antonio miredi
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lunedì 28 marzo 2022
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l'ombra dello scrittore
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Quanta fatica, quanta dedizione dietro la scrittura. Quanta vita in ombra vissuta con sacrificio e invisibilità. Intorno alla natura della scrittura, delle sue spinte, strategie, motivazioni, scelte, avviene l'incontro in un College di una allieva con il talento dello scrivere e il suo Professore che raccoglie e giudica le prove che gli vengono sottoposte. Ma questa veniamo a saperlo a film già avviato, attraverso vari flashback. The Whife, vivere nell’ombra, del regista svedese Bjorn Runge tratto dal romanzo di Meng Wolitzer, come in un teatro si apre con la scena a letto di una coppia anziana e una telefonata di buon mattino che annuncia la designazione del premio Nobel al professor Joan Castleman, un autore di successo.
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Quanta fatica, quanta dedizione dietro la scrittura. Quanta vita in ombra vissuta con sacrificio e invisibilità. Intorno alla natura della scrittura, delle sue spinte, strategie, motivazioni, scelte, avviene l'incontro in un College di una allieva con il talento dello scrivere e il suo Professore che raccoglie e giudica le prove che gli vengono sottoposte. Ma questa veniamo a saperlo a film già avviato, attraverso vari flashback. The Whife, vivere nell’ombra, del regista svedese Bjorn Runge tratto dal romanzo di Meng Wolitzer, come in un teatro si apre con la scena a letto di una coppia anziana e una telefonata di buon mattino che annuncia la designazione del premio Nobel al professor Joan Castleman, un autore di successo. Il viaggio a Stoccolma con la cerimonia ufficiale della premiazione, con tanto di preparazione del giorno prima che permette di offrirci uno spaccato impietoso del protocollo statale, invece di suggellare il pieno appagamento di una famiglia borghese con due figli e un nipotino in arrivo, si rivelerà drammaticamente fatale. E porterà allo scoperto nodi, rivalità nascoste, recriminazioni taciute, compromessi reciprocamente vampirizzanti, non solo tra il Professore e la sua ex allieva divenuta sua moglie, anche con il figlio maschio con la stessa vocazione verso la scrittura. Una crisi favorita e alimentata dalla presenza di un giornalista con l'ambizione di voler scrivere una vita non autorizzata dello scrittore. Il riconoscimento del Nobel potrà essere l'occasione per raccontare nella intimità della famiglia la verità che si cela dietro il successo dello scrittore? Al contrario di come la vicenda sembra evolversi, la risposta non è così scontata. La verità non ha mai un solo nome, una sola faccia. Nonostante questo aspetto aperto che ci permette anche di riflettere su come una opera, un libro e ogni altro lavoro creativo, siano sempre il risultato di più fattori e in certi casi di più soggetti, il film ha una strutturale compiutezza da imporsi subito alla attenzione con il fascino dei suoi tanti rimandi. Il mondo dei libri, l’intesa scontro di una coppia, la forza di un testo convincente e ben amalgamato nel suo crescendo, come in una partitura musicale, grazie anche ai due straordinari attori protagonisti, Glenn Close e Jonathan Pryce , veri animali da Scena. La musica dolceamara della compositrice Jocelyn Pook come certe atmosfere nordiche in chiaroscuro, accompagna tutto il film con discrezione e in maniera incisiva, fino ai titoli di testa. (antonio miredi)
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scrigno magico
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sabato 17 aprile 2021
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troppo lento
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Veramente lento e pesante. A tratti eccessivo.
Insomma se proprio volete vederlo bevete prima un paio di caffè, e auguri, lascia una sensazione di amarezza, ammesso che restiate svegli!
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fabio 3121
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martedì 30 marzo 2021
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la moglie del docente
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il film è ambientato nel 1992 ed inizia con la telefonata dalla Svezia allo scrittore in Connecticut Joe Castleman (Jonathan Pryce) della vittoria del premio Nobel per la letteratura. Joe insieme alla moglie Joan (Glenn Close) e al figlio David, anch'esso giovane scrittore, giungono quindi in Svezia qualche giorno prima della premiazione. Durante il soggiorno, mentre Joe è alle prese con le prove della cerimonia, Joan torna con la mente agli anni dell'università dove seguiva i corsi di letteratura di Joe in quanto era convinta e determinata a scrivere per essere pubblicata. Joan scrive un testo "La moglie del docente" prendendo spunto per il suo personaggio proprio dalla moglie del professore Joe.
