alvise bittente
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venerdì 13 gennaio 2017
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non più ancora popnote a piè di danza
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NON PIÙ ANCORA POP
note a piè di danza sul film di Yorgos Lanthimos, Alps (2011)
Posso fare tutto quello che vuoi!
-puntini puntini puntini deciso! -
Un attimo dopo sono in bagno, lui si toglie la maglietta e si fa tagliare i capelli e regolare le basette, scena centrale e scentrata allo stesso tempo, in questo minimalepocale film di Yorgos Lanthimos, Alps (2011). Film sul taglio, sul fuori inquadratura, sul fuori fase, sfuocato perché mai acceso da emozione, ma dogmatico, rigorosissimo com’è il lavoro sulla recitazione, ring da vivere entro le corde del testo, essenziali gl'oggetti di scena, limitato il copione, uno scarno canovaccio gettato sulla pista da ballo e quando si è sulla pista, si danza.
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NON PIÙ ANCORA POP
note a piè di danza sul film di Yorgos Lanthimos, Alps (2011)
Posso fare tutto quello che vuoi!
-puntini puntini puntini deciso! -
Un attimo dopo sono in bagno, lui si toglie la maglietta e si fa tagliare i capelli e regolare le basette, scena centrale e scentrata allo stesso tempo, in questo minimalepocale film di Yorgos Lanthimos, Alps (2011). Film sul taglio, sul fuori inquadratura, sul fuori fase, sfuocato perché mai acceso da emozione, ma dogmatico, rigorosissimo com’è il lavoro sulla recitazione, ring da vivere entro le corde del testo, essenziali gl'oggetti di scena, limitato il copione, uno scarno canovaccio gettato sulla pista da ballo e quando si è sulla pista, si danza. In mancanza di noi vien altro da sé, mai prettamente sostituibili, perciò imitabili. Simulattoriabili, dove il simulacro rimane il classico, Hollywood: - qual'è il suo attore preferito? -. Mentre la simulazione è vissuta senza epica, sventrata d’enfasi, refrigerata di dolore, pietosa, intransigente, menefreghista, discutibile, come la vita forse, ma vieppiù tagliente come il cinema, questo cinema. Toccante pellicola a veronica, centripeta ad imbuto slogato,, come il nastro con cui inizia il balletto di ginnastica ritmica, a piè di sgrazia, sulle note di "o fortuna" dei carmina buriana, incipit livido incolore scolato come il trucco del volto della ballerina, che è il cinema. Per finire con lo stesso balletto, con la stessa ballerina, altro costume colorato ma sempre livido, una versione pop corn di Gershon Kingsley, remix mancante ancor di più di sé altro da sé. Pellicola a nastro che si avvolge su se stessa, ripetendo mai lo stesso giro, antimoebiusiana, è un'imitazione così improbabile che ci rappresenta il fuori fuoco di noi stessi, per farci vedere che qualcuno può fare di noi un nostro noialtri. Film d'extra i corpi, in cui i nostri cari isi accontenterebbero di un evasione di ultracorpialtri, pur di riconoscersi loro. Al di là del cavillo di vita e di morte, siamo tutti a danzare sul ventre della stessa/altra balera, nell'occhio del cinema che ci guarda attraverso la nostra visione che lui ha di noi, macabro ennesimo popcorn ruminato nell’oblio della sala...frigorifera.
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guidobaldo maria riccardelli
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venerdì 1 aprile 2016
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in linea di congiunzione con kinetta
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Ottima pellicola, che si pone su una linea di congiunzione parecchio prossima al capolavoro Kinetta (2005), andando ad indagare le medesime aree di interesse, le medesime "malattie sociali": la solitudine, l'assenza di comunicazione vera e di contatto fisico (ancorché mediato), l'uso del codice linguistico come arma di sopravvivenza, l'impossibilità di trovare una propria dimensione all'interno di una società dai confini laschi ed insicuri.
Rispetto all'opera seconda del regista ateniese però, questo Alpeis risulta inferiore essenzialmente per due ragioni: innanzitutto prende le mosse da una situazione meno verosimile, seppur brillante (rimpiazzare persone decedute), creando un punto di contatto più sottile con lo spettatore; oltre a ciò, nonostante, anzi: a causa, (di) una sceneggiatura maggiormente ricca e varia, Lanthimos colpisce in maniera meno diretta.
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Ottima pellicola, che si pone su una linea di congiunzione parecchio prossima al capolavoro Kinetta (2005), andando ad indagare le medesime aree di interesse, le medesime "malattie sociali": la solitudine, l'assenza di comunicazione vera e di contatto fisico (ancorché mediato), l'uso del codice linguistico come arma di sopravvivenza, l'impossibilità di trovare una propria dimensione all'interno di una società dai confini laschi ed insicuri.
