andrearicotta
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giovedì 15 marzo 2018
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un thriller italiano, culturalmente straniero.
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Stefano è un giovane psicoterapeuta (Alberto Mica) di trentatré anni, intelligente, ambizioso ma pure inesperto, seppure motivato da un’incrollabile fiducia nella pratica terapeutica. Dovrà presto confrontarsi con pazienti dalle problematicità uniche, che daranno vita ad un turbinio ben assortito di intrighi, psicologici e colpi di scena.
“Transfert” è un thriller psicologico, nella più precisa accezione del termine.
Ciò che stupisce di Transfert, sono le molteplici maniere in cui viene impiegato il contesto terapeutico all’interno del film. Le sedute vengono utilizzate per creare il “setting” della trama, per darci informazioni vitali sui personaggi, che a volte fungono da “indizi”, per spingere la trama su risvolti spesso geniali.
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Stefano è un giovane psicoterapeuta (Alberto Mica) di trentatré anni, intelligente, ambizioso ma pure inesperto, seppure motivato da un’incrollabile fiducia nella pratica terapeutica. Dovrà presto confrontarsi con pazienti dalle problematicità uniche, che daranno vita ad un turbinio ben assortito di intrighi, psicologici e colpi di scena.
“Transfert” è un thriller psicologico, nella più precisa accezione del termine.
Ciò che stupisce di Transfert, sono le molteplici maniere in cui viene impiegato il contesto terapeutico all’interno del film. Le sedute vengono utilizzate per creare il “setting” della trama, per darci informazioni vitali sui personaggi, che a volte fungono da “indizi”, per spingere la trama su risvolti spesso geniali. Merito di una sceneggiatura, diretta audacemente, di un cast di attori particolarmente convincenti (Alberto Mica, Clio Scira Sacca’, Paola Roccuzzo, Saro Pizzuto, Enrico Sortino, Luisa Ippodrino, Rossella Cardaci, Massimiliano Russo, Viviana Militello). Ben scritto e ben recitato ad esempio risulta esser il problematico rapporto fra le sorelle Chiara e Letizia, come quello fra il terapeuta e il suo supervisore.
Quando si guarda un thriller non lo si dovrebbe giudicare solo in base al colpo di scena finale, all'ultimo "svelamento", ma come il film ci conduce fino quale punto; "Transfert" lo fa sorpendentemente bene.
Guardando "Transfert" non si ha l’impressione di essere di fronte ad un film italiano, diretto da un regista italiano. Sembra essere un prodotto appartenete ad un'altra cultura, ad un altra grammatica, americana, straniera.
“Transfert” ha già fatto incetta di premi e riconoscimenti in festival nazionali ed internazionali, se avete avuto l’opportunità di vederlo non dovreste esserne sorpresi.
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martapalu
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venerdì 13 aprile 2018
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una scoperta interessante
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Ho avuto modo di vedere Transfert durante la prima catanese. Le aspettative erano alte e il regista e gli attori sono riusciti a non disattenderle.
Un film degno di questo nome, come pochi se ne vedono ultimamente al cinema.
La trama è quella del Thriller, ma psicologico appunto, perchè l'azione, a cui ci hanno abituato soprattutto gli americani, scompare per lasciare il posto ad un intrigante gioco di doppi.
Le musiche intense fin dall'inizio aiutano ad immergersi nel mondo oscuro della Catania narrata dal regista, una città che appare nuova vista attraverso i suoi occhi.
Gli attori hanno dimostrato una grande capacità di interpretazione, rimanendo sempre sul filo che separa il confine tra la verità e la finzione.
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Ho avuto modo di vedere Transfert durante la prima catanese. Le aspettative erano alte e il regista e gli attori sono riusciti a non disattenderle.
Un film degno di questo nome, come pochi se ne vedono ultimamente al cinema.
La trama è quella del Thriller, ma psicologico appunto, perchè l'azione, a cui ci hanno abituato soprattutto gli americani, scompare per lasciare il posto ad un intrigante gioco di doppi.
Le musiche intense fin dall'inizio aiutano ad immergersi nel mondo oscuro della Catania narrata dal regista, una città che appare nuova vista attraverso i suoi occhi.
Gli attori hanno dimostrato una grande capacità di interpretazione, rimanendo sempre sul filo che separa il confine tra la verità e la finzione.
Davvero un bel film, interessante e inaspettato che consiglio a chi vuole vedere qualcosa di nuovo.
