enzo70
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giovedì 25 febbraio 2016
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la storia di un uomo coraggioso
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Dalton Trambo è lo sceneggiatore, tra gli altri soggetti cinematografici, di vacanze romane, la grande corrida, Spartacus e Papillon; pagato moltissimo per il suo valoro, era comunista. Nulla di strano, direbbe Zelone, ma Trambo viveva e lavorava negli Stati Uniti nel dopoguerra; era il periodo della commissione McCarthy, delle liste di proscrizione, della guerra fredda ed essere comunisti era un reato, astrattamente ascrivibile alle attività antidemocratiche. Il regista Jay Roach racconta con grande linearità la storia dell’autore americano, ottimamente interpretato da Bryan Cranston. Come detto la storia viene raccontata in maniera semplice e così facendo emerge sia la forza morale, con le sue contraddizioni, dell’artista americano sia il clima surreale che si respirava nel paese delle libertà.
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Dalton Trambo è lo sceneggiatore, tra gli altri soggetti cinematografici, di vacanze romane, la grande corrida, Spartacus e Papillon; pagato moltissimo per il suo valoro, era comunista. Nulla di strano, direbbe Zelone, ma Trambo viveva e lavorava negli Stati Uniti nel dopoguerra; era il periodo della commissione McCarthy, delle liste di proscrizione, della guerra fredda ed essere comunisti era un reato, astrattamente ascrivibile alle attività antidemocratiche. Il regista Jay Roach racconta con grande linearità la storia dell’autore americano, ottimamente interpretato da Bryan Cranston. Come detto la storia viene raccontata in maniera semplice e così facendo emerge sia la forza morale, con le sue contraddizioni, dell’artista americano sia il clima surreale che si respirava nel paese delle libertà. La lotta esterna all’Unione Sovietica si trasformò, infatti, in una guerra interna contro la libertà di pensiero, inusuale per la cultura a stelle e strisce. La scelta del regista di lasciare in secondo piano la vicenda politica di Trambo, rispetto al piano umano, famigliare e per certi profili intimo, è a mio avviso corretta, perché alla consueta, e facile, creazione del mito, si sovrappone il racconto di un uomo. Con una prospettiva storica molto intelligente, anche sotto il profilo della denuncia e del richiamo alla memoria.
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mattiabertaina
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martedì 16 febbraio 2016
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bello senz'anima...
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Tutti conosciamo il grande classico "Vacanze romane", commedia romantica con Gregory Peck e Audrey Hepburn, del 1953. Pochissimi sanno che per diversi anni il soggetto della storia che ne dà struttura è stato attribuito allo sceneggiatore Ian McLellan Hunter e non invece al suo vero autore, Dalton Trumbo. Trumbo, sceneggiatore appassionato e geniale, con il vizio di scrivere storie nella sua vasca da bagno, era infatti stato inserito nella lista nera dei "Dieci di Hollywood" dal Comitato per le attività antiamericane, che di fatto costringeva Dalton ad un esilio forzato dalle scene (e allo scrivere i suoi lavori sotto falso nome). Il comunismo era diventato, con le conseguenze portate dalla Guerra Fredda, il principale nemico della democrazia e gli iscritti al Partito erano improvvisamente divenuti sgraditi, illuminati da un alone di sospetto.