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il film è ambientato nel 1992 ed inizia con la telefonata dalla Svezia allo scrittore in Connecticut Joe Castleman (Jonathan Pryce) della vittoria del premio Nobel per la letteratura. Joe insieme alla moglie Joan (Glenn Close) e al figlio David, anch'esso giovane scrittore, giungono quindi in Svezia qualche giorno prima della premiazione. Durante il soggiorno, mentre Joe è alle prese con le prove della cerimonia, Joan torna con la mente agli anni dell'università dove seguiva i corsi di letteratura di Joe in quanto era convinta e determinata a scrivere per essere pubblicata. Joan scrive un testo "La moglie del docente" prendendo spunto per il suo personaggio proprio dalla moglie del professore Joe. Joan si innamora di Joe e questi lascia la moglie e il figlio piccolo ed inizia una relazione con Joan che avendo talento correggerà le bozze dei suoi scritti. In Svezia il giornalista Nathaniel (Cristian Slater), intento a scrivere una biografia sull'oramai scrittore di successo Joe, intuisce però che Joan non è semplicemente la moglie ma anche la sua ghostwriter. La pellicola ha una trama semplice che però cattura l'interesse dello spettatore in particolar modo per le dinamiche che caratterizzano un rapporto di coppia che va avanti tra alti e bassi (e tradimenti dell'uomo) da oltre 40 anni. La sceneggiatura è valida ed è ricca di dialoghi intensi e per certi aspetti drammatici; inoltre attraverso i flashback si viene a scoprire la verità che sta alla base del successo letterario del protagonista maschile interpretato con maestria teatrale dal bravissimo Jonathan Pryce. La performance di Glenn Close è a dir poco eccezionale e infatti con merito ha avuto numerosi riconoscimenti tra cui il Golden Globe. I duetti tra i 2 protagonisti sono la vera forza di un film godibile fino al colpo di scena finale. Voto: 7,5/10.
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carloalberto
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venerdì 19 marzo 2021
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glenn close e jonathan pryce
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Due egocentrici a confronto. Due scrittori che si contendono il ruolo di primo attore e l’applauso del pubblico. Ricorda Big eyes di Tim Burton. Analoga storia di appropriazione indebita dell’opera d’arte da parte del marito. Stesso periodo storico, gli anni sessanta, un decennio prima della nascita dei movimenti femministi in America. Il sistema editoriale maschilista non pubblicava lavori di donne. La coppia escogita il modo di aggirare l’ostacolo, lei scrive, lui compare come autore. Finale prevedibile, regia senza pretese, ottimo il cast. Glenn Close ruba la scena a Jonathan Pryce e vince il Golden Globe.
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giovedì 9 luglio 2020
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ottimi spunti di riflessione
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Ho letto diverse recensioni dopo aver visto il film è mi sono ritrovata solo con la tua, pure il titolo italiano non mi è piaciuto, mette in evidenza la cosa sbagliata, l’ombra in cui si trova una moglie di un marito apparentemente grande. A mio parere la protagonista ha, nel corso della sua vita, fatto consapevolmente delle scelte che l’hanno portata a stare nell’ombra, non solo perché era l’unico modo in cui credeva di poter esprimere se stessa, ma anche perché quel modo le stava bene. Davvero. C’era un patto tra loro, che li legava e li rendeva complici, la relazione era paritaria, la scelta era comune ... la rottura ci è stata quando quel patto è stato rotto, quando il noi è diventato il me di lui ( come mi hai fatto notare tu confrontando i diversi modi di esultare nel tempo), lo scoppio fragoroso c’è stato quando alla fine nei ringraziamenti lui invece di tacere, l’ha fatta apparire per quello che NON era: una donna nell’ombra, invece di una donna che liberamente e consapevolmente aveva scelto di esprimere il suo talento in modo corale, più che solitario, in modo femminile, più che maschile.