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lunedì 4 giugno 2018
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ottimo debutto
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Finalmente, anche in Italia, si fanno dei film "nuovi", particolari, diversi dai classici stereotipi e con delle tematiche molto affascinanti, come quelli che affrontano aspetti della psicologia. Un'opera prima che merita il successo che sta riscuotendo. Ottima location, si ha la visione di una Catania moderna e misteriosa. Gli attori sono bravi,sono sempre in parte, un riconoscimento particolare alle sorelle e al protagonista. Avrei preferito qualche scena esterna in più ma credo che sia stata una scelta registica fatta di proposito. La perfezione non esiste ma in questo film potete trovare un ottimo prodotto. Ho trovato che il regista sia anche un bravo attore, quindi doppi complimenti.
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labruna
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martedì 17 aprile 2018
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film rivelazione!!!
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"Transfert" è un'opera prima davvero sorprendente. Sono stata piacevolmente colpita da questo film non solo per la trama, ricca di colpi di scena, ma anche perché Russo mostra capacità e maturità registiche notevoli. Di rado, perlomeno in Italia, si vedono opere così ben strutturate e articolate. La sobrietà della regia di Russo e al contempo le sua già evidenti cifre stilistiche dovrebbero essere d'esempio!!!
Ottimo il cast:Alberto Mica è stata una piacevole scoperta, così come le due attrici, Roccuzzo e Saccà, che interpretano le due sorelle. Davvero bravi!
Le critiche sul web sono molto positive: è importante che ad un'opera prima di questo tipo sia riconosciuta un'ampia indipendenza di linguaggio.
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"Transfert" è un'opera prima davvero sorprendente. Sono stata piacevolmente colpita da questo film non solo per la trama, ricca di colpi di scena, ma anche perché Russo mostra capacità e maturità registiche notevoli. Di rado, perlomeno in Italia, si vedono opere così ben strutturate e articolate. La sobrietà della regia di Russo e al contempo le sua già evidenti cifre stilistiche dovrebbero essere d'esempio!!!
Ottimo il cast:Alberto Mica è stata una piacevole scoperta, così come le due attrici, Roccuzzo e Saccà, che interpretano le due sorelle. Davvero bravi!
Le critiche sul web sono molto positive: è importante che ad un'opera prima di questo tipo sia riconosciuta un'ampia indipendenza di linguaggio.
"Transfert" è un film da vedere. Speriamo arrivi in molte sale italiane perché... merita! Ora sono curiosa di sapere che film farà Massimiliano Russo dopo questo ..
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mario
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mercoledì 22 agosto 2018
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da leggere nella sua complessità
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A seguito di una proiezione cinematografica introdotta dal regista Massimiliano Russo e dall'attrice Paola Roccuzzo, accolgo con piacere l'invito ad esprimere opinioni e pareri sul film "Transfert". Ho visto un film complesso, a tratti un po' lungo ed arzigogolato, nel quale non è difficile rintracciare una profonda riflessione sull'approccio errato, precoce e sragionato ai metodi psicanalitici. Ma, più di ciò, mi ha colpito la visione assolutamente umana della figura del terapeuta, in preda a situazioni che non riesce a gestire in quanto egli stesso personalità traviata. Questo aspetto mi ha commosso perché c'ho intravisto la povertà e la miseria umane, l'inevitabile fallimento dell'uomo dinanzi al proprio destino; leggo in "Transfert" un grande "sogno" (freudianamente parlando) e un conseguente ritorno, forzato, alla volontà di natura.
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A seguito di una proiezione cinematografica introdotta dal regista Massimiliano Russo e dall'attrice Paola Roccuzzo, accolgo con piacere l'invito ad esprimere opinioni e pareri sul film "Transfert". Ho visto un film complesso, a tratti un po' lungo ed arzigogolato, nel quale non è difficile rintracciare una profonda riflessione sull'approccio errato, precoce e sragionato ai metodi psicanalitici. Ma, più di ciò, mi ha colpito la visione assolutamente umana della figura del terapeuta, in preda a situazioni che non riesce a gestire in quanto egli stesso personalità traviata. Questo aspetto mi ha commosso perché c'ho intravisto la povertà e la miseria umane, l'inevitabile fallimento dell'uomo dinanzi al proprio destino; leggo in "Transfert" un grande "sogno" (freudianamente parlando) e un conseguente ritorno, forzato, alla volontà di natura. Questi aspetti sono più interessanti di qualsiasi colpo di scena (ve ne sono tanti e spiazzanti, forse, per gli amanti del thriller) piazzato lì per stupire ed intrigare lo spettatore, ma sempre e comunque giustificati da una più "universale" e, forse, convincente riflessione sulla natura umana. E' il sottotesto fra le righe che mi ha colpito di questo film, ciò che va oltre la narrazione. Bello il continuo ritorno del tema dello specchio, legato a quello del transfert, che offre agli amanti del genere piccoli "spoiler" ai fini interpretativi. Bravo Russo!
