paola di giuseppe
|
mercoledì 6 ottobre 2010
|
un'epopea senza mito nè eroi
|
|
|
|
1845, Stephen Meek è una guida per cui il deserto non ha segreti.
Col suo vestito alla Davy Crockett e il cappellaccio sotto il quale si intravedono solo gli occhi che spuntano fra barba e capelli, porta una carovana di tre famiglie verso le Cascade Mountains, staccandosi dal resto del gruppo in marcia lungo l’Oregon Trail.
Fidandosi troppo di sé ha preso una scorciatoia finendo per perdere la strada (cutoff, il sentiero scorciatoia, il taglio).
Il film inizia quando già il gruppo è in panne, uno di loro incide "lost" su una carcassa, hanno attraversato già quattro volte lo stesso fiume e ora se ne dovranno allontanare definitivamente.
Andare verso nord? andare verso sud? Nessuno lo sa, l’ovest è sbarrato da una distesa d’acqua alcalina, non buona neppure per le bestie, buoi e asini che trascinano con lentezza esasperante i tre carri che diventeranno due dopo una rovinosa discesa.
[+]
1845, Stephen Meek è una guida per cui il deserto non ha segreti.
Col suo vestito alla Davy Crockett e il cappellaccio sotto il quale si intravedono solo gli occhi che spuntano fra barba e capelli, porta una carovana di tre famiglie verso le Cascade Mountains, staccandosi dal resto del gruppo in marcia lungo l’Oregon Trail.
Fidandosi troppo di sé ha preso una scorciatoia finendo per perdere la strada (cutoff, il sentiero scorciatoia, il taglio).
Il film inizia quando già il gruppo è in panne, uno di loro incide "lost" su una carcassa, hanno attraversato già quattro volte lo stesso fiume e ora se ne dovranno allontanare definitivamente.
Andare verso nord? andare verso sud? Nessuno lo sa, l’ovest è sbarrato da una distesa d’acqua alcalina, non buona neppure per le bestie, buoi e asini che trascinano con lentezza esasperante i tre carri che diventeranno due dopo una rovinosa discesa.
La Reichardt gira in 4:3 e il deserto dell’Oregon sembra non finire mai, inquadrato così in verticale sembra un imbuto da cui venir risucchiati, nessuna concessione ai liberi e grandi spazi a cui il western ci ha abituato, qui si respira l’aria chiusa di chi è in trappola e così percepisce lo spazio.
La notte scende improvvisa, nessun rumore nel buio, l’alternarsi uguale dei giorni e delle notti scandisce il tempo di questa marcia verso il nulla, distese di pietre o di radi cespugli, polvere e fango disseccato, qualche altura in lontananza, ma non è mai quella giusta.
Questi pionieri non hanno niente di eroico, sono gente comune, sprovveduta, come tutti quelli che allora partivano per l’avventura del West, portandosi dietro miseria, speranza e tanta temerarietà.
Sopravvivere e trovare acqua è l’unica cosa che ora conta, e anche le pepite d’oro che il ragazzino, l’unico del convoglio, ha trovato giù, da qualche parte, non interessano, “l’oro non si beve “.
Il dialogo è scarno, la lettura a voce alta dal Libro della Genesi prima di mangiare è l’unico momento parlato di una certa ampiezza, il lavoro duro, giornaliero, non ha bisogno di parole, la marcia è a piedi, sotto il sole, gli uomini vicini alle bestie e le tre donne dietro, a simmetrica distanza.
L’apparizione dell’ uomo Cayuse, disarmato e vestito di pelli, che traccia segni sulle rocce mappando lo spazio e parla alla luna di notte, che canta una lenta nenia al bovaro semiimpazzito crollato a terra e che parla una lingua incomprensibile, è l’elemento che scatena tutte le contraddizioni.
Seguirlo può essere la salvezza, ma razzismo e pregiudizi emergono e i caratteri di ognuno si delineano netti.