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Ho letto diverse recensioni dopo aver visto il film è mi sono ritrovata solo con la tua, pure il titolo italiano non mi è piaciuto, mette in evidenza la cosa sbagliata, l’ombra in cui si trova una moglie di un marito apparentemente grande. A mio parere la protagonista ha, nel corso della sua vita, fatto consapevolmente delle scelte che l’hanno portata a stare nell’ombra, non solo perché era l’unico modo in cui credeva di poter esprimere se stessa, ma anche perché quel modo le stava bene. Davvero. C’era un patto tra loro, che li legava e li rendeva complici, la relazione era paritaria, la scelta era comune ... la rottura ci è stata quando quel patto è stato rotto, quando il noi è diventato il me di lui ( come mi hai fatto notare tu confrontando i diversi modi di esultare nel tempo), lo scoppio fragoroso c’è stato quando alla fine nei ringraziamenti lui invece di tacere, l’ha fatta apparire per quello che NON era: una donna nell’ombra, invece di una donna che liberamente e consapevolmente aveva scelto di esprimere il suo talento in modo corale, più che solitario, in modo femminile, più che maschile. Questo film esalta la grandezza di una donna che continua fino all’ultimo istante a difendere esternamente le proprie scelte, perché se non lo facesse rinnegherebbe non tanto il marito, quanto se stessa; ma che ha il coraggio di farne di nuove, perché i presupposti di quelle scelte sono cambiati e sapersi adattare al cambiamento non ha età ed è sintomo di intelligenza. Bello. Glenn Close monumentale .... Ma è quasi banale dirlo.
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felicity
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venerdì 26 aprile 2019
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tedioso, prevedibile, fastidiosamente ideologico
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The Wife – Vivere nell’Ombra lascia allibiti per quanto a volte la ricchezza di elementi interessanti in una trama non si riesca a concretizzarsi in una scrittura profonda ed empatica, degna di attori che riescono a conferire spessore anche alle sceneggiature più insignificanti.
Il lungometraggio di Bjorn Runge rimane così arenato in una brutta sceneggiatura, ma mantiene molti elementi caratteristici di un genere che piace ad una certa fascia di pubblico, sicuramente il lavoro di Glenn Close e Jonathan Pryce salva la pellicola, che non riesce a conquistare il cuore dello spettatore.
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lucio di loreto
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lunedì 4 marzo 2019
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grazie di tutto glenn
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Una Glenn Close in versione deluxe ci trascina con la sua splendida interpretazione nel “nascosto” che circonda la mente, l’animo ma anche l’intera vita di ognuno di noi. Lo fa con quello sguardo magnetico che ha strabiliato 4 lustri di cinema e che la pone insieme alla divina Meryl Streep, a Susan Sarandon e Jessica Lange nell’olimpo recitativo dei mitici eighties. Oggi, bellissima esponente di “terza età”, aggiunge alla magnifica e classifica espressione visiva, anche la sofferenza e la stanchezza di una donna che vivendo nell’ombra ha costruito, mantenuto e reso vincente e benestante un’intera famiglia da sola.
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Una Glenn Close in versione deluxe ci trascina con la sua splendida interpretazione nel “nascosto” che circonda la mente, l’animo ma anche l’intera vita di ognuno di noi. Lo fa con quello sguardo magnetico che ha strabiliato 4 lustri di cinema e che la pone insieme alla divina Meryl Streep, a Susan Sarandon e Jessica Lange nell’olimpo recitativo dei mitici eighties. Oggi, bellissima esponente di “terza età”, aggiunge alla magnifica e classifica espressione visiva, anche la sofferenza e la stanchezza di una donna che vivendo nell’ombra ha costruito, mantenuto e reso vincente e benestante un’intera famiglia da sola. E’ grazie alla sua performance, premiata ai Golden Globes e battuta di un’incollatura agli Oscar dall’inarrivabile Olivia Colman, che un film debole, privo di mordente e sviluppato non molto a fondo arriva alla fine con pathos e attesa per sapere quale sia la “terribile” verità che si cela dietro al successo di un marito premio Nobel. Gli occhi di Joan parlano più delle tante parole e scritti sui quali si basa la trama, dalla notte in cui Joe (un grande Jonathan Pryce) riceve la tanto attesa notizia dalla Svezia, alle frustranti disillusioni del figlio David, anch’egli letterato ma oscurato dall’ingombrante genitore, al viaggio a Stoccolma dove la protagonista rimembra una vita sofferta a fianco di un consorte mai fedele e aperto a lasciare spazio agli altri - lei stessa, studentessa universitaria, ha una passione per la scrittura - fino alla resa dei conti finale. La pellicola, come detto, racchiude in poco tempo tutte le emozioni che una perfetta e trentennale coppia di attori/coniugi riesce a trasmettere, ma l’interessante tema della “finzione” letteraria e del “sacrificio” che ogni donna nella condizione di Glenn si trova a dover affrontare per non far naufragare se stessa e i propri cari, viene solamente sfiorata. La stupefacente e “giovane” 72enne riesce da sola a farci capire quanto il suo senso di rivalsa sia frustrante e prossimo alla esplosività ma che, per un bene comune, riesce a conservare dentro di sé e portarlo (forse) dentro la tomba, così come lasciare ai posteri un’immagine eterea di un marito tutto fuorchè perfetto. Grazie Glenn!!
