teresa70
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sabato 17 gennaio 2015
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ottimo
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tema delicato e toccante, trattato con profondità e distacco, forse troppo distacco. da vedere .
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maggie69
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sabato 17 gennaio 2015
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l'istinto materno é "infallibile"
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Non é affatto un giallo. É la storia di una famiglia nata male che finisce male. Lei é da psicoterapeuta immediato, lui dovrebbe farsi una cura di autostima. Il film é girato bene, ottima sceneggiatura, in una aMERICA mai vista, ottimi i tagli delle scene, lri bravissima; c'é una suspance continua. Bello. Da far vedere a quelle donne che "sentono" di fare il bene dei figli, per far capire loro che l'istinto materno é l'invenzione di una donna (malata).
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marezia
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venerdì 16 gennaio 2015
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votazione anoressica, però
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Dopo una presentazione come QUELLA 3 stelle e 1/2? Cioè tra il discreto e l'ottimo? La gente guarda i voti, NON LEGGE LE SCHEDE e un parere come QUELLO è da 4 se non da 5 stelle perché NON EVIDENZIA ALCUN DIFETTO O PECCA MA LO ELOGIA SOLTANTO. Se la critica NON AIUTA IN PIENO un tipo di film che è già di nicchia, a che cosa serve?
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mammut
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venerdì 16 gennaio 2015
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da vedere
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Inizia lento ma mano mano ti coinvolge con un finale stupendo, veramente ben fatto
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lucalimon
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venerdì 16 gennaio 2015
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da rivedere
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più passano le ore e piu è presente nella mia testa. da rivedere.
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michele
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mercoledì 14 gennaio 2015
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mina's baby
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La 71a Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia lo scorso anno ha presentato tre titoli italiani in gara. Per la prima volta dopo un lungo periodo in cui il cinema nostrano è stato spesso pesantemente fischiato e criticato per le opere presentate, l’ultima edizione del Festival ha rivelato davvero degli ottimi lavori, sia Martone con ‘Il giovane favoloso’ che Munzi con il suo ‘Anime nere’ hanno emozionato il pubblico. Saverio Costanzo con ‘Hungry Hearts’ lo ha letteralmente conquistato. In lizza fino all’ultimo tra i papabili vincitori del Leone d’Oro si è dovuto accontentare (si fa per dire) dei premi sia maschile che femminile per le migliori interpretazioni, andati rispettivamente ad Adam Driver e all’italiana Alba Rohrwacher. Ambientato interamente a New York, la forza del film sta sicuramente nell’utilizzo di un artificio narrativo bello e delicato allo stesso tempo come quello della commistione dei generi cinematografici. Il film inizia in maniera comica con i due protagonisti che si conoscono in un bagno pubblico e da cui non riescono ad uscire perché la porta si è bloccata e l’aria non è molto… respirabile. Subentra la commedia che ci descrive il legame sentimentale dei due personaggi Jude e Mina che si uniscono in matrimonio e vanno a vivere in un appartamento a Manhattan. Ma la vita coniugale si sa che non è tutta rosa e fiori e quando arriva un figlio il rapporto della coppia peggiora improvvisamente. E’ il momento del dramma. Mina si rivela una madre possessiva verso il bambino. Lo costringe a seguire una dieta vegana che gli impedisce di crescere, non lo sottopone alle cure mediche di routine perché non si fida della medicina tradizionale, non escono mai di casa perché l’aria esterna potrebbe essere nociva per il piccolo. Al dramma si sostituiscono scene al limite dell’horror, scene che Costanzo riesce ad ottenere tramite una sapiente regia che sa come impostare il cambio di ritmo e di stile, uno stile che non esitiamo a definire dagli echi polanskiani (riferimenti soprattutto a ‘L’inquilino del terzo piano’ e ‘Rosemary’s baby’). La parte conclusiva è invece un thriller puro che tiene alta la suspence e la dinamica della storia, nonostante qualche sbavatura ad onor del vero in questa fase ci sia (la scena della madre che cerca di bloccare la nuora che è andata a riprendersi il figlio è profondamente sbagliata, involontariamente comica), fino ad arrivare ad un finale di struggente bellezza e malinconia. Operazione davvero interessante quella di Costanzo che ci regala un film inusuale (almeno per la cinematografia italiana) e soprattutto spiazzante per la capacità con cui, in maniera ben calibrata e precisa sa far cambiare pelle al film, spaziando attraverso una gamma di generi davvero eterogenei tra loro che non disgregano affatto la storia, ma anzi la rinsaldano e la rendono, per quanto angosciante, solida e intensa.
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24luce
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sabato 10 gennaio 2015
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evviva, distribuiscono hungry hearts nei cinema! "
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Però non definitela una storia d'amore!