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carlo
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domenica 6 maggio 2018
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buon film ma non il finale
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Il film è buono e di discreta fattura, ma non parlerei di capolavoro, andiamoci piano...
Gli attori sono credibili e la sceneggiatura precisa e coinvolgente.
Anche come psicoterapeuta l'ho trovata adeguata e realistica, ma devo avvertire che nessun psicoterapeuta serio e formato prenderebbe in terapia contemporaneamente due sorelle che parlano l'una dell'altra, ma lasciamoglielo fare, esisgenze drammaturgiche.
Quello che non mi ha convinto, e devo raccontare non ha convinto nemmeno la platea di chi ha visto il film con me, un sabato sera a Torino, che si è messa a rumoreggiare sui titoli di coda, mentre molte persone non capivano il senso finale del film,
è il colpo di scena finale.
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Il film è buono e di discreta fattura, ma non parlerei di capolavoro, andiamoci piano...
Gli attori sono credibili e la sceneggiatura precisa e coinvolgente.
Anche come psicoterapeuta l'ho trovata adeguata e realistica, ma devo avvertire che nessun psicoterapeuta serio e formato prenderebbe in terapia contemporaneamente due sorelle che parlano l'una dell'altra, ma lasciamoglielo fare, esisgenze drammaturgiche.
Quello che non mi ha convinto, e devo raccontare non ha convinto nemmeno la platea di chi ha visto il film con me, un sabato sera a Torino, che si è messa a rumoreggiare sui titoli di coda, mentre molte persone non capivano il senso finale del film,
è il colpo di scena finale. Troppo improbabile e spiazzante, capisco che sia cercato e originale (nemmeno tanto, pensate a "Sesto senso" ) ma non è credibile, e in un film che fa del realismo uno dei suoi cardini, non mi è piaciuto. Non voglio rovinare il piacere del film, che consiglio comunque di vedere, ma è un peccato perchè lascia delusi e in realtà non spiega nulla.
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emanuelescarpa
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domenica 26 agosto 2018
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"transfert": consigliato.
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Il “transfert”, in psicanalisi, è un meccanismo di proiezione dei sentimenti di un soggetto analizzato sul suo terapeuta. Nel film di Russo, questo meccanismo assume validità metaforica e narrativa (estendendosi, peraltro, ad ambiti estranei al contesto terapeutico, vd. relazione fra le due sorelle): tutto si spiega nell'immagine sdoppiata e riflessa allo specchio. Trama contorta, disturbata e disturbante, che viviseziona la psiche di personaggi massacrati, costretti in interni claustrofobici; spazi di soffocamento che simbolizzano caos psichici, labirinti mentali privi di vie di fuga. In "Transfert", gli attori rispettano servilmente il proprio ruolo; a volte costretti all'impersonalità, interpretano e vestono i panni di personaggi le cui caratteristiche psicologiche sono già pedissequamente analizzate in sceneggiatura.
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Il “transfert”, in psicanalisi, è un meccanismo di proiezione dei sentimenti di un soggetto analizzato sul suo terapeuta. Nel film di Russo, questo meccanismo assume validità metaforica e narrativa (estendendosi, peraltro, ad ambiti estranei al contesto terapeutico, vd. relazione fra le due sorelle): tutto si spiega nell'immagine sdoppiata e riflessa allo specchio. Trama contorta, disturbata e disturbante, che viviseziona la psiche di personaggi massacrati, costretti in interni claustrofobici; spazi di soffocamento che simbolizzano caos psichici, labirinti mentali privi di vie di fuga. In "Transfert", gli attori rispettano servilmente il proprio ruolo; a volte costretti all'impersonalità, interpretano e vestono i panni di personaggi le cui caratteristiche psicologiche sono già pedissequamente analizzate in sceneggiatura. Regia, fotografia e colonna sonora estremamente essenziali, forse per lasciar spazio alla spregiudicata e labirintica tirannia della storia. Change of (he)Art, alla sua prima produzione, sembra voler scommettere sul talento di giovani artisti e tecnici, facendo ben sperare.
