insipidi e troppo invadenti. Bisogna dire che noi italiani non possiamo non ammirare i tedeschi perché oltremodo organizzati, non c’è quasi nulla nel film che capiti a casaccio e che costringa ad “arrangiarsi”, arte in cui noi italiani siamo maestri. Rieke è attrezzata in modo strabiliante e affascinante, e ha una risposta pronta e adeguata a quasi tutto. Dove si inceppa questa mirabilia, e che ci fa giustamente scendere dalla perfezione tecnica all’imperfezione umana? Possiamo discuterne fino a domani, ma la prima considerazione, non banale, è la scelta di fare il medico: lo puoi avere fatto per “salvare” l’altro, un paradossale succedaneo dell’onnipotenza divina, con tutti i limiti connessi a questa fantasia, pronti a scatenarsi al primo cenno. Infatti non è così semplice, forse la scelta di fare il medico parte dal bisogno di prenderti cura di te, quindi l’altro, il paziente, il sofferente, ha una fondamentale e sorprendente effetto permissivo nel soddisfare il tuo bisogno. Deve permettere di farsi prendere in cura da te, altrimenti? Rieke lo scopre a sue spese dopo aver aver riportato, ovviamente senza averne richiesto e ottenuto l’autorizzazione, in naufrago Kingsley (Gedion Wekesa Oduor) nel mondo di qua. Non è più inerte e passivo, e non è più facile e immediato per Rieke gestirlo. La seconda considerazione si riferisce al dilemma, di non facile soluzione, se provare o non provare compassione di fronte alla sofferenza umana. Per una parte dell’umanità è più facile la seconda strada, il non provare, i vantaggi? Sei protetto dal riconoscere delle pericolose emozioni dentro di te che potrebbero coinvolgerti e destabilizzarti, in modo imprevedibile e spiacevole. Inoltre è auto soddisfacente poter pensare che le brutte cose possano capitare solo agli altri, “poareti”, e vuoi mettere il possibile godimento di vedere l’altro nella sofferenza, altro da te? Oggi a te, domani ancora a te! Lo svantaggio? La perdita dell’umanità che è in te. Rieke sceglie la prima strada, ma non comprende che l’onnipotenza è un mito. È soverchiata dal senso di colpa, e si rifugia comprensibilmente nella pazzia.
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