Con la stessa essenzialità con cui descrive lo spazio e scandisce il tempo la Reichard punta il focus sull’ intimo di ognuno, la precisione è chirurgica, rigorosa nel non cedere a nessuna ridondanza, come quel capolavoro del sorriso appena abbozzato, quasi impercettibile, inatteso, del pellerossa seduto a guardare i disastri dell’uomo bianco.
La Reichardt porta sullo schermo, con questo capolavoro di cinema indipendente, il mito della frontiera demitizzato, guardato in controluce, sfocato come la fotografia desaturata che fa sentire la polvere e l’arsura, e quel sonoro lancinante come l’ululato di un coyote, e ci racconta quella che, per tanti versi, dev’essere stata la realtà più vera di quella epopea del West. Da non perdere.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a paola di giuseppe »
[ - ] lascia un commento a paola di giuseppe »
|
|
d'accordo? |
|
peer gynt
|
lunedì 18 ottobre 2010
|
alla ricerca di qualcuno in cui credere
|
|
|
|
Film minimalista che rilegge il genere western, mostrando cosa è realmente
successo alla maggior parte di coloro che andavano alla conquista del
selvaggio e inesplorato Ovest: nulla! Tre famiglie con i rispettivi carri
da pionieri si fanno guidare da un certo Stephen Meek, una specie di Mosè
barbuto, che li guida verso la terra promessa, quell’eden che i pionieri
sognano di raggiungere. All’inizio la guida è creduta e rispettata, ma
trascorrono i giorni e non si arriva da nessuna parte. Anzi, il paesaggio
si fa sempre più desertico, i coloni perdono un carro e un barile d’acqua
e cominciano a patire anche la fame. E durante il viaggio non succede
niente e non incontrano nessuno. Fino al momento in cui Meek cattura un
indiano che nessuno capisce e che parla una lingua sconosciuta a tutti.
[+]
Film minimalista che rilegge il genere western, mostrando cosa è realmente
successo alla maggior parte di coloro che andavano alla conquista del
selvaggio e inesplorato Ovest: nulla! Tre famiglie con i rispettivi carri
da pionieri si fanno guidare da un certo Stephen Meek, una specie di Mosè
barbuto, che li guida verso la terra promessa, quell’eden che i pionieri
sognano di raggiungere. All’inizio la guida è creduta e rispettata, ma
trascorrono i giorni e non si arriva da nessuna parte. Anzi, il paesaggio
si fa sempre più desertico, i coloni perdono un carro e un barile d’acqua
e cominciano a patire anche la fame. E durante il viaggio non succede
niente e non incontrano nessuno. Fino al momento in cui Meek cattura un
indiano che nessuno capisce e che parla una lingua sconosciuta a tutti.
Meek vorrebbe ucciderlo, ma i coloni, che ora temono che Meek li stia
imbrogliando, magari per derubarli, non gli danno più ascolto e tendono
anzi a vedere nell’indiano una possibile guida verso la salvezza. Il film
è tutto qui, con la finale rinuncia di Meek a guidarli e l’indiano che si
avvia lungo una strada deserta. Finale aperto, con un’umanità smarrita che
non sa dove andare, ma comunque ci va, che ha lasciato i vecchi punti di
riferimento per credere, in maniera irrazionale, a un essere
incomprensibile dagli oscuri disegni: un’umanità che punta ad una salvezza
“per caso”. Polverosamente e lentamente originale.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a peer gynt »
[ - ] lascia un commento a peer gynt »
|
|
d'accordo? |
|
gianleo67
|
giovedì 5 novembre 2015
|
epica minimalista di un western...femminista
|
|
|
|
Una carovana di pionieri in marcia lungo la Oregon Trail, ingaggia l'esperta guida e cacciatore di pellicce Stephen Meek nella speranza che li conduca lungo il più breve passaggio verso Ovest attraverso gli aridi territori abitati da pericolose ed ostili tribù indigene. Ben presto però si rendono conto che l'uomo è uno spocchioso millantatore che rischia di averli fatti uscire dal sentiero più battuto per condannarli a morte certa. Almeno finchè sul loro cammino non incontrano uno sciamano pellerossa che sembra essersi smarrito.
