Deborah Logan è una donna in là con gli anni affetta dalla sindrome di Alzheimer. Lei e la figlia Sarah, per cercare di rifondere i debiti contratti per le costose cure mediche, accettano di essere filmate e studiate da un gruppo di ricercatori durante le varie fasi della teribile malattia che non lascia scampo . E fin qui tutto nella norma. La vicenda, tuttavia, acquista quasi all'istante i connotati sinistri di un racconto dell'orrore. Piccoli, inquientanti indizi che non trovano alcuna spiegazione logica, fanno ben presto capire che la troupe di ricercatori ha che fare con qualcosa di ben diverso di un semplice caso clinico. C'è qualcosa in Deborah non va, e non si tratta soltanto della malattia.
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Deborah Logan è una donna in là con gli anni affetta dalla sindrome di Alzheimer. Lei e la figlia Sarah, per cercare di rifondere i debiti contratti per le costose cure mediche, accettano di essere filmate e studiate da un gruppo di ricercatori durante le varie fasi della teribile malattia che non lascia scampo . E fin qui tutto nella norma. La vicenda, tuttavia, acquista quasi all'istante i connotati sinistri di un racconto dell'orrore. Piccoli, inquientanti indizi che non trovano alcuna spiegazione logica, fanno ben presto capire che la troupe di ricercatori ha che fare con qualcosa di ben diverso di un semplice caso clinico. C'è qualcosa in Deborah non va, e non si tratta soltanto della malattia. C'è qualcosa di molto più oscuro che si agita dentro di lei. Qualcosa di mostruoso.
La pellicola diretta da Adam Robitel, fin dall'incipit, strizza l'occhio ad illustri predecessori come The Blair Witch Project di Eduardo Sanchez e Daniel Myrick, ma ancora di più a Cloverfield di J.J. Abrams, Paranormal Activity di Oren Peli e Rec di Jaume Balaguerò. E proprio con quest 'ultimo, il film di Robitel può vantare diversi punti in comune sia nella sua impostazione "documentaristica" sia nell'evolversi di una vicenda che offre brividi a sufficienza e pochi tempi morti. Così come in Rec, il film ha il pregio di disvelare la sua trama senza crollare mai nel ritmo in un'inarrestabile escalation di tensione. Le poche spiegazioni offerte sono chiare, assunti incontestabili (e ben collaudati) che tracciano le linee a ritroso del racconto per motivare ciò che sta succedendo nel presente alla povera Deborah.
The taking of Deborah Logan è, senza troppi giri di parole, un horror solido, costruito su un plot altrettanto granitico che, probabilmente, non avrebbe funzionato così bene senza l'immedesimazione dello spettatore attraverso la forzata, alle volte anche confusa, lente soggettiva. La formula del documentario restituisce credibilità e accompagna per mano lo spettatore a sbirciare con il fiato sospeso dietro lo spiraglio socchiiuso di una porta, là dove può nascondersi in agguato qualcosa di atroce e pericoloso. La struttura del film regge, anche nel passaggio tra il documentario al soprannaturale, in quei punti cruciali dove invece altri scadono nella misera farsa.
Ma il film funziona anche grazie all'efficace presenza dei suoi interpreti: il fisico emaciato, diafano di un'ottima Jill Larson è capace di incarnare perfettamente l'immagine di un corpo straziato dalla malattia e avviato ad una lenta metamorfosi/decomposizione maligna.
Tutto ciò fa di questo un prodotto ben confezionato che si colloca nel nuovo filone moderno tra i vari the Conjuring, Sinister e compagnia bella, film solitamente ben attrezzati a spaventare il pubblico grazie alla potenza degli script e a alle scelte stilistiche, spesso minimaliste, lontane dai "mostri" roboanti, mastodontici con make-up pesantissimo, tipiche degli anni '80 e '90 del secolo scorso. Restano inece le spoglie umanoidi, spettrali di corpi piegati e sottili, all'apparenza fragili e. chissà perché, capaci comunque di incutere più che mai terrore. Ed è proprio questo il caso.
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