jonnylogan
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giovedì 16 febbraio 2023
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da via pisana al resto del mondo
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Sullo sfondo di una Firenze che cambia spiccano i volti di Tommaso, figlio dell’addetto alle proiezioni interpretato da Claudio Bigagli. Di Alice e di Marcello, figli di due avventori che abitualmente perdevano i loro sabati pomeriggio al cinema Universale di Via Pisana.
I tre inizialmente amici per la pelle, inseparabili da piccoli ma lontani da adulti, perché divisi da interessi capaci di minarne la frequentazione ma non un’amicizia granitica, proseguono nel corso del tempo a capirsi e fraintendersi, avvicinandosi e successivamente riperdendosi, il tutto sullo sfondo di una mutazione sociale che invade lentamente la vita di ognuno portandolo a cambiare le proprie scelte nel mentre che la vita di Firenze, dell’Italia e dell’Europa sono solcate dal terrorismo, dall’eroina, dallo sbarco del Punk, dal Rock dei Litfiba e dai fatti di cronaca che stavano variando le esistenze di tutti e che solo apparentemente stavano lambendo la vita della voce narrante cresciuto fra la passione per il cinema, dove alla fine si è adattato a lavorare, e gli studi di Lettere moderne all’Università.
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Sullo sfondo di una Firenze che cambia spiccano i volti di Tommaso, figlio dell’addetto alle proiezioni interpretato da Claudio Bigagli. Di Alice e di Marcello, figli di due avventori che abitualmente perdevano i loro sabati pomeriggio al cinema Universale di Via Pisana.
I tre inizialmente amici per la pelle, inseparabili da piccoli ma lontani da adulti, perché divisi da interessi capaci di minarne la frequentazione ma non un’amicizia granitica, proseguono nel corso del tempo a capirsi e fraintendersi, avvicinandosi e successivamente riperdendosi, il tutto sullo sfondo di una mutazione sociale che invade lentamente la vita di ognuno portandolo a cambiare le proprie scelte nel mentre che la vita di Firenze, dell’Italia e dell’Europa sono solcate dal terrorismo, dall’eroina, dallo sbarco del Punk, dal Rock dei Litfiba e dai fatti di cronaca che stavano variando le esistenze di tutti e che solo apparentemente stavano lambendo la vita della voce narrante cresciuto fra la passione per il cinema, dove alla fine si è adattato a lavorare, e gli studi di Lettere moderne all’Università.
Federico Micali ci regala una seconda narrazione dedicata al vero cinema Universale chiuso nel 1989. Una narrazione che arriva dopo il bel documentario del 2007 che ne aveva raccontato le gesta che invece in quest’occasione hanno abbandonato la narrazione documentaristica dando invece vita a una pellicola che regala allo spettatore una perfetta ricostruzione dei ‘70, non tediandolo con lacrime intrise di facile nostalgia ma pescando ad ampissime mani fra i classici della nostra cinematografia fra cui spiccano il Monicelli di Amici Miei e il Marco Tullio Giordana del La Meglio Gioventù.
A dare la voce e i volti ai protagonisti dell’Universale vi sono Matilda Lutz nel ruolo di Alice. Robin Mugnaini, nella parte di Marcello e soprattutto Francesco Turbanti, in quello di Tommaso, già visto in Acciaio e ne I primi della lista, di Roan Johnson e più recentemente fra i protagonisti di Margini, e qui impegnato a raccontare fuori campo la propria vita fatta di molto studio e di altrettanto cinema, intravisto attraverso lo spioncino della sala proiezione.
Micali riesce nell’impresa non semplice di ricavare un’opera prima godibile e che ha tutto per spingere lo spettatore a rimpiangere un periodo culturalmente florido, con la certezza che al tempo stesso quegli anni pieni di piombo ed eroina sono finalmente passati e che non vanno rimpianti più di troppo, esattamente come ci dice Tommaso, sulle ultime impervie curve della narrazione.