Destinato a grandi polemiche, soprattutto fra il pubblico italiano, dato che descrive un “amore materno”
che amore non è, il film Hungry Hearts si fa apprezzare per il ritmo, la capacità di narrare per immagini e
l’attualità della storia, oltre che per la convincente interpretazione dei protagonisti, Jude (Adam Driver) e
Mina (Alba Rohrwacher).
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Però non definitela una storia d'amore!
Destinato a grandi polemiche, soprattutto fra il pubblico italiano, dato che descrive un “amore materno”
che amore non è, il film Hungry Hearts si fa apprezzare per il ritmo, la capacità di narrare per immagini e
l’attualità della storia, oltre che per la convincente interpretazione dei protagonisti, Jude (Adam Driver) e
Mina (Alba Rohrwacher). Americano lui e Italiana lei, si incontrano a New York, sono attratti l’uno dall’altra
e iniziano una relazione appassionata. Dato che lei rimane incinta, decidono di sposarsi, fiduciosi in una
storia duratura, malgrado la scarsa conoscenza reciproca. Il generoso estroverso Jude è ancora più attratto
da questa donna per il suo aspetto adolescenziale, che suscita in lui un senso di protezione. Appare ai suoi
occhi particolarmente indifesa, visto che è in terra straniera e sola al mondo.
Appena rimasta incinta, Mina mostra che sotto l’apparenza angelica si nasconde un carattere ferreo,
nutrito di letture salutiste, che la spingono a rifiutare qualunque buona norma medica collaudata sul modo
in cui si porta avanti una gravidanza per il benessere del nascituro.
Jude media amorevolmente fra il buonsenso e le nuove teorie, dando alla moglie la massima fiducia,
disponibile al massimo senza imporle niente. Incarna tutto ciò che ci si aspetta da un compagno di vita. Lei
deperisce, quasi fosse infelice di questa gravidanza.
La suspence cresce impercettibilmente ad ogni nuova scena. Alla nascita del bambino la coppia scompare
da ogni rapporto sociale, chiusa in un guscio sterile. Il regista riesce a farci partecipare, senza dialoghi, ma
con inquadrature ardite che deformano quello che avrebbe dovuto essere un nido d’amore. Quando torna
a casa Jude si deve lavare le mani per essere ammesso a prendere in braccio il bambino. Lei passa col
bimbo le sue giornate, tenendoselo sul petto sdraiata per terra. Non lo fa mai uscire, malgrado lui la
solleciti a non tenere il piccolo in ambiente troppo protetto. Passano due mesi, la madre di Jude passa dai
neo genitori per chiedere se tutto va bene, e trova un’atmosfera preoccupante, che non nasconde al figlio.
Ma lui si mostra, ancora una volta, solidale con la moglie.
Nessun pediatra deve vedere il bambino. Che ha sempre la febbre. E qui comincia ad incrinarsi la fiducia di
Jude per Mina. In un crescendo di situazioni e di scene da maestro, Costanzo dirige i suoi bravissimi attori (hanno preso la Coppa Volpi tutti e due), in una sorta di imparzialità verso le ragioni dell’uno e dell’altro genitore, così da rendere massimo il coinvolgimento di noi spettatori, che non riusciamo a capire fino all’ultimo se questo povero bambino, stretto in una morsa insana di possessività delirante della madre, potrà scampare alla morte (il regime alimentare che persegue per lui Mina lo ha portato ad una crescita pericolosamente inadeguata).
Fino ad una imprevedibile conclusione. Perché, se è vero che la scena del salotto buono della madre di Jude,
pieno di trofei di caccia, strizza l’occhio a lei, animalista e vegana, la canzone “Tu si na cosa grande” cantata
da lui in Italiano con amore alla novella sposa, è una scelta che, dopo la dichiarazione, la invita a uscire dal
suo isolamento. Al di là dell’infatuazione, quest’uomo sensibile aveva intuito quanto problematica fosse la
sua compagna.
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gaiart
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venerdì 19 settembre 2014
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cuori "molto" affamati, quasi anoressici!
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In un minuscolo, ma alquanto elegante bagno di un ristorante cinese in America, nasce un amore. Sommersa dalla puzza, dai rumori e dalla dissenteria che colpisce il bravissimo Adam Driver (Jude), Alba Rohrwacher(Mina) cede alle sue lusinghe, non solo intestinali, mentre la porta della claustrofobica toilette li vede costretti e bloccati.
Già questo esilarante, originale e surreale inizio fa stare ben incollati alla sedia, seppur ciò che segue è ancora più assurdo. Partendo da commedia romantica, le varie evoluzioni virano il film sul dramma psicologico, un po’ giallo, un po’ thriller; non etichettabile, insomma.
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In un minuscolo, ma alquanto elegante bagno di un ristorante cinese in America, nasce un amore. Sommersa dalla puzza, dai rumori e dalla dissenteria che colpisce il bravissimo Adam Driver (Jude), Alba Rohrwacher(Mina) cede alle sue lusinghe, non solo intestinali, mentre la porta della claustrofobica toilette li vede costretti e bloccati.
