vanessa zarastro
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mercoledì 4 aprile 2018
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convivere con la paura
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La grande protagonista di “Une famille syrienne” (il titolo originale)è la paura, mentre la guerra siriana tra forze armate governative e ribelli, costituisce lo scenario del film.
A Damasco, sul palcoscenico di una casa vissuta come un bunker, c’è rimasta una sola famiglia che sopravvive reclusa al II piano: il nonno con la nuora Oum Yazzan (Hiam Abbass), tre nipoti di cui due femmine, un amico di una delle nipoti, la fedele cameriera Dehlani (Juliette Navis) e una giovane coppia con il neonato, Halima (Diamand Abou Abboud) e Samir, ospiti temporanei. Il film narra i movimenti di queste persone nell’arco delle ventiquattro ore, asserragliate in quest’appartamento con le finestre e le tende chiuse e le porte sprangate, tra bombe, furti e spari.
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La grande protagonista di “Une famille syrienne” (il titolo originale)è la paura, mentre la guerra siriana tra forze armate governative e ribelli, costituisce lo scenario del film.
A Damasco, sul palcoscenico di una casa vissuta come un bunker, c’è rimasta una sola famiglia che sopravvive reclusa al II piano: il nonno con la nuora Oum Yazzan (Hiam Abbass), tre nipoti di cui due femmine, un amico di una delle nipoti, la fedele cameriera Dehlani (Juliette Navis) e una giovane coppia con il neonato, Halima (Diamand Abou Abboud) e Samir, ospiti temporanei. Il film narra i movimenti di queste persone nell’arco delle ventiquattro ore, asserragliate in quest’appartamento con le finestre e le tende chiuse e le porte sprangate, tra bombe, furti e spari. La presenza della guerra è, infatti, demandata ai rumori.
Oum Yazzan è una vera resistente, nella vita ha conquistato la proprietà di una casa che non vuole assolutamente lasciare. Ha una grande forza che le viene anche dal dover essere protettiva nei confronti dei figli, ma è anche una ferrea educatrice. È sicuramente una donna borghese, una signora abituata a organizzare, gestire e comandare, che possiede una casa ben arredata e piena di libri, e una cameriera a cui fa spolverare e lavare per terra, con le macerie fuori e senza più l’acqua corrente in casa.
Il nonno è un po’ vago, sembra un po’ assente, fuma una sigaretta dopo l’altra, è affettuoso con il suo nipotino, non si capisce bene fino a che punto si renda conto di cosa stia succedendo e lascia tutti i livelli decisionali in mano alla nuora. Però è anche fonte di saggezza e così le suggerirà: «Lascia il mondo fuori, non vale più niente». Tre donne coraggiose sono al centro del film, gli uomini o sono in battaglia, o troppo piccoli o troppo vecchi, o assenti.
Una cosa drammatica che mette in luce il regista belga Philippe Van Leeuw è come gli istinti animaleschi vengano fuori amplificati dalla paura e come questa ci possa perfino trasformare.
Oum Yazzan è interpretata da una splendida Hiam Abbass - che può ricordare nella drammaticità alcuni personaggi interpretati da Anna Magnani - e che abbiamo già ammirato in “Il giardino dei limoni” di Eran Riklis del 2008. Per proteggere la famiglia, lascia Samir ferito (o morto?) in mezzo al cortile senza soccorrerlo né accertarsi che sia morto e per di più non dice nulla alla moglie fino a sera quando poi ne è costretta. Halima, a sua volta, aveva già preparato le valigie ed era pronta a fuggire con marito e figlio sotto falso nome verso la Francia, attraverso il Libano. Nel momento di difficoltà con l’avvento di due violenti sciacalli in casa, pur di proteggere il bambino e la famiglia ospitante, accetta di avere un rapporto sessuale con quello che sembra il capo, ma si trasformerà in uno stupro.
Questa parte, che vale tutto il film, è raccontata in un modo intenso trasmettendo tutta l’angoscia senza però mostrare i dettagli. Al di là della porta della cucina, tutta la famiglia nascosta sente le urla e tutta la violenza che la giovane subisce, ma che nessuno può (o vuole) fare nulla.
“Une famille syrienne” è stato presentato alla Berlinale 2017, dove ha ottenuto il Premio del pubblico; ha ottenuto anche sei riconoscimenti ai Magritte Awards tra cui quello del miglior film, migliore sceneggiatura e migliore regia.