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no_data
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lunedì 12 settembre 2016
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bello
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Un po' Nuovo Cina Paradiso, un po' Berlinguer ti Voglio Bene
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pier delmonte
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lunedì 23 maggio 2016
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molto toscano
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Non credo che Micali (regista) abbia voluto con questo film affrontare e approfondire certi temi che hanno caratterizzato gli anni 70’ e 80’, se cosi’ non fosse non ci siamo proprio, viceversa la storiella toscana ha garbo e narrata bene, e quell’ “aiutami!” della ragazza mi ha commosso. Aspettiamo il Micali ad una prova piu’ impegnativa.
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no_data
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domenica 22 maggio 2016
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congratulazioni a micali e a nuvola
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Ottimo il film e la recensione di Nuvola talmente bella e azzeccata da farmi desiderare d'incastonarla nella memoria.
Il cinema secondo Rossellini non è arte. Sarà pure, ma certamente è in grado di stimolare cervelli e talenti d'artisti veri.
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lamiriam_
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sabato 30 aprile 2016
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l'universale: un film che ama (e fa amare) firenze
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L’Universale è una sala cinematografica storica dell’Oltrarno fiorentino -al Pignone subito fuori Porta San Frediano- che negli anni cambia e si trasforma per rincorrere le mutazioni della società e degli spettatori. Dai grandi colossal hollywoodiani girati a Cinecittà fino a Akira Kurosawa e il neorealismo italiano.
Nel mezzo c’è tutto quello che è successo in Italia, e a Firenze, fra l’inizio degli anni ’70 e la fine degli anni ’80. Ci sono le contestazioni, PCI e lotta armata, c’è la musica e le prime radio libere, il cinema impegnato, le rokkoteche (con le K), ci sono gli acidi, le comuni, scappare a Londra perché “è lì che succedono le cose”, e poi c’è l’eroina.
A L’Universale il vero spettacolo non era il film, ma il pubblico
La grandezza di questo film sta nel mantenere nel racconto lo stesso spirito che si respirava in quella sala, e ciò che gira intorno a L’Universale non può che avere la battuta -a volte amara, spesso sessista- sempre pronta.
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L’Universale è una sala cinematografica storica dell’Oltrarno fiorentino -al Pignone subito fuori Porta San Frediano- che negli anni cambia e si trasforma per rincorrere le mutazioni della società e degli spettatori. Dai grandi colossal hollywoodiani girati a Cinecittà fino a Akira Kurosawa e il neorealismo italiano.
Nel mezzo c’è tutto quello che è successo in Italia, e a Firenze, fra l’inizio degli anni ’70 e la fine degli anni ’80. Ci sono le contestazioni, PCI e lotta armata, c’è la musica e le prime radio libere, il cinema impegnato, le rokkoteche (con le K), ci sono gli acidi, le comuni, scappare a Londra perché “è lì che succedono le cose”, e poi c’è l’eroina.
A L’Universale il vero spettacolo non era il film, ma il pubblico
La grandezza di questo film sta nel mantenere nel racconto lo stesso spirito che si respirava in quella sala, e ciò che gira intorno a L’Universale non può che avere la battuta -a volte amara, spesso sessista- sempre pronta.
Federico Micali è il regista e prima del lungometraggio aveva dedicato alla sala d’Oltrarno un documentario: Cinema Universale d’Essai. Il suo impegno nel raccontare la storia e la leggenda de L’Universale è totale, una dedizione e un amore che si intravede in ogni fotogramma. La prima del documentario a Firenze -qualche anno fa- riportò tutti attraverso le immagini in quella sala, anche quelli che non c’erano mai stati (basta vedere i primi 2.11 minuti del documentario per capire cosa ha significato quel cinema per un’intera generazione). Quel giorno la metà degli spettatori aveva i capelli bianchi e le rughe ai lati della bocca, ma le grida e le risate in sala erano quelle, le stesse.
Questo non è un documentario, ma un film a tutti gli effetti
Siamo di fronte a un film che ama Firenze e fa amare Firenze e i fiorentini. E siamo davanti ad alcuni attori di cui speri di vedere presto in qualcosa di nuovo.
C’è una scena che racconta da sola il sapore di questo film, ed è quella dell’auto fuori dalla Rokkoteca Brighton (altro posto storico di Firenze, dove nella realtà e nella finzione suonano dei giovanissimi Litfiba). In pochi minuti lo spettatore vive un momento di tensione in salita, ma la bravura, l’eccezionale bravura di Francesco Turbanti-Tommaso, riporta tutto al suo posto.