Già questo esilarante, originale e surreale inizio fa stare ben incollati alla sedia, seppur ciò che segue è ancora più assurdo. Partendo da commedia romantica, le varie evoluzioni virano il film sul dramma psicologico, un po’ giallo, un po’ thriller; non etichettabile, insomma.
Non più connesso all’evacuazione, ma alla fase che la precede: l’alimentazione, il film: “cuori affamati”, evolve in un modo inaspettato, sorprendente e alquanto drammatico o, triste, seppur autenticamente vero.
Costanzo, che aveva sorpreso nel 2013 Venezia con l’Intervallo, un film giovane, con pochi mezzi, ma ben girato e dall’intesa verità napoletana, ora acquisisce una pienezza e maturità data forse anche dal substrato di una storia letteraria tratta dal romanzo, Il bambino indaco, di Marco Franzoso.
Qui Saverio Costanzo, nel tentativo di zoomare sui corpi che hanno priorità assoluta per il senso materiale del film in opposizione allo spirito, (ciò di cui sembra alla ricerca Mina - madre esecrabile), gira con la macchina a spalla, elevandosi a esaltare una Rohrwacher che, negli intimi interstizi e spazi di un corpo minuto, fragile, dominato da una psiche labile, dotata di lucida follia, le fa vincere il premio Volpi. Lo stesso avviene per il bravo Adam Driver nel ruolo del marito paziente, nonchè allibito ingegnere: Jude.
Il film vibra di una tensione che non cede, anche se alcuni la leggono come monotonia, In realtà per i più sensibili, tutto è molto toccante, oltre a rendere attuali, interrogativi su temi estremamente diffusi: le diete, le ossessioni alimentari, la purezza dell’organismo, l’anoressia e i loro confini sottilissimi che sfiorano qui degenerazione mentale e paranoia.
Questi cuori sono si affamati d’amore, cioè quello di una madre per il bimbo, quello di un marito per una moglie o di una suocera per il figlio o nipote, ma anche affamati di cibo, dato che il nutrimento affettivo, non collima e sazia ahimè del tutto, quello fisico.
Buon appetito, dunque!
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nicola1
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lunedì 1 settembre 2014
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mah
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perche' non "Cuori affamati"?
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peer gynt
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domenica 31 agosto 2014
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follia di una madre alla ricerca della purezza
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Quello che manca decisamente al film di Saverio Costanzo è l'ambiguità, quanto mai necessaria in una vicenda come questa per non dare tutto per scontato e per deciso già a priori. Invece il personaggio della madre, interpretato da Alba Rohrwacher (ancora una volta alle prese con un personaggio allucinato), non ha alcuna sfumatura, non ha tridimensionalità, non sembra dotato di quella normalità plausibile che avrebbe reso ancor più agghiacciante la vicenda. La madre, così come rappresentata nel film, è una pazza, donna fragile e facilmente suggestionabile che, senza alcuna gradualità, mostra subito dopo la prima scena (da commedia leggera, con i due protagonisti incastrati nella toilette di un ristorante) una mente già completamente malata e annebbiata.
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Quello che manca decisamente al film di Saverio Costanzo è l'ambiguità, quanto mai necessaria in una vicenda come questa per non dare tutto per scontato e per deciso già a priori. Invece il personaggio della madre, interpretato da Alba Rohrwacher (ancora una volta alle prese con un personaggio allucinato), non ha alcuna sfumatura, non ha tridimensionalità, non sembra dotato di quella normalità plausibile che avrebbe reso ancor più agghiacciante la vicenda. La madre, così come rappresentata nel film, è una pazza, donna fragile e facilmente suggestionabile che, senza alcuna gradualità, mostra subito dopo la prima scena (da commedia leggera, con i due protagonisti incastrati nella toilette di un ristorante) una mente già completamente malata e annebbiata. Così come, in questo manicheismo di maniera, il padre è l'uomo normale, buon marito e padre affettuoso, alle prese con un problema inaspettato: la follia totale della moglie.
Per farne un thriller problematico e convincente, si sarebbe dovuto lasciare allo spettatore una buona dose di dubbio sull'interesse reale e la buona fede di entrambi i personaggi, non interpretarli manicheisticamente come il Male e la sua radicale Soluzione.
E stilisticamente contribuisce a calcare il tasto della follia patologica la scelta, che infastidisce, di abusare con le focali anamorfiche, per dare quasi in soggettiva lo stato d'animo di una madre confusa in odore di figlicidio.
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[+] ma che film hai visto
(di gustavo76)
[ - ] ma che film hai visto
[+] trovo abbastanza condivisibili.....
(di francesco2)
[ - ] trovo abbastanza condivisibili.....
[+] tema complesso trattato semplicisticamente
(di carlottacorday)
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