"Transfert": consigliato.
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psicosara
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lunedì 23 marzo 2020
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lo specchio: amico/nemico
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Titolo originale: Transfert
Regia: Massimiliano Russo
Anno: 2017
“Transfert” è un film di Massimiliano Russo, anzi, è la sua opera prima.
Il giovane regista catanese, in ‘Transfert’, oltre a debuttare come regista, si occupa anche della sceneggiatura, del montaggio, della fotografia e della produzione esecutiva, ricoprendo anche un piccolo ruolo nella storia stessa.
Per la sua opera prima, Massimiliano Russo sceglie il genere del thriller psicologico, cercando di mettere una lente sulla pratica terapeutica.
A qualcuno la scelta può sembrare insolita, considerato che Russo ha studiato lettere moderne all’Università di Catania, ma lui stesso, raccontando il suo film dice: «Transfert è un thriller psicologico, che fa uso della psicoterapia come mezzo per l’evoluzione e lo sviluppo delle vicende.
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Titolo originale: Transfert
Regia: Massimiliano Russo
Anno: 2017
“Transfert” è un film di Massimiliano Russo, anzi, è la sua opera prima.
Il giovane regista catanese, in ‘Transfert’, oltre a debuttare come regista, si occupa anche della sceneggiatura, del montaggio, della fotografia e della produzione esecutiva, ricoprendo anche un piccolo ruolo nella storia stessa.
Per la sua opera prima, Massimiliano Russo sceglie il genere del thriller psicologico, cercando di mettere una lente sulla pratica terapeutica.
A qualcuno la scelta può sembrare insolita, considerato che Russo ha studiato lettere moderne all’Università di Catania, ma lui stesso, raccontando il suo film dice: «Transfert è un thriller psicologico, che fa uso della psicoterapia come mezzo per l’evoluzione e lo sviluppo delle vicende. La psicoterapia mi ha sempre affascinato molto, e quello era un periodo della mia vita in cui il mio interesse per la psicoterapia era vivo come non mai».
Oltre alla scelta del thriller psicologico, il regista/produttore/attore ne fa un’altra abbastanza insolita ma che poi si rivelerà una scelta adeguata: l’ambientazione del film a Catania, città portuale ai piedi dell’Etna, città dallo stile Barocco, terra del sole e del mare, insomma una città difficile da immaginare come teatro di adrenalina e misteri. Ma anche in questo caso, motivando la sua scelta, Russo afferma con sicurezza: “È stata una scelta facile in realtà, né forzata, né ponderata. Credo sinceramente che Catania sia un ottimo set naturale per una moltitudine di generi cinematografici. Ed è stato molto interessante restituirne un’immagine atipica, innovativa, intrigante, grigia, cupa. Un’immagine che in molti non si aspetterebbero, ma Catania è molte cose, ed è anche questo.”
Chi può dargli torto.
Non si può dire che Massimiliano Russo non assomigli un po’ al dott. Stefano Belfiore (Alberto Mica), protagonista del film, psicoterapeuta di trentatré anni, accomodante e molto sicuro di sé che porta avanti la propria carriera con grande dedizione ed empatia nella sua città, proprio Catania.
Massimilianoe Stefano condividono sicuramente il carattere deciso, oltre che la stessa città.
Ma la caratteristica che salta più all’occhio è la molteplicità dei ruoli che Massimiliano svolge per il film e che Stefano interpreta nel film. Stefano Belfiore nel film è l’analista ma è forse plausibile pensare che sia anche quel bambino adottato che segue sin da piccolo la madre da uno studio di psicoterapia all’altro, origliando dietro le porte e facendo letture impegnate per la sua tenera età. Quel bambino che nei desideri della disturbata madre deve diventare analista così poi si prenderà cura di lei.
Il titolo del film diventa essenza stessa del film. E’ presente nella Locandina in maniera un po’ sfocata. Proviamo quindi a dare almeno una definizione precisa del termine, che ci chiarisca il contesto: "Il transfert (o traslazione) è un meccanismo mentale per il quale l'individuo tende a spostare schemi di sentimenti, emozioni e pensieri da una relazione significante passata a una persona coinvolta in una relazione interpersonale attuale. Il processo è largamente inconscio ovvero il soggetto non comprende completamente da dove si originino tali sentimenti, emozioni e pensieri. Il transfert è fortemente connesso alle relazioni oggettuali della nostra infanzia e le ricalca."
