giuliog02
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lunedì 19 giugno 2017
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coazione a ripetere
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Vicenda truce, opprimente, narrata in stile prettamente teatrale. Fin dall'inizio la narrazione, lenta, si connota per una ripetitività di scene che prospettano chiaramente allo spettatore il supplizio cui sarà sottoposto in seguito. Sarebbe il momento opportuno per andarsene. Quando un film inizia così, lo spettatore, che non vuol farsi avvelenare l'animo ed il fegato, deve avere il coraggio di alzarsi e abbandonare la sala. Ciò che verrà dopo sarà chiaramente peggio. In effetti il film avanza implacabilmente attraverso una narrazione opprimente, sadica, costrittiva e violenta. Di quella violenza cerebrale, che é ben peggiore di quella rappresentata nei film sui massacri compiuti dalle SS.
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Vicenda truce, opprimente, narrata in stile prettamente teatrale. Fin dall'inizio la narrazione, lenta, si connota per una ripetitività di scene che prospettano chiaramente allo spettatore il supplizio cui sarà sottoposto in seguito. Sarebbe il momento opportuno per andarsene. Quando un film inizia così, lo spettatore, che non vuol farsi avvelenare l'animo ed il fegato, deve avere il coraggio di alzarsi e abbandonare la sala. Ciò che verrà dopo sarà chiaramente peggio. In effetti il film avanza implacabilmente attraverso una narrazione opprimente, sadica, costrittiva e violenta. Di quella violenza cerebrale, che é ben peggiore di quella rappresentata nei film sui massacri compiuti dalle SS. La regia é talmente impegnata nel martellare lo spirito delllo spettatore da mettere in scena persino un gatto dall'aspetto sgradevole e l'accompagnamento musicale o non c'é o se c'é, é volutamente tale da impedire un qualsiasi barlume di sollievo dell'abbattuto spettatore. Alla fine della proiezione un agghiacciante silenzio in sala ha espresso la condivisa disapprovazione del pubblico.. Pollice verso. E tenere bene a mente chi é il regista..................
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fabiofeli
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domenica 25 giugno 2017
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in prigione, sulla croce, nella tomba, in cielo
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Nell’Inghilterra dell’ottocento un gelido vecchio possidente, Boris (Christopher Fairbank), “compera” una moglie giovane e bella, Katherine (Florence Pugh), per il figlio debosciato, Alexander (Paul Hilton), perché vuole un erede per i suoi beni. Ma l’erede non arriva, perché Alexander guarda Katherine nuda e si masturba, dicendo al padre che la moglie rifiuta i rapporti coniugali. Boris crede alla bugia del figlio e aggredisce la nuora rimproverandola; afferma che si assenterà da casa e che anche suo figlio ha un impegno fuori – “uno scoppio in miniera”, dice -, ma al suo ritorno tutto dovrà cambiare.
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Nell’Inghilterra dell’ottocento un gelido vecchio possidente, Boris (Christopher Fairbank), “compera” una moglie giovane e bella, Katherine (Florence Pugh), per il figlio debosciato, Alexander (Paul Hilton), perché vuole un erede per i suoi beni. Ma l’erede non arriva, perché Alexander guarda Katherine nuda e si masturba, dicendo al padre che la moglie rifiuta i rapporti coniugali. Boris crede alla bugia del figlio e aggredisce la nuora rimproverandola; afferma che si assenterà da casa e che anche suo figlio ha un impegno fuori – “uno scoppio in miniera”, dice -, ma al suo ritorno tutto dovrà cambiare. La vita della donna segue ritmi lenti; una domestica di colore, Anna (Naomi Ackie), prende cura della sua persona: l’aiuta a fare il bagno, le spazzola i lunghi capelli, le stringe il bustino e le mette il reggi gonna a campana. Katherine fa lunghe passeggiate nella brughiera, incurante del tempo minaccioso. Un giorno scopre che nella stalla del maniero i servitori si “giocano” la sua domestica per fare sesso con lei e li punisce sprezzante. Il più sfacciato degli stallieri, Sebastian (Cosmo Jarvis), si introduce nella camera da letto di Katherine e l’infuocato rapporto che scaturisce dall’incontro prepara la tragedia …
La storia, tratta dal romanzo russo di Pleskov con un finale modificato e trasposta dalla Russia zarista al Nord dell’Inghilterra ai confini con la Scozia, narra di una donna che si accende di passione per un uomo “inferiore” e si macchia di delitti. Il destino che accomuna i due è a loro dire “in prigione, sulla croce, nella tomba, in cielo”, una blasfema copia della Passione di Cristo. L’assenza di commento musicale accentua la qualità della splendida fotografia del film che lascia spaziare lo sguardo sui fitti boschi e le brughiere avvolti nella nebbia, il glen colmo d’acqua e l’emissario gonfio e fangoso. I colori dominanti degli interni della manor ricordano i quadri di Vermeer con i freddi bianchi delle pareti, il blu e il nero dei vestiti, l’ocra e l’arancio delle luci e delle tappezzerie, il severo marrone scuro dei mobili. I dialoghi sono essenziali: la Pugh recita con gli sguardi, ora imbarazzati e perplessi, ora duri e sprezzanti, a volte appena sorridenti e soddisfatti. Anche le fredde figure di possidenti e notabili, di vecchi prelati e inquirenti sono icone memorabili come pure la servitù trattata al pari di animali, anzi perfino peggio dei cani, utili nella caccia e quindi da curare e seguire, e dell’inquietante gatto di casa che si può sedere a tavola come una persona. E’ un mondo disumano diviso in rigide classi sociali, che se si contaminano l’una con l’altra generano scandalo, abominio e disordine intollerabile; l’uomo è homini lupus e quello che conta è solo “la roba” come nei romanzi di Verga: Il possesso della terra, del denaro, delle persone. La donna povera e “comperata” può essere solo una fattrice, a meno che non rivendichi un ruolo diverso e si trasformi in una gelida e spietata possidente a sua volta, perdendo la sua umanità. Un film che genera una grande quantità di pensieri e riflessioni nello spettatore non può non essere definito straordinario.
Valutazione ****
FabioFeli
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