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angeloumana
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giovedì 29 marzo 2018
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insiriati
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Un vecchio guarda sconsolato quel che succede fuori tra le tende socchiuse delle finestre, spari di cecchini, gente che fugge, rumore di bombe e di elicotteri, è guerra tra più fazioni ostili. Il soggiorno dove se ne sta ha librerie piene di libri e si può pensare al contrasto tra la guerra e i libri; e fuma, continuamente fuma, e piange, probabilmente al vedere com'è ridotto il suo Paese, la Siria. E' tutta la famiglia confinata in casa, reclusa, è InSyriated, costretta a non uscire di giorno perché c'è il rischio di perdere la vita. La nuora del vecchio, Oum Yazan (la stellare, immensa Hiam Abbas) organizza tutto nell'appartamento, l'unico ancora abitato di un condominio deserto, ordina ai figli di tenere in ordine la casa e cerca di far condurre agli occupanti una vita minimamente normale, nelle ristrettezze, l'acqua raccolta alla fontana è razionata in un contenitore.
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Un vecchio guarda sconsolato quel che succede fuori tra le tende socchiuse delle finestre, spari di cecchini, gente che fugge, rumore di bombe e di elicotteri, è guerra tra più fazioni ostili. Il soggiorno dove se ne sta ha librerie piene di libri e si può pensare al contrasto tra la guerra e i libri; e fuma, continuamente fuma, e piange, probabilmente al vedere com'è ridotto il suo Paese, la Siria. E' tutta la famiglia confinata in casa, reclusa, è InSyriated, costretta a non uscire di giorno perché c'è il rischio di perdere la vita. La nuora del vecchio, Oum Yazan (la stellare, immensa Hiam Abbas) organizza tutto nell'appartamento, l'unico ancora abitato di un condominio deserto, ordina ai figli di tenere in ordine la casa e cerca di far condurre agli occupanti una vita minimamente normale, nelle ristrettezze, l'acqua raccolta alla fontana è razionata in un contenitore. C'è pure una coppia giovane ospite della famiglia, Samir e Halima (la tanto bella Diamand Abou Abboud) col loro bambino piccolissimo devono fuggire la sera per la Francia. Samir dice di vergognarsi per lasciare il suo Paese, ma solo altrove c'è futuro e forse salvezza.
La porta d'entrata è sbarrata dall'interno cosicché non entrino sciacalli e approfittatori. Ma due individui si caleranno dalle finestre, la famiglia è rifugiata nella cucina che è il posto più raccolto della casa, senza aperture all'esterno. Ma è Halima a restare preda dei due: salva gli altri subendo una violenza. Una bambina della famiglia le dirà dopo, affranta, Mi perdoni?, ha compreso il sacrificio di Halima. Sono 24 ore vissute in questa casa e raccolte nel film di soli 103 minuti, un film che riserva tutto il tempo il terrore di un colpo e pianti di paura di una famiglia assediata, InSyriata. Fenomenale il regista belga Philippe Van Leeuw che ci ha fatto immaginare una ordinaria giornata di guerra dall'intimità di un'abitazione.
Una frase del vecchio sembra accostabile alle vite in qualche modo agiate, ordinate e sicure di altre parti del globo, le nostre per esempio. Dice alla nuora: Non dovresti pensare a quello che c'è dietro la finestra. Ecco, noi possiamo porre al posto della parola “finestra” la parola “televisione” e non pensare a quelle immagini, continuare la nostra vita comoda, consumare i nostri 2-3-4 pasti al giorno ma pubblicamente indignarci, fare marce per la pace, mozioni solenni e sdegnate in consigli comunali a invitare i padroni del mondo a far cessare le ostilità, mozioni che saranno debitamente protocollate e archiviate, e continuare a sentirci al sicuro, paghi delle nostre buone intenzioni.
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tonimais
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domenica 25 marzo 2018
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con il consenso fa meno male
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ricordo un racconto di mia madre quando, sul finire della guerra, Roma era una "città aperta " : i tedeschi, all'uscita di una scuola, facevano una retata degli studenti. Con il calcio dei fucili costringevano quei poveri ragazzi a salire su di un camion . Le madri, mia madre assistevano a quello spettacolo senza allontanarsi, cercando di rendersi utili : raccoglievano i bigliettini sui quali venivano annotai i numeri di telefono...." Avvisi mia mia madre , la prego signora, avvisi mia madre". Le donne hanno seguito il camion nonostante le minacce, le spintonate, i fucili puntati dei tedeschi finchè hanno potuto cercando di ricordare un numero, un indirizzo, un nome.