Contorta e di non facile interpretazione l’immagine di Locandina, almeno quanto la storia, che è narrata attraverso un altalenante passaggio tra presente e passato, tra vero e falso, deviando continuamente lo spettatore dalla strada della comprensione e dalla verità.
Il viso del protagonista (Stefano) è ben visibile nel poster, l’espressione del suo viso ci dice che è come se stesse ricordando, o immaginando. O pensando a cosa ha sbagliato e quando. Se ha sbagliato come analista, come marito, o come figlio.
Questi pensieri sembrano prendere forma, prendono forma i suoi ricordi, i suoi traumi.
Si intravede anche un molo, un uomo seduto su una panchina davanti al mare: anche questa immagine è altamente simbolica: l’acqua, il mare, è il simbolo dell’inconscio per eccellenza, con i contenuti rappresentati da tutti gli esseri che vivono nelle sue profondità. Noi tutti abbiamo navigato nel mare uterino delle nostre madri e l’acqua ci ricollega a uno stato in cui non ci sentivamo ancora separati dal grande universo.
Il mare anche se indomabile e in tempesta è fatto di acqua e l’acqua è un elemento fondamentale per noi esseri umani perché rappresenta la vita.
Proprio nella scena finale del film Stefano Belfiore si ritrova solo con sé stesso, a contemplare il mare in burrasca, a ripensare la sua vita.
In quel luogo trova rifugio, dopo aver perso l’equilibrio. Forse solo quel luogo dona a lui un po’ di serenità, la pace interiore che lungo tutto il film non ha trovato.
Ad uno sguardo più attento della Locandina, allontanando l’attenzione dal mare, si intravede in primo piano una strana figura, (quelle 4 ali bianche parallele e simmetriche): sembra proprio essere la Prima delle famose 10 tavole del test di Rorschach, il test proiettivo ideato dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach. Il test in questione è un noto test psicologico proiettivo utilizzato per l'indagine della personalità, composto da 10 ‘tavole’ o figure (5 monocromatiche, 2 bicolori e 3 colorate) da interpretare, con l’obiettivo di indagare il funzionamento del pensiero, l'esame di realtà, il disagio affettivo e la capacità di rappresentazione corretta di sé e degli altri nelle relazioni. Le macchie furono realizzate versando dell’inchiostro in fogli di carta opportunamente piegati. L’immagine prodotta con questo sistema, per quanto casuale e priva di una forma e un significato precisi, suscita diverse reazioni nei soggetti che la guardano. Il test sfrutta il meccanismo inconscio della proiezione, in base al quale, di fronte ad un’immagine appunto ambigua e poco strutturata, il soggetto, piuttosto che osservarla in maniera oggettiva, tende a proiettare su di essa il proprio mondo interno fatto da fantasie, ricordi, e significati personali.
Non ci stupisce che “Transfert” abbia una locandina che mostra uno strumento del mestiere, ma la domanda che potremmo porci è il perché della scelta di quella tavola su dieci possibili. La tavola n.1 del test su citato è indicata in ambito clinico come l’immagine che il soggetto ha di se stesso. E’ la prima tavola, il primo contatto con il test di personalità. E’ una macchia in cui compare il bianco all’interno del nero, per stemperare un po’ l’angoscia dell’avvio al test. E’ proprio concentrando lo sguardo su quei dettagli in bianco che, normalmente, si percepisce una maschera.
Possiamo ipotizzare che la tavola non sia scelta a caso per la Locandina, perché è del tutto coerente con la sinossi del film. La maschera è ciò che ogni paziente prova a dismettere di fronte al suo analista, alla ricerca della verità. E la particolarità del film sta nel paradosso che sia proprio l’analista, per tutto il tempo del suo lavoro, ad indossarla.
Apriamo una breve parentesi sul rapporto cinema e psicanalisi citando ad esempio i due thriller a sfondo psicanalitico protagonisti degli Anni ’90: “Analisi Finale” del 1992 diretto da Phil Joanou con Richard Gere, Kim Basinger, Uma Thurman e il film francese del 1996 “Transfert Pericoloso” (titolo originale Passage à l'act), di Francis Girod alla cui sceneggiatura tra l’altro, ha contribuito un vero psicanalista, Gerard Miller, anche se il film è tratto da un romanzo di Jean-Pierre Gattegno.
SeHitchcock cercava nella psicanalisi le motivazioni del crimine, un suo ammiratore, proprio il regista Girod, ha messo in scena la situazione rovesciata: il delitto che si serve della psicanalisi. Non è lo psicoanalista a influenzare e condizionare il paziente, ma è il paziente a ossessionare lo psicoanalista sino a fargli perdere il controllo e a renderlo assassino.
