Senza santi in paradiso

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Bonny&Clide by David Lowery Valutazione 3 stelle su cinque

di gianleo67


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giovedì 11 febbraio 2016

Scampati all'assedio della polizia nella casa in cui si sono rifugiati e dopo la morte di un loro compagno ed il ferimento di un agente, la coppia di amanti fuorilegge Ruth e Bob vine inesorabilmente separata: lui finisce in carcere per molti anni e lei prosegue tutta sola la sua gravidanza. Quando Bob evade dal carcere dopo quattro anni con l'intenzione di recuperare malloppo e famiglia, ad attenderlo c'è un destino molto diverso da quello che sognava di avere con la moglie e con la figlia.
Se il cinema indipendente Sundance-funded (Sundance Institute Producing Lab) riesce ancora a battere le lastricate strade della storia americana senza scadere nel clichè e negli stereotipi di genere, lo si deve in gran parte alla genuina ispirazione di chi rielabora in modo personale ed efficace piccole vicende di una provincia marginale e maledetta elevandoli al rango di drammi della mitologia popolare (qui Bonny&Clide) attraverso la freschezza di un linguaggio che nelle giuste intenzioni dell'autore doveva assomigliare ad una struggente e romantica ballata folk. Forte di uno script sviluppato nella fucina di talenti della fondazione di Park City, il film di David Lowery si dipana in media res attraverso una vicenda che ci precipita nel tragico finale della vita di una coppia di amanti maledetti proprio nel momento in cui si decidono a metter su famiglia, concatenando gli eventi attraverso le acrobazie di un montaggio che tiene celate alcune cose (il passato, il movente, i complici) per suggerirne altre (l'infanzia,il mentore) e rivelarne solo gli aspetti salienti di una tormentata storia criminale e sentimentale che non poteva finire peggio. Dall'uso funzionale della steadycam che tallona da presso i protagonisti suggerendo gli slanci lirici di un'estetica alla Terrence Malick alle calde tonalità di un paesaggio agreste fotografato in campo lungo come l'Eden incontaminato di una terra del peccato e della dannazione terrena, questa crime story dall'anima romantica riesce a suggerire l'incolmabile distanza tra gli slanci ideali di una vita senza regole e la terribile nemesi di una civiltà delle regole che non lascia scampo, agitando il miraggio di una felicità irrangiungibile da cui una pallottola di troppo riesce a separarci proprio sulla soglia di casa. Nella teoria di simboli disseminati come oscuri presagi lungo tutto il film (i due che all'arresto vengono condotti da parti opposte, la foto strappata di lei con la figlia in braccio, il rendez-vous di un focolare domestico quale alcova d'amore e ritrovo di morte) il senso di un passato che non ritorna e l'itinerario di una tragedia annunciata che si gioca sull'improvvida fatalità del destino e sul carattere indomito dei suoi personaggi, iscrivendo le vicende di ognuno in un percorso di vita che influenza inevitabilmente quello degli altri. Amore e morte quindi sembrano i due sentieri inconciliabili lungo i quali scegliere di incamminarsi verso il proprio futuro e lo strazio di una storia di passioni le cui fragili promesse non possono reggere la prova del tempo e le avversità della sorte, nel precario equilibrio di una vicenda a due che oscilla tra la selvaggia libertà del prima e le stringenti responsabilità del poi, laddove tutto il male debba essere estirpato a colpi di colt prima che la speranza di una felicità possibile si possa profilare lungo l'orizzonte increspato dalle nubi minacciose di un crepuscolo texano. Casting come sempre impeccabile per le produzioni d'oltreoceano, con la solita faccia tormentata e ribelle di un Casey Affleck (The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford - The Killer Inside Me) che ricorda James Dean e la sensuale magrezza di una conturbante Rooney Mara quale maledetta regina di cuori folgorata sulla via della maternità. Straordinaria partecipazione per un ambiguo e carismatico Keith Carradine che impreziosisce il suo contributo con la splendida ballata che accompagna i titoli di coda. Presentato fuori concorso alla 66ª edizione del Festival di Cannes e premiato per la splendida fotografia di Bradford Young al Sundance Film Festival 2013, è stato distribuito in Italia solo nel circuito home video a dimostrazione che dalle nostre parti il film non ha proprio nessun santo in paradiso.

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