The Boy

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Un film di William Brent Bell. Con Lauren Cohan, Rupert Evans, Jim Norton, Diana Hardcastle, Ben Robson.
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Titolo originale The Boy. Horror, Ratings: Kids+16, durata 97 min. - USA 2016. - Eagle Pictures uscita giovedì 12 maggio 2016. MYMONETRO The Boy * * 1/2 - - valutazione media: 2,59 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La bambola fa sempre paura Valutazione 3 stelle su cinque

di ValterChiappa


Feedback: 5031 | altri commenti e recensioni di ValterChiappa
mercoledì 18 ottobre 2017

I film horror che regolarmente appaiono in programmazione sono ormai come un piatto tradizionale, che so, una amatriciana. Partendo da pochi ingredienti, sempre quelli, la riuscita dipende da un insieme alquanto ristretto di variabili: la qualità della materia prima, i tempi di cottura giusti. Ma sempre di una amatriciana si tratta. Così gli appassionati del genere, di fronte ad una nuova uscita, sanno già che non verranno sorpresi, quando, avendone desiderio, usciranno per gustare per l’ennesima volta il loro piatto preferito.
Anche in “The boy”, del giovane americano William Brent Bell, promettente specialista, ci sono tutti gli ingredienti tradizionali della ricetta: la casa gotica dagli ambienti lugubri e le scale cigolanti, il contesto rigorosamente isolato da ogni forma di civilizzazione, gli anziani proprietari un po’ strambi: un posto da cui ogni essere sano di mente scapperebbe a gambe levate, se non si trattasse appunto della trama di un film dell’orrore. Sempre quelli anche gli strumenti tecnici nelle mani del regista: protagonisti ripresi costantemente da dietro, nella sospensiva attesa di qualche coltello che gli si pianti nella schiena o di due mani che li afferrino al collo, inquadrature che si stringono repentinamente su dettagli cruciali, ambienti claustrofobici da contrapporre a una natura mai rasserenante, ombre, molte, e fasci di luce, cupi e sommessi vibrare d’archi pronti ad un improvviso crescendo.
“The boy”
però utilizza come elemento portante uno dei protagonisti più utilizzati dei narratori del genere e più amati dai suoi cultori: la bambola. Dal pupazzo meccanico di “Profondo Rosso” fino alla demoniaca “Annabelle”, passando per il sanguinario burattino di “Saw” e la Chucky di “La bambola assassina”, la perenne fissità dello sguardo e il contrasto fra l’apparente inanimatezza e l’ipotetica presenza sono strumenti ideali per turbare i sogni degli spettatori.
Greta (Lauren Cohan), una graziosa ragazza americana in fuga da un passato cupo e misterioso, giunge nella nebbiosa campagna inglese per far da baby-sitter al figlio di un’aristocratica coppia.  Subito la sorpresa: Brahms, il bambino, non è di carne ed ossa, ma è un pupazzo di ceramica a grandezza naturale. Gli anziani genitori lo accudiscono come fosse vero: lo cambiano, gli raccontano favole, gli fanno ascoltare la musica preferita. Dopo l’iniziale stupore Greta, venuta a sapere che il vero Brahms era perito vent’anni prima nell’incendio di casa, accondiscende i due vecchi ed accetta la stravagante proposta. Ma quando questi partono per una vacanza, la ragazza pensa di poter fare di testa sua: comincia a flirtare con un bel giovanotto locale (Rupert Evans) e soprattutto trascura il decalogo di rigide regole che le sono state lasciate per l’accudimento. Ovviamente qui le cose cominciano a complicarsi: fenomeni inspiegabili, voci lamentose ed altre amenità del genere lasciano intendere che il pupazzo sia tutt’altro che inanimato.
Alla fine il piatto riesce: la tensione è costante e si salta sulla sedia al momento giusto; la macchina da presa di William Brent Bell si muove sapientemente, supportata da un’ottima fotografia; la protagonista Lauren Cohan, ormai navigata nel genere dopo il successo di “The walking dead”, è efficace; ma più bravo (non è una battuta) è il pupazzo: è il suo sguardo vitreo continuamente puntato sull’inerme spettatore a provocare i brividi più intensi.
In più, rispetto ad analoghi prodotti che spesso, dopo aver camminato su binari già tracciati, evolvono per di più verso un finale banale o prevedibile, in “The boy” la scrittura sviluppa, nel suo svolgimento, un tema credibile e non scontato, come il legame simbiotico che, per via del suo vissuto, la protagonista instaura ad un certo punto con la bambola e congegna un colpo di scena finale che è veramente tale, sorprendente e giustamente terrificante.
Si intenda, “The boy” rimane un prodotto standard, ma la bambola ancora una volta funziona. E se, come ogni tanto accade, vi prende un’insana fame di paura, saprà saziarvi.
Voto: 6

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