Ho citato questi due esempi di film perché entrambimettono in scena le criticità dei pazienti, le loro storie, le loro caratteristiche: psicosi plateali, mitomanie, violenza, ebbrezza patologica, uxoricidio.
Il film ‘Transfert’ si concentra piuttosto sull’approccio di Stefano Belfiore, nei confronti di coloro che varcano la porta del suo studio. Il film indaga più che altro le reazioni di Stefano di fronte ai loro input e, in un gioco di specchi, gioca col punto di vista, aderendo prima al suo sguardo per poi distaccarsene, rimescolando le carte in tavola e complicando sempre più la risoluzione del puzzle.
In Analisi Finale Isaac Barr (Richard Gere), psichiatra molto attraente, durante il trattamento analitico della sua giovane paziente Diana Baylor (Uma Thurman), per conoscere alcuni episodi del passato della donna, accetta di incontrarsi nel proprio studio con la sorella di costei, Heather Evans (Kim Basinger) una donna molto attraente che finisce per sedurlo.
Parallelamente, in “Transfert”, il giovane terapeuta Stefano, è così certo delle proprie capacità, da forzare le regole deontologiche, accettando come pazienti due sorelle, nonostante gli avvertimenti del suo supervisore. Ma il suo comportamento sicuro nasconde delle crepe e le stesse che emergeranno solo nella parte conclusiva del film quando Stefano accetta un nuovo paziente che emblematicamente si chiama proprio come lui, Stefano (lo stesso Massimiliano Russo).
Da quel momento tutto sembra cambiare. Il terapeuta si accartoccia, si incrina, crolla, o meglio tutto intorno a lui crolla. Anche le certezze dello spettatore cominciano a vacillare perché Transfert è un continuo e infinito confronto/scontro tra realtà e illusione, tra ciò che appare e ciò che è veramente.
Affascinante proprio per questo.
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aleang71
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domenica 3 giugno 2018
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uno dei peggiori film mai visti
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Il film è pretenzioso, pretestuoso, contorto, lentissimo e scritto male.
Il regista ha un qualche gusto per le inquadrature e la musica non è pessima.
E' talmente paradossale quello che viene narrato che viene il sospetto si tratti di una storia vera!
La recitazione del protagonista non so decidere se è prefetta (visto che interpreta un falso psicoterapeuta) o è demenziale, visto che una persona che voglia spacciarsi per psicoterapeuta non può usare la mimica del volto nel modo marcato e teatrale che utilizza lui. E non può essere così imbranato e approssimativo nella gestione delle parole.
I dialoghi delle "sedute di terapia" sono patetici.
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Il film è pretenzioso, pretestuoso, contorto, lentissimo e scritto male.
Il regista ha un qualche gusto per le inquadrature e la musica non è pessima.
E' talmente paradossale quello che viene narrato che viene il sospetto si tratti di una storia vera!
La recitazione del protagonista non so decidere se è prefetta (visto che interpreta un falso psicoterapeuta) o è demenziale, visto che una persona che voglia spacciarsi per psicoterapeuta non può usare la mimica del volto nel modo marcato e teatrale che utilizza lui. E non può essere così imbranato e approssimativo nella gestione delle parole.
I dialoghi delle "sedute di terapia" sono patetici. Nessuna relazione di cura si svolge come una chiacchierata tra conoscenti. Spero, almeno.
Per palesare l'assurdità della trama devo procedere a spoilerare pesantemente:
Un uomo dissociato gravissimamente (doppia personalità: entrambe da psicoterapeuta (!); una delle due, però, con venature da serial killer) a causa di un'infanzia surreale, e autolesionista palese, inverosimilmente sposa una donna sana e intelligente che fa pure la psichiatra di mestiere. E mi potrei fermare qui perché, le risate...
Non paghi di ciò, quest'uomo si finge psicoterapeuta e ne racconta al proprio psichiatra (uomo dal raro cattivo gusto, visto l'arredamento dello studio in cui riceve) il quale però non si rende conto che, tra tanti pazienti finti di cui gli racconta, spuntano due sorelle vere.
Una di queste si suicida a causa dell'imperizia fraudolenta dal tipo. Il tutto condito da flashback molesti di lui bambino con la madre matta.
Terribile...
Non capisco come non sia lapalissiano che non si può essere regista-sceneggiatore-attore senza fare male tutti e tre i lavori
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