Rispetto all'opera seconda del regista ateniese però, questo Alpeis risulta inferiore essenzialmente per due ragioni: innanzitutto prende le mosse da una situazione meno verosimile, seppur brillante (rimpiazzare persone decedute), creando un punto di contatto più sottile con lo spettatore; oltre a ciò, nonostante, anzi: a causa, (di) una sceneggiatura maggiormente ricca e varia, Lanthimos colpisce in maniera meno diretta.
Si può ben dire che Alpeis si configuri come opera assimilabile da una varietà di pubblico più larga, viste le caratteristiche, ma ciò non togli che si ponga ad un livello qualitativo inferiore.
Rimane ad ogni modo pellicola notevolissima e da vedere tassativamente, con immagini struggenti (e.g. l'uso della tazza da caffè) ed una recitazione ai massimi livelli, con la solita splendida Aggeliki Papoulia sugli scudi.
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alvise bittente
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venerdì 13 gennaio 2017
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non più ancora pop virgola note a piè di danza
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-puntini puntini puntini deciso! -
Un attimo dopo sono in bagno, lui si toglie la maglietta e si fa tagliare i capelli e regolare le basette, scena centrale e scentrata allo stesso tempo, in questo minimalepocale film di Yorgos Lanthimos, Alps (2011). Film sul taglio, sul fuori inquadratura, sul fuori fase, sfuocato perché mai acceso da emozione, ma dogmatico, rigorosissimo com’è il lavoro sulla recitazione, ring da vivere entro le corde del testo, essenziali gl'oggetti di scena, limitato il copione, uno scarno canovaccio gettato sulla pista da ballo e quando si è sulla pista, si danza.
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Posso fare tutto quello che vuoi!
-puntini puntini puntini deciso! -
Un attimo dopo sono in bagno, lui si toglie la maglietta e si fa tagliare i capelli e regolare le basette, scena centrale e scentrata allo stesso tempo, in questo minimalepocale film di Yorgos Lanthimos, Alps (2011). Film sul taglio, sul fuori inquadratura, sul fuori fase, sfuocato perché mai acceso da emozione, ma dogmatico, rigorosissimo com’è il lavoro sulla recitazione, ring da vivere entro le corde del testo, essenziali gl'oggetti di scena, limitato il copione, uno scarno canovaccio gettato sulla pista da ballo e quando si è sulla pista, si danza. In mancanza di noi vien altro da sé, mai prettamente sostituibili, perciò imitabili. Simulattoriabili, dove il simulacro rimane il classico, Hollywood: - qual'è il suo attore preferito? -. Mentre la simulazione è vissuta senza epica, sventrata d’enfasi, refrigerata di dolore, pietosa, intransigente, menefreghista, discutibile, come la vita forse, ma vieppiù tagliente come il cinema, questo cinema. Toccante pellicola a veronica, centripeta ad imbuto slogato,, come il nastro con cui inizia il balletto di ginnastica ritmica, a piè di sgrazia, sulle note di "o fortuna" dei carmina buriana, incipit livido incolore scolato come il trucco del volto della ballerina, che è il cinema. Per finire con lo stesso balletto, con la stessa ballerina, altro costume colorato ma sempre livido, una versione pop corn di Gershon Kingsley, remix mancante ancor di più di sé altro da sé. Pellicola a nastro che si avvolge su se stessa, ripetendo mai lo stesso giro, antimoebiusiana, è un'imitazione così improbabile che ci rappresenta il fuori fuoco di noi stessi, per farci vedere che qualcuno può fare di noi un nostro noialtri. Film d'extra i corpi, in cui i nostri cari isi accontenterebbero di un evasione di ultracorpialtri, pur di riconoscersi loro. Al di là del cavillo di vita e di morte, siamo tutti a danzare sul ventre della stessa/altra balera, nell'occhio del cinema che ci guarda attraverso la nostra visione che lui ha di noi, macabro ennesimo popcorn ruminato nell’oblio della sala...frigorifera.
di COTTONFIOCC
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venceslavsoroczynski
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martedì 14 agosto 2018
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i greci possono permettersi la follia
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Kynodontas (Yorgos Lanthimos, 2009) - Un incredibile e lineare intreccio di follia ordinatrice e di follia indotta si racconta in questa pellicola storta, magnetica, ineguagliabile. Cominciate a guardarla cercando di venirci a patti, ma capite presto che non potete capire. Che non c'è ragione, né sentimento. C'è un indubitabile coraggio – una delle virtù necessarie a fare arte, soprattutto la settima – nel girare e guardare, minuto dopo minuto, questi fotogrammi. E, quando uso la parola follia, lo faccio perché l'unico modo in cui sono riuscito a trovare una sintonia con i personaggi è stato il seguente. Terminato il film, ho aperto due finestre internet: la prima sul trailer ufficiale, a cui ho tolto l'audio; l'altra su un video del sirtaki.