Autrice adusa alle rassegne festivaliere ed ai circuiti d'essai del cinema indipendente, la regista Kelly Reichardt declina questo storico episodio western che vide perire moltissimi coloni in marcia verso l'Oregon in un piccolo apologo intimista (e femminista) sulla dolorosa esperienza di una frontiera in espansione e sul valore da attribuire ad uno scontro di civiltà dove quella portata in eredità dall'uomo bianco non sembra essere nè la più giusta nè tantomeno quella più progredita.
[+]
Una carovana di pionieri in marcia lungo la Oregon Trail, ingaggia l'esperta guida e cacciatore di pellicce Stephen Meek nella speranza che li conduca lungo il più breve passaggio verso Ovest attraverso gli aridi territori abitati da pericolose ed ostili tribù indigene. Ben presto però si rendono conto che l'uomo è uno spocchioso millantatore che rischia di averli fatti uscire dal sentiero più battuto per condannarli a morte certa. Almeno finchè sul loro cammino non incontrano uno sciamano pellerossa che sembra essersi smarrito.
Autrice adusa alle rassegne festivaliere ed ai circuiti d'essai del cinema indipendente, la regista Kelly Reichardt declina questo storico episodio western che vide perire moltissimi coloni in marcia verso l'Oregon in un piccolo apologo intimista (e femminista) sulla dolorosa esperienza di una frontiera in espansione e sul valore da attribuire ad uno scontro di civiltà dove quella portata in eredità dall'uomo bianco non sembra essere nè la più giusta nè tantomeno quella più progredita. Cinema asciutto e dalla scabra cifra naturalistica, quello della Reichardt riconduce l'epopea western ad un minimalismo esemplare, prediligendo le inquadrature fisse in campo medio e lungo quale risalto per una cornice naturale che sottolinei lo smarrimento e lo sgomento di chi ha abbandonato la civiltà dell'Est con la speranza di fondarne una migliore e duratura ad Ovest, senza alcuna garanzia di successo e soprattutto a rischio di un prezzo altissimo. Parco di una struttura dei dialoghi che subordina la narrazione alla descrizione, l'avventura morale dell'autrice americana è un intenso e doloroso western on the road che, come ripreso dal bellissimo 'The Homesman' di Tommy Lee Jones qualche anno dopo, ricapitola l'epopea biblica di un ritorno alla terra promessa come una lenta ed inesorabile discesa agli Inferi (la parola più usata dalla guida Meek per descrivere le principali asperità del paesaggio naturale), allo strazio di una condizione di disperazione e di indigenza che rivela le qualità percipue degli uomini (e delle donne) ed obbliga ad un confronto senza alibi nè via di scampo dove chi prevale è colui che mostra di mantenere intatta la propria umanità e la solidarietà verso i propri simili. Insomma un viaggio iniziatico verso una nuova ed incerta fondazione dove lo scontro di civiltà si gioca non solo verso la maturazione di una comprensione della cultura e delle tradizioni indigene (lo sciamano che lascia misteriosi segni sulle rocce, recita rituali di guarigione ed affronta con impassibile rassegnazione la violenza dell'uomo bianco) ma anche nella messa in discussione di una società patriarcale e maschilista dove la donna (una straordinaria e bellissima Michelle Williams) muove aperte critiche all'operato di un borioso ed ottuso bifolco vestito di pelli di castoro e se il caso imbraccia il fucile per difendere la libertà e la vita di uno sconosciuto pellerossa seminudo. Lo sguardo verso Ovest, attraverso l'arida pianura che lascia intravedere la chioma di uno sparuto albero del deserto, non è mai stato così carico di incognite e di rinnovate speranze. Vincitore del premio SIGNIS al Festival di Venezia 2010.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gianleo67 »
[ - ] lascia un commento a gianleo67 »
|
|
d'accordo? |
|
|