Qui non ci sono eroi. L’Universale racconta storie normali, comuni, con una delicatezza che carica di bellezza il racconto.
Bravo Claudio Bigagli, che porta la sua grande esperienza nella pellicola, eccezionale Maurizio Lombardi da cui ti aspetti tanto ad ogni scena -e non delude- e poi c’è Francesco Turbanti che riesce a tenere fra le mani il film e a stringerlo fino alla fine, senza farlo scappare mai.
È una pellicola che è in grado di fare una cosa speciale per Firenze e il suo passato: non guarda indietro con inutile nostalgia ma celebra col sorriso sulle labbra. E poi fa piangere -sì, io ho pianto- nella piccola/lenta/immaginata marcia verso Santo Spirito. Perché bisogna scendere in piazza, almeno una volta, per concedere un ultimo degno ricordo a un posto che ha fatto storia, e alle persone che l’hanno animato. L’Universale non ha avuto questo privilegio. Federico Micali con questa pellicola gliel’ha concesso.
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nuvola riccia
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giovedì 28 aprile 2016
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sale resistenti
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18 Aprile. Premiere romana de “L’ Universale” a Roma. Il regista toscano Federico Micali, sottolinea entusiasta di sentirsi a casa in una “sala resistente” come l’ “Apollo Undici”, anche senza lustrini. Buio in sala. E ci troviamo in un parco, in una primavera di fine anni ‘60. Lei è in piedi su una panchina, vispa e impettita. Avrà meno di dodici anni. Sdraiato al suolo, un suo coetaneo, soffia più forte che può affinché la gonna dell’ amica si sollevi e lei possa sentirsi la Marylin di “Una moglie in vacanza”. Un terzo amico li guarda con sufficienza finché i tre passano a un’altra bischerata.
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18 Aprile. Premiere romana de “L’ Universale” a Roma. Il regista toscano Federico Micali, sottolinea entusiasta di sentirsi a casa in una “sala resistente” come l’ “Apollo Undici”, anche senza lustrini. Buio in sala. E ci troviamo in un parco, in una primavera di fine anni ‘60. Lei è in piedi su una panchina, vispa e impettita. Avrà meno di dodici anni. Sdraiato al suolo, un suo coetaneo, soffia più forte che può affinché la gonna dell’ amica si sollevi e lei possa sentirsi la Marylin di “Una moglie in vacanza”. Un terzo amico li guarda con sufficienza finché i tre passano a un’altra bischerata.
La scena anticipa l’affetto con il quale questa commedia fresca e ben confezionata tratta il cinema e lo fonde con la realtà. Siamo a Firenze, a San Frediano, nei dintorni di una leggendaria sala di quartiere, nella quale tutti vorremmo essere stati almeno una volta nella vita. I tre amici impersonati da Francesco Turbanti, Matilda Lutz e Robin Mugnaini, condensano una generazione in una storia di formazione. Tommaso è il responsabile e pacifico figlio del proiezionista del cinema “Universale” e la voce narrante del film. La ragazza della panchina è l’irresistibile Alice, che si lancerà nelle sperimentazioni più ardite degli anni ‘70 e subirà i grigi anni ‘80. Marcello, distaccato idealista, prenderà parte alle contestazioni violente di quegli anni in Italia e all’ estero.
Seguiamo le loro vicende, senza affezionarci troppo, in verità, a nessuno dei tre. E’ difficile spostare competere con il cinema Universale, che è contesto ma di fatto solido protagonista del film. Nel 2008, Federico Micali aveva già raccontato quello spazio libero ed eccentrico, nel delizioso documentario, “Cinema universale d’Essai”. Aneddoti personali, acconti di performance collettive improvvisate, riferimenti a battute leggendarie restituivano il sapore e l’ evoluzione di quella sala, contestualizzando magistralmente i cambiamenti che aveva vissuto in vent’ anni la sala e anche la controcultura fiorentina.