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Kynodontas (Yorgos Lanthimos, 2009) - Un incredibile e lineare intreccio di follia ordinatrice e di follia indotta si racconta in questa pellicola storta, magnetica, ineguagliabile. Cominciate a guardarla cercando di venirci a patti, ma capite presto che non potete capire. Che non c'è ragione, né sentimento. C'è un indubitabile coraggio – una delle virtù necessarie a fare arte, soprattutto la settima – nel girare e guardare, minuto dopo minuto, questi fotogrammi. E, quando uso la parola follia, lo faccio perché l'unico modo in cui sono riuscito a trovare una sintonia con i personaggi è stato il seguente. Terminato il film, ho aperto due finestre internet: la prima sul trailer ufficiale, a cui ho tolto l'audio; l'altra su un video del sirtaki. Guardavo la prima e ascoltavo l'audio della seconda. Solo così, tutto quadrava perfettamente. L'irragionevole abbaiare di quattro adulti carponi (e lì ho auto un lampo sul Salò di Pasolini), il loro ballo ridotto a scatti nervosi in un ambiente da festa di bambini dell'asilo, il silenzio di una cena con padre padrone, il biancore delle stanze che somigliavano alla mia che sono stato bambino negli anni Settanta, la violenza immotivata contro persone e animali. Perfino la perversione meccanica della fotografia della scena finale ha assunto un suo motivo poetico, così come c'è della poesia nell'autodistruzione, purché non sia quella perpetrata con i consueti articoli per il suicidio. Avevo già visto gli altri due titoli di Lanthimos, quindi mi aspettavo un'opera sì originalissima, ma pur sempre collegata alla realtà da un ponte percorribile. Ma mentre guardavo Kynodontas, mi chiedevo da quale parte si trovasse quel ponte. Se un ponte vi fosse. Sto cercando di capire se c'è una critica alla realtà, a certe abitudini iperprotettive delle famiglie, o se il tema del film sia la rappresentazione distorta e consolante del mondo che si offre a noi poveri impotenti. E non si tratta forse della sola rappresentazione, ma anche della catena che limita i nostri comportamenti e li addestra come fossimo dei cani: possiamo compiere – anche adesso, mentre leggiamo questo post, o quando saremo passati alla successiva – solo alcune azioni, in un certo spazio-tempo e con dati strumenti. Forse, quindi, gli attori del Greco siamo noi, noi su un computer, su un telefono, nei quali possiamo usare solo certi software, i quali ci permettono solo alcune scelte, le quali diventano note a chi conosce il nostro traffico, a chi sa con chi parliamo, a chi vede le nostre foto e sa dove eravamo e con chi. Forse, quel padre di Lanthimos non è altro che un nuovo grande fratello, narrato con la capacità di chi ce lo sa rappresentare con un volto familiare, che potrebbe essere quello del nostro zio calabrese, o di nostro cognato siciliano, o il nostro. Mentre il sirtaki illustra – in una oggettiva inversione – il mio personale trailer e solleva la mia sedia e la fa girare come gira la sorella maggiore nella danza davanti al camino, non posso far a meno di pensare al fatto che i Greci iniziavano ad acquisire la saggezza quasi tremila anni fa, quindi, per quanto mi riguarda, ora possono permettersi anche la follia.
Venceslav Soroczynski
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(di mana1971)
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onufrio
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sabato 21 marzo 2020
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terapia del dolore
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Appaiono freddi e distaccati, eppure il loro "mestiere" è quello di rincuorare chi ha perso una persona cara, prendendone per un breve periodo la loro parte in famiglia. Una sorta di sentimento surrogato che può in qualche macabro modo allietare le pene dei cari che soffrono la mancanza di una persona. L'agenzia segreta è composta da quattro persone, insieme formano un gruppo chiamato Alpi, ognuno di loro prenderà il nome di una montagna appartenente alla catena montuosa. Lanthimos si immerge nella terapia del dolore, e lo fa in silenzio, attraverso la forza delle immagini e gli sguardi dei protagonisti.
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gianleo67
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sabato 13 giugno 2015
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psicodramma pirandelliano...secondo lanthimos
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Quattro persone, due uomini e due donne, decidono di fondare una bizzarra agenzia di recitazione in cui gli stessi componenti si prestano ad impersonare i ruoli di persone decedute, sostituendosi ad essi nelle rispettive famiglie per quattro ore settimali, e riproducendone esattamente abitutidi e gestualità con lo scopo di consolare i parenti per la loro perdita e renderne così meno doloroso il distacco. Allontanata forzatamente dal gruppo per averne trasgredito le regole ed il rigido protocollo di comportamento, una componente scoprirà sulla propria pelle le drammatiche conseguenze di questa assurda recita.