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Tutti conosciamo il grande classico "Vacanze romane", commedia romantica con Gregory Peck e Audrey Hepburn, del 1953. Pochissimi sanno che per diversi anni il soggetto della storia che ne dà struttura è stato attribuito allo sceneggiatore Ian McLellan Hunter e non invece al suo vero autore, Dalton Trumbo. Trumbo, sceneggiatore appassionato e geniale, con il vizio di scrivere storie nella sua vasca da bagno, era infatti stato inserito nella lista nera dei "Dieci di Hollywood" dal Comitato per le attività antiamericane, che di fatto costringeva Dalton ad un esilio forzato dalle scene (e allo scrivere i suoi lavori sotto falso nome). Il comunismo era diventato, con le conseguenze portate dalla Guerra Fredda, il principale nemico della democrazia e gli iscritti al Partito erano improvvisamente divenuti sgraditi, illuminati da un alone di sospetto. Dalton Trumbo, convinto sostenitore dei diritti dei lavoratori e della ridistribuzione della ricchezza, tra i personaggi più ricercati dalle grandi major, dalla Warner alla RKO ha il volto di Bryan Cranston, che corre per l'Oscar come miglior attore protagonista. Al suo fianco un parterre importante di attori, da Diane Lane nei panni della moglie Cleo ad Helen Mirren, la giornalista senza scrupoli Hopper, da John Goodman nelle vesti del produttore Frank King ad Elle Fanning, giovane figlia del protagonista. Buono il soggetto, di interesse, una storia da raccontare insomma, di spessore l'interpretazione di Cranston che conferisce umanità e credibilità a Trumbo, accurata la ricostruzione storica con cine-giornali girati con filigrana dell'epoca attenti ai costumi ed al "formato", interviste, retroscena. Il regista Jay Roach si muove con disinvoltura ai tempi del maccartismo, periodo in cui la folle "caccia alle streghe" non soltanto continuò ma si acuì ulteriormente, giocando con inserti gustosi, come il giovane Kirk Douglas alle prese con il girato di Spartacus ed un Otto Preminger singolare protagonista di spedizione in Rolls Royce davanti a casa Trumbo. Quello che manca al biografico "L'ultima parola - la vera storia di Dalton Trumbo" è una ricerca che vada aldilà della patinata confezione a stelle e strisce, senz'altro impeccabile ma fondamentalmente senz'anima, un prodotto che non riesce a lavorare sul lato emozionale, sull'uomo che dà corpo alla storia, il vero Trumbo, che patì anche il carcere per le sue idee politiche. Tanta Hollywood, ma poca dinamica di personaggi e poca indagine sulle contraddizioni, sulle sfaccettature e sulle mille e una implicazioni degli attori e degli uomini di potere che in quel tempo gravitavano dentro e fuori la storia raccontata. Un film da vedere ma, a parere di chi scrive, non indimenticabile.
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dhany coraucci
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martedì 1 marzo 2016
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attendibile, dettagliato ma manca il dramma umano
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Se avessi avuto ancora dei dubbi, ora so per certo che Il Prestanome è davvero un film magnifico. Non ho sbagliato recensione, mi riferisco proprio al film di Martin Ritt del 1976 che ha come protagonista Woody Allen. Naturalmente queste considerazioni non promettono nulla di buono, visto che il film di cui mi sto occupando è un altro, ma l'argomento è lo stesso, quell'oscura caccia alle streghe (comuniste) che scompaginò la dorata Hollywood degli anni 40 e che finì per triturare anche uno scrittore del calibro di Dashiel Hammett, finito in prigione e poi morto proprio perché si appellò al quinto emendamento pur di non cedere al ricatto.
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Se avessi avuto ancora dei dubbi, ora so per certo che Il Prestanome è davvero un film magnifico. Non ho sbagliato recensione, mi riferisco proprio al film di Martin Ritt del 1976 che ha come protagonista Woody Allen. Naturalmente queste considerazioni non promettono nulla di buono, visto che il film di cui mi sto occupando è un altro, ma l'argomento è lo stesso, quell'oscura caccia alle streghe (comuniste) che scompaginò la dorata Hollywood degli anni 40 e che finì per triturare anche uno scrittore del calibro di Dashiel Hammett, finito in prigione e poi morto proprio perché si appellò al quinto emendamento pur di non cedere al ricatto. Ma torniamo al nostro film: anzi, torniamo al Prestanome. Il cui pregio è di mettere in scena non solo l'oscurantismo di quegli anni, ma il dramma umano, nella sua più completa interezza, così da diventare una cosa di tutti. Ecco quello che manca a questo film, per me: più attendibile per quel che riguarda l'analisi dei fatti e dei personaggi, più documentato, più storicamente dettagliato ma che non coinvolge, come vorrebbe, sul piano emotivo perché, senza togliere nulla alla perizia con la quale Bryan Cranston si avvicina al personaggio, rimane sempre confinato nella scintillante Hollywood, quella delle ville e delle piscine da sogno per intenderci, distanti mille miglia dai nostri grigi condomini. E se la seconda parte risulta più incisiva della prima, e se tutti gli sforzi di quest'uomo che scrive e scrive sono ben sottolineati, alla fine non hai che un unico desiderio: tornare a rivedere Il Prestanome.
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(di luca1968)
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