La commedia scritta da Micali insieme a Cosimo Calamanini e Heidrun Schleef, Palma d’ Oro per la “La stanza del figlio”, aggiunge spessore emotivo e vitalità a quel racconto. Mostra rigore documentaristico nei dettagli scenografici per le vie di Firenze, nei costumi, nel racconto degli eventi in sala. Attinge all’analisi diacronica e culturale del lavoro precedente e stimola lo spettatore con i titoli cinematografici del tempo e le trasformazioni culturali del paese. All’Universale anche i film “da intellettuali” erano visti e “discussi” da un pubblico eterogeneo, finché nel 1989 quella sala non fu costretta ad abbassare le saracinesche, come è successo a svariate piccole sale altrove. Il film, non lascia troppo spazio alla nostalgia, velatamente presente. Prevalgono l’ironia sferzante, tutta toscana, che non risparmia neanche i divi di Hollywood e il gusto del film come esperienza collettiva. Una scena della commedia di Micali riporta alla proiezione di “Ultimo Tango a Parigi” all’ Universale. Mentre Marlon Brando stava imburrando la povera Maria Schneider, in sala si levò un urlo: “Abburracciugagnene!” Il salace neologismo, rimanda alla merenda, a base di pane burro e acciughe, citata alcune scene prima anche dalla sanguigna cassiera dell’ Universale. Quell’ “aneddoto” rende chiaro il senso delle “sale resistenti”, dove l’ esperienza condivisa del cinema, supera e integra l’ opera cinematografica, anche con sfumature bizzarre.
Altro punto di forza di questo film, tenacemente voluto da Micali, che l’ ha prodotto e distribuito con Ruggero Dipaola con “L’ occhio e la luna”, sono spalle come Claudio Bigagli , il proiezionista, padre di Tommaso, Paolo Hendel, nei panni del “programmista Ginori”, Vauro, padre di Marcello, e soprattutto, Anna Meacci, la mitica cassiera che non riesci a immaginare in un altro ruolo.
All’ “Apollo Undici”, dopo i titoli di coda, è partito un dibattito acceso e partecipato. Emulazione? Il riconoscimento degli spettatori come parte attiva dei film? Il legame di alcuni presenti con la sala fiorentina? Il pubblico di questa sala romana “resistente” non stava più zitto. Hanno ricordato la vespa, portata in sala all’ Universale a motore acceso durante la proiezione di “Easy Rider.” Anna Meacci, sferzante e vulcanica pure fuori dal set, ha sottolineato di non ricordare se lei fosse davvero all’ Universale quella sera: memoria, realtà e racconto si fondono e confondono per eventi leggendari e partecipati.
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lucamartinelli
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giovedì 28 aprile 2016
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viaggio nella memoria tra tante anime diverse
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Devo dire qualcosa sul film “L’Universale”. Sono contento di averlo visto.
Un film per prima cosa ci presenta dei protagonisti, ma nel caso dell’Universale è una comunità intera di personaggi ben descritti che fanno attraversare un periodo storico importante e – parlo per me – toccano in cose molto personali.
Il vecchio proiettore Cinemeccanica, macchina dei sogni: quello c’ero già passato, con lacrime che non si riescono mai a trattenere, al tempo del film di Tornatore. Io ci andavo nella sala di proiezione e lo guardavo con ammirazione. Era bello veder girare quei bobinoni del trentacinque millimetri e vederlo sparare fuori quel fascio di luce attraversato dal fumo.
Poi quando sono stato più grandicello ho fatto pure io il proiezionista e lì mi sono rivisto uguale identico in una delle scene migliori del film: il dialogo su Kurosawa dalla sala di proiezione.
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Devo dire qualcosa sul film “L’Universale”. Sono contento di averlo visto.
Un film per prima cosa ci presenta dei protagonisti, ma nel caso dell’Universale è una comunità intera di personaggi ben descritti che fanno attraversare un periodo storico importante e – parlo per me – toccano in cose molto personali.
Il vecchio proiettore Cinemeccanica, macchina dei sogni: quello c’ero già passato, con lacrime che non si riescono mai a trattenere, al tempo del film di Tornatore. Io ci andavo nella sala di proiezione e lo guardavo con ammirazione. Era bello veder girare quei bobinoni del trentacinque millimetri e vederlo sparare fuori quel fascio di luce attraversato dal fumo.
