White Girl

   
   
   

L'interminabile spirale della droga. Valutazione 2 stelle su cinque

di ashtray_bliss


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venerdì 13 gennaio 2017

White Girl si pone come l'ennesima rivisitazione sulla tematica della droga in relazione a mondo dei giovanissimi, all'interno del quale la droga è facilmente reperibile e rappresenta la chiave principale per divertirsi, perdere ogni controllo, sballarsi e cercare l'emozione più estrema che si possa desiderare di provare. In tale contesto il film ci riesce benissimo, ma non offre qualcosa di nuovo o di diverso rispetto ad altre pellicole precedenti a questa. Candie (ed. italiana "Paradiso + Inferno") ad esempio è una storia simile ma offre più spessore ai suoi personaggi, facendoti immedesimare nella loro psiche, facendoti sentire l'orrore della dipendenza e lasciandoti uno spiraglio di speranza. Ovviamente non voglio nemmeno citare l'inarrivabile Requiem for a Dream che è una vera discesa all'inferno, una condensa di situazioni ed emozioni viscerali, un vortice che ti trascina al fondo e non ti permette più di risollevarti.
In questa pellicola del tutto rispettabile ma poco incisiva, della regista Elisabeth Wood, ritroviamo i tipici elementi di un film che mette a nudo la decadenza sociale e morale di una New York composta da giovani che si spingono all'estremo pur di provare un briciolo di emozione. Il disagio giovanile qui si fa meno marcato perchè evidentemente che non è quello cio che spinge i giovani ragazzi a fare uso (e abuso) di droga ma proprio l'opposto. Il benessere e la voglia di divertirsi e sballarsi, di spingersi oltre i limiti della banale quotidianità e sperimentare comportamenti disinibiti e impavidi. 
Anche il titolo, White Girl vorrebbe essere tanto d'impatto quanto fuor viante. In America è noto e consolidato che le persone vengono distinte anche per la loro etnia, o "razza", e chiamate in tal modo anche con un senso spregiativo. Gli Whites americani sono quelli che detengono i famosi privilegi, ed infatti il titolo potrebbe essere allusivo al cosidetto white privilege (sociale, economico e politico) fornendo un contrasto tra la ragazza bianca protagonista, indubbiamente privilegiata dal momento che si può permettere di trasferirsi a New York per frequentare il college, e il suo declino progressivo da quando incontra Blue, un ragazzo latino che vive di spaccio insieme alla sua gang di strada. Ma metaforicamente parlando, la white girl del titolo potrebbe essere la cocaina della quale Leah diventa dipendente.
Leah infatti intraprende una repentina discesa all'inferno appena inizia a frequentare Blue e fare uso della coca che lui stesso vende nelle strade del Queens. Non esistono più mezze misure e l'uso sfrenato e scellerato della droga viene ripreso e proposto talmente tanto da schifare, letteralmente, lo spettatore. Il plot twist arriva dal momento che Blue verrà arrestato e Leah si darà da fare per liberarlo. Ma per lei ogni giorno che passa e ogni istante che spreca a farsi di droga significano scendere sempre più in basso, moralmente e socialmente. Il peggio non è mai abbastanza e dopo aver subito violenze fisiche e minacce, dopo aver stremato il suo organismo a forza di interminabili party a base di sesso e droga, dopo aver raggiunto un tale livello di bassezza e vacuità morale non resta più margine per fare nulla se non risollevarsi. Leah riuscirà a far uscire Blue dal carcere ma non appena capirà di che pasta è veramente fatto il ragazzo (un brutale assassino), allora, avviene una sorta di illuminazione. La sua vita non è finita, il college è appena iniziato, il futuro è ancora nelle sue mani. Con una scena che lascia spazio alla speranza si conclude quest'altra pellicola 'pugno nello stomaco'. 
Bravissima e molto convincente in una parte così impegnativa, problematica e difficile la giovane protagonista. Regia da capogiro e tratti nauseabonda, però sempre vicina ai protagonisti e molto realistica nel rappresentare questa ricerca costante di edonismo che si trasforma in una corsa verso l'autodistruzione, attraverso l'abuso di droga da parte dei giovani New Yorkesi. In definitiva la Wood confeziona un prodotto d'impatto e crea un ritratto sconfortante ma verosimile e realistico della gioventù odierna in perenne ricerca di nuove emozioni e disposti a tutto pur di vivere quegli attimi fugaci (e fuggenti) di emozioni senza calcolare minimamente il danno che provocano a loro stessi e chi gli gravita attorno. Ma la sua pellicolla risulta altresì priva di pathos e spessore psicologico ed emotivo dei suoi protagonisti non riuscendo ad essere incisiva come vorrebbe. 
2.5/5.

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