Definito dal suo autore come uno psicodramma della finzione che si pone anteticamente rispetto al precedente 'Kynodontas' (2009) per la volontà dei personaggi di rifuggire in quello dall'artificio fanciullesco di una prigionia familiare come per quella dei protagonisti di questo film di entrarvi a farne parte, questa grottesca commedia delle parti ha il gusto metacinematografico dell'adesione ad un ruolo che si pone come antidoto rispetto all'irrevocabile processo in cui si esaurisce la recitazione, tanto che si tratti della realtà in cui ciascuno è chiamato ad intervenire (la ginnasta che vorrebbe passare a qualcosa di più pop, l'infermiera che accudisce l'anziano padre sostituendosi alla figura della madre scomparsa) quanto nella finzione di una rappresentazione del reale (quella degli attori del film, quella dei personaggi che vorrebbero interpretare, quella delle persone decedute a cui si vorrebbero sostituire) e che finiscono per costituire gli aspetti di un dualismo dove rimane incombente e minaccioso il senso di una inevitabile estinzione.
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Quattro persone, due uomini e due donne, decidono di fondare una bizzarra agenzia di recitazione in cui gli stessi componenti si prestano ad impersonare i ruoli di persone decedute, sostituendosi ad essi nelle rispettive famiglie per quattro ore settimali, e riproducendone esattamente abitutidi e gestualità con lo scopo di consolare i parenti per la loro perdita e renderne così meno doloroso il distacco. Allontanata forzatamente dal gruppo per averne trasgredito le regole ed il rigido protocollo di comportamento, una componente scoprirà sulla propria pelle le drammatiche conseguenze di questa assurda recita.
Definito dal suo autore come uno psicodramma della finzione che si pone anteticamente rispetto al precedente 'Kynodontas' (2009) per la volontà dei personaggi di rifuggire in quello dall'artificio fanciullesco di una prigionia familiare come per quella dei protagonisti di questo film di entrarvi a farne parte, questa grottesca commedia delle parti ha il gusto metacinematografico dell'adesione ad un ruolo che si pone come antidoto rispetto all'irrevocabile processo in cui si esaurisce la recitazione, tanto che si tratti della realtà in cui ciascuno è chiamato ad intervenire (la ginnasta che vorrebbe passare a qualcosa di più pop, l'infermiera che accudisce l'anziano padre sostituendosi alla figura della madre scomparsa) quanto nella finzione di una rappresentazione del reale (quella degli attori del film, quella dei personaggi che vorrebbero interpretare, quella delle persone decedute a cui si vorrebbero sostituire) e che finiscono per costituire gli aspetti di un dualismo dove rimane incombente e minaccioso il senso di una inevitabile estinzione. Come in un grottesco meccanismo pirandelliano, i protagonisti del film di Lanthimos sono personaggi in cerca di un autore che li salvi dal loro annichilimento, trasferendo il senso di disperazione e di impotenza che sta nell'inevitabile destino dei processi ontologici (quello della rappresentazione teatrale come della vita reale di ciascuno) nell'assurda pantomima di un'elaborazione del lutto inesorabilmente destinata al fallimento e dove non pare esservi scampo nè alla morte in sè nè tantomeno all'artificio della grottesca messa in scena che la vorrebbe esorcizzare. Non c'è scampo nell'arte sembra volerci dire l'autore, perchè non c'è scampo nella vita reale e l'inutile processo di sostituzione non fa che esasperare questa straziante consapevolezza. Sullo sfondo di un cinema tanto radicale e nichilista, il vuoto di valori di una realtà sociale di cui si intravedono le macerie e nello stesso tempo l'incapacità di rinvenire al prorpio interno le risorse per una rinascita culturale che non si riduca allo scimmiottamento dei modelli d'oltreoceano (i divi di Hollywood o quelli della musica pop) od alla stanca ripetizione di un vissuto senza senso e senza speranza. Pur nell'ambizione di un linguaggio che mira alla rarefazione ed all'astrazione grottesca, Lanthimos riesce a mantenere un rigore formale ed una coerenza del registro che ne fa uno dei più interessanti innovatori del cinema ellenico contemporaneo. Bravissima l'attrice feticcio Angeliki Papoulia, già presente nel precedente Kynodontas, nel ruolo di una donna esasperata nel cortocircuito tra la finzione di una vita insoddisfacente e quella di una rappresentazione del fallimento. Osella d'Oro per la migliore sceneggiatura (scritta dall'autore a quattro mani insieme al solito Efthymis Filippou) alla 68ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e vincitore del concorso principale al Sydney Film Festival nel 2012.
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