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ricordo un racconto di mia madre quando, sul finire della guerra, Roma era una "città aperta " : i tedeschi, all'uscita di una scuola, facevano una retata degli studenti. Con il calcio dei fucili costringevano quei poveri ragazzi a salire su di un camion . Le madri, mia madre assistevano a quello spettacolo senza allontanarsi, cercando di rendersi utili : raccoglievano i bigliettini sui quali venivano annotai i numeri di telefono...." Avvisi mia mia madre , la prego signora, avvisi mia madre". Le donne hanno seguito il camion nonostante le minacce, le spintonate, i fucili puntati dei tedeschi finchè hanno potuto cercando di ricordare un numero, un indirizzo, un nome. Ecco perchè il film mi ha indispettito : se l'assunto era quello di dimostrare la disumanizzazione prodotta dalla guerra non c'è riuscito . Non basta far fare di conto alla protagonista se uno stupro è meglio di due o se fa meno male se subito col consenso. Non vedo nessuna "madre coraggio" , nessun diritto a continuare a vivere dovendolo barattare a così caro prezzo . Non si abbandona un parente agonizzante, per poi ricordarsi quasi per caso della sua estistenza e della propria sbadataggine. Brutta la fotografia, opaca, l 'ambientazione troppo perfettina, i costumi.
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cardclau
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domenica 25 marzo 2018
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la guerra degli altri
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La guerra, nel suo intenso godimento per la distruzione, ovviamente degli altri, e possibilmente in casa degli altri, deve aver sempre affascinato una fetta consistente dell'essere umano, del nostro mondo "civile". Le culture che non l'hanno eretta a sistema di vita, sono state oculatamente massacrate, e fatte sparire, per non disturbarne la serena visione, evocando a posteriori tutta una serie di assurde legittimazioni, giustificazioni, e di ipocriti sensi di colpa, nel tentativo fallimentare di mettersi il cuore in pace. A squoterci da questo innaturale torpore, il potente film di Philippe Van Leeuw, Insyriated, che racconta, senza parafrasi, la storia di una famiglia allargata intrappolata in casa, nella attuale Siria di Damasco, nei suoi tentativi di sopravvivere, e di far sopravvivere la luce.
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La guerra, nel suo intenso godimento per la distruzione, ovviamente degli altri, e possibilmente in casa degli altri, deve aver sempre affascinato una fetta consistente dell'essere umano, del nostro mondo "civile". Le culture che non l'hanno eretta a sistema di vita, sono state oculatamente massacrate, e fatte sparire, per non disturbarne la serena visione, evocando a posteriori tutta una serie di assurde legittimazioni, giustificazioni, e di ipocriti sensi di colpa, nel tentativo fallimentare di mettersi il cuore in pace. A squoterci da questo innaturale torpore, il potente film di Philippe Van Leeuw, Insyriated, che racconta, senza parafrasi, la storia di una famiglia allargata intrappolata in casa, nella attuale Siria di Damasco, nei suoi tentativi di sopravvivere, e di far sopravvivere la luce. Tutti gli attori sono bravissimi, ma prima fra le prime Hiam Abbass, che interpreta la figura di una donna, che deve far forza, nutrire, e trovare le motivazioni, al suocero, ai figli, le cognate, nipoti, ..., in una completa solitudine e assoluta responsabilità, senza nessuno nelle cui braccia potersi rifugiare e abbandonare. Come nel racconto della fine del mondo di Dino Buzzati, quando vediamo alla fine un fraticello camminare disperato che esclama: "ma a me, chi mi confessa?". Devo ammettere che il mio primo pensiero è stato quello di Oscar Wilde: "fermate il mondo! voglio scendere!" Ma poi mi è sovvenuto il discorso recente con la mia vecchia madre: noi andiamo a letto con la pancia piena, abbiamo un tetto sulla testa, la casa riscaldata, possiamo fare progetti per il futuro, pensare che quello che facciamo potrà influenzare il nostro destino. Dei nosti talenti, dovremmo renderne conto a chi ce li ha affidati, con coraggio e occhi aperti.
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