Poi quando sono stato più grandicello ho fatto pure io il proiezionista e lì mi sono rivisto uguale identico in una delle scene migliori del film: il dialogo su Kurosawa dalla sala di proiezione. Molti anni fa quella conversazione che hanno Hendel e Bigagli ci fu uguale identica tra me e un professore (e lo stesso film del buon Akira): “E’ lento sto film!” “Ma devi saperlo guardare!”
Fine anni Settanta e inizio Ottanta, la droga che girava, i cineforum impegnati, la radio che annunciava il sequestro Moro. Le tv private che uccidevano i piccoli cinema. Tutto questo attraversa come la famigerata Vespa quel mare di umanità che è stato il Cinema Universale di Firenze, ma anche tanti altri cinema.
E arriva il film di John Wayne atteso dal comunista Vauro… e qui caro Federico Micali mi hai centrato in pieno la figura del mì babbo, con quei film western che gli piacevano così tanto fin quando un giorno – spiazzandomi - cambiò completamente genere: “Luca il più bel film è quello di quel napoletano… Ricomincio da tre!” “Babbo, ma Troisi un si capisce quasi nulla!” “No te un capisci che è un genio!”
Aveva ragione.
L’Universale attraversa tante anime diverse. Il finale non si può dire perché io vorrei che i miei amici ci andassero a vederlo questo film. Non andate a vedere solo quelli che vanno di moda. Quando io ho visto Jeeg di Mainetti era uscito da poco ed eravamo due gatti al cinema, ora che vi hanno detto che è bello fanno a cazzotti per entrare.
Una cosa tecnica, Federico: complimenti al fonico ha fatto davvero un bel lavoro. Quello che arriva alle orecchie è importante nel cinema. Poi cavolo come l’avete invecchiata la Meacci :-)
E infine non posso non dire che il tuo spirito goliardico, che conoscevo per il funerale del Perozzi, è tornato fuori alla grande con “l’ultima proiezione immaginaria” di un film su Santo Spirito.
Quando ho visto che film era ho pensato: “Te sei matto” :-)
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zio james
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giovedì 14 aprile 2016
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un radiofreccia in declinazione cinematografica
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Premetto che ho avuto la fortuna di assistere all'anteprima del film, tenutasi ieri a Pontassieve, paese dove vivo e dove è stata girata larga parte del film.
La storia è quella di Tommaso, la cui vita ruota attorno al cinema "Universale", luogo di culto negli anni '70 e '80 del capoluogo fiorentino: figlio del proiezionista, Tommaso vive l'intera parabola che ha portato prima al successo e poi al declino di questo cinema d'essai, con i suoi personaggi e le sue storie a metà strada fra realtà e leggenda.
Per molti aspetti ricorda Radiofreccia, dove la sala cinematografica prende il posto della radio ma si respira la stessa malinconia, e sentimenti come l'amore e la volgia di libertà si mischiano al grottesco ed alla tragedia.
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Premetto che ho avuto la fortuna di assistere all'anteprima del film, tenutasi ieri a Pontassieve, paese dove vivo e dove è stata girata larga parte del film.
La storia è quella di Tommaso, la cui vita ruota attorno al cinema "Universale", luogo di culto negli anni '70 e '80 del capoluogo fiorentino: figlio del proiezionista, Tommaso vive l'intera parabola che ha portato prima al successo e poi al declino di questo cinema d'essai, con i suoi personaggi e le sue storie a metà strada fra realtà e leggenda.
Per molti aspetti ricorda Radiofreccia, dove la sala cinematografica prende il posto della radio ma si respira la stessa malinconia, e sentimenti come l'amore e la volgia di libertà si mischiano al grottesco ed alla tragedia.
Un film certamente molto legato al territorio, ma ben realizzato (nonostante il budget ridottissimo) e godibile anche per un pubblico che non ha mai sentito parlare del cinema Universale e vuole passare due ore con un film fresco e fuori dagli schemi.
Numerose le partecipazioni di volti noti nel panorama fiorentino, da Paolo Hendel a Vauro, passando per Erriquez della Bandabardò (loro la colonna sonora del film).
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