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sabato 26 gennaio 2019
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precisazione
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Bel commento, ma il premio Nobel é svedese, non finlandese.
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annarachele
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lunedì 10 dicembre 2018
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you too?
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Sarà l’onda lunga del #MeToo, ma non si può vedere The wife, del regista svedese [+]
Sarà l’onda lunga del #MeToo, ma non si può vedere The wife, del regista svedese Björn Runge, senza andare col pensiero alle denunce recenti che hanno fatto esplodere la serie di ricatti e abusi verificatisi a Hollywood e non solo.
Perchè la vicenda del Premio Nobel assegnato al grande scrittore dietro cui c’era la moglie ghostwriter rimanda alla storia dei ricatti sessuali nel mondo del cinema?
Innanzi tutto perché anche nel film un uomo di fama e di potere tiene in pugno con il silenzio una femmina devota e compiacente: e se per le dive d’oltreoceano la contropartita è stata acquisire contratti cinematografici, per la protagonista del film (Glenn Glose) la posta in gioco è lo status di buona moglie-madre nel teatrino della famiglia borghese americana.
La donna, poco propensa di suo ad acquisire visibilità in un mondo della letteratura nel quale negli anni 60-70 del secolo scorso era comunque più facile l’affermazione maschile, aveva quindi potuto dedicarsi alla passione della scrittura, garantita dall’esclusività del legame con il marito.
L’accostamento con il #MeToo – a ben vedere - è anche nella denuncia tardiva della soggezione subita: se dive e starlette hanno trovato la forza di reagire al maleficio di Weinstin e compari a partire dalle inchieste di Ronan Farrow, la protagonista è come se prendesse coscienza del proprio asservimento solo dopo quarant’anni, incalzata dalle insinuazioni dell’aspirante biografo del marito.
Anche se – nel film come nella realtà - le confessioni posticipate, anni e status sociale acquisito dopo, rendono arduo definire vittime e carnefici, e soprattutto la gravità del ruolo di questi ultimi.
E’ presente contemporaneamente in sala un altro buon film, The Children Act - Il Verdetto, del regista britannico settantacinquenne Richard Eyre. Un giudice dell'Alta Corte britannica (Emma Thomson) deve decidere del destino di un giovane testimone di Geova affetto da leucemia e che rifiuta le trasfusioni. Oltre al drammatico contenzioso legale, la donna nel privato subisce un ricatto da parte del marito: poichè è totalmente dedita al proprio lavoro che svolge con scrupolo appassionato, trascura il talamo coniugale e l’uomo le comunica che la tradirà. Da parte di lui nessun tentativo di riconquista o seria riflessione sulla crisi della loro intimità; per lei nessun diritto di replica: la donna, dalle energie esauste, potrà solo subire.Due film dall’impianto tradizionale, con attori protagonisti impeccabili. E che consentono di cogliere le diverse declinazioni del ricatto, che può star dentro ogni relazione di lavoro o sentimentale: come a dire che, forse, dopo il #MeToo potremmo non essere più gli stessi.
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emanuele 1968
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mercoledì 28 novembre 2018
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molto bello
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Bello, pero non mi e piaciuto, tutto e troppo, qualche situazione improbabile, la stanza dell'albergo ad occhio e croce saranno stati 120mq?
Qualche comparsa inquardabile, pubblico distratto che guarda il cell.
Un film gia visto che non ricordo il titolo, trattava una storia vera con i quadri credo, ad incastrarlo lui non sapeva disegnare lei si.
Bello l'inizio e la fine, partono in tre tornano in due.
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