ruggero
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lunedì 5 marzo 2012
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deprimente
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Un tempo al festival di Venezia il leone d'oro lo vincevano film come "La grande guerra" o "La ciociara".Oggi film (ma é un vero film?) come questo che descrive tutto fuorché la vita.E se ci aggiungiamo la mediocrità degli interpreti e l'assurdità di come viene trascritto il Faust di Goethe,beh,mi inorgoglisco pensando di non appartenere alla schiera di quegli intellettualoidi da strapazzo che premiano un film di cui non hanno capito nulla (e nulla c'era da capire).Non riesco a trovare un pregio a questo film:forse la fotografia (buia,opprimente) che ben rende la tenebra che il film trasmette all'animo di un uomo "normale" scevro da falsi e deleteri intellettualismi orgastici.
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kronos
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giovedì 23 febbraio 2012
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una cava di mattoni
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Sokurov non è mai stato (almeno nel lungometraggio) regista capace di coniugare ambizioni estetiche e coinvolgimento emotivo, ma in questa sua ultima fatica è riuscito a superarsi, in tutti i sensi.
Da un lato ha raggiunto livelli di ricerca visiva assoluti, nonostante la gratuità delle troppe inquadrature sghembe e deformanti, dall'altro ha realizzato un mattone di tale pesantezza da apparire quasi un'involontaria parodia del tipico "film da festival".
La sua libera rilettura del Faust di Goethe è (volutamente?) macchinosa nell'incedere della narrazione e ultra-didascalica nei dialoghi, risultando infine pesante, pedante, estenuante, totalmente incapace di coniugare ambizione ed emozione.
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Sokurov non è mai stato (almeno nel lungometraggio) regista capace di coniugare ambizioni estetiche e coinvolgimento emotivo, ma in questa sua ultima fatica è riuscito a superarsi, in tutti i sensi.
Da un lato ha raggiunto livelli di ricerca visiva assoluti, nonostante la gratuità delle troppe inquadrature sghembe e deformanti, dall'altro ha realizzato un mattone di tale pesantezza da apparire quasi un'involontaria parodia del tipico "film da festival".
La sua libera rilettura del Faust di Goethe è (volutamente?) macchinosa nell'incedere della narrazione e ultra-didascalica nei dialoghi, risultando infine pesante, pedante, estenuante, totalmente incapace di coniugare ambizione ed emozione.
Chi dovesse avvicinarsi a un certo tipo di cinema "d'autore" con pellicole come questa, probabilmente non vorrà mai più saperne preferendo di gran lunga un qualunque pop-corn film da multiplex. E con ragione.
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osteriacinematografo
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giovedì 9 febbraio 2012
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delirante viaggio nell'abisso dell'anima
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Il Faust di Sokurov è un’opera maestosa, devastante, che rimane incollata alle sinapsi di chi ne asseconda le mosse. Il film è l’ultima parte della tetralogia (Moloch-Taurus-Il sole-Faust) del regista russo, e, per quanto rappresenti probabilmente il minimo comune denominatore dell’opera nel suo complesso, ha una vita e un respiro propri, peraltro intensissimi.
Faust è un dottore, uno scienziato ottocentesco di cui non si riconoscono i meriti; il suo studio è in realtà una lercia macelleria; vive e si muove nell’indigenza, nella sudicia lordura di tuguri freddi e cadenti, e la sua professione mal pagata non è sufficiente a sfamarlo e sopravvivere.
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Il Faust di Sokurov è un’opera maestosa, devastante, che rimane incollata alle sinapsi di chi ne asseconda le mosse. Il film è l’ultima parte della tetralogia (Moloch-Taurus-Il sole-Faust) del regista russo, e, per quanto rappresenti probabilmente il minimo comune denominatore dell’opera nel suo complesso, ha una vita e un respiro propri, peraltro intensissimi.
Faust è un dottore, uno scienziato ottocentesco di cui non si riconoscono i meriti; il suo studio è in realtà una lercia macelleria; vive e si muove nell’indigenza, nella sudicia lordura di tuguri freddi e cadenti, e la sua professione mal pagata non è sufficiente a sfamarlo e sopravvivere.
Faust conosce profondamente la scienza medica, ma la sua sete di sapere è implacabile, e si tramuta in oscura inquietudine, nel momento in cui perde il senso dell’esistenza , smarrendo se stesso e la propria integrità morale; i suoi movimenti d’improvviso non si placano più, quasi fossero premonitori di un futuro di dannazione.
Faust incontra così l’usuraio, un deforme, strisciante e terreno Mefistofele, che insinua il male nella mente del dottore, senza compiere nulla di sovrannaturale, ma semplicemente utilizzando i trucchi del miglior illusionista e suggerendo in modo infido idee, atteggiamenti a chi li stava già maturando.
Il male e l’inferno di Sokurov si sviluppano in terra, sono il frutto del malevolo approccio culturale delle persone alla vita, persone cui spesso è sufficiente un buon complice o un valido pretesto per porre in essere quegli atti che la viltà non consentirebbe loro di sviluppare autonomamente.
E così Faust segue lo spregevole usuraio fra i vicoli labirintici di strutture fatiscenti, fra sentieri e selciati che si accavallano e si moltiplicano incessantemente, su e giù per ripide ed umide scale in pietra che sembrano avere una continuità insolubile e pari alla brama del dottore. Quelle costruzioni claustrofobiche, tumultuose, nauseanti provocano un senso di smarrimento, un impatto visivo di tale potenza da disturbare l’equilibrio e la respirazione dello spettatore. Quelle stesse strutture ammassate rappresentano forse la coscienza di Faust, il contorto percorso esistenziale che egli compie dentro di sé, fino a non scorgere più il punto di partenza, fino a perdersi nel delirio e nella corruzione che guadagnano terreno mattone dopo mattone, sequenza dopo sequenza.
Faust uccide un uomo, armato dal purulento aguzzino, s’invaghisce di Margaret, sorella della vittima, e il suo desiderio si trasforma e cresce esponenzialmente, fino a divenire incontrollabile, l’unico motivo possibile, l’eterno, implacabile tormento, un mostro tale da valere l’anima stessa, che il dottore vende all’usuraio, cedendo all’eterna depravazione.
Più si sprofonda nell’abisso della perdita di sé, e più le immagini si fanno distorte, e la messa a fuoco cede spazio ai contorni sghembi di un Faust allucinato, avvelenato da una overdose della sua stessa brama. I colori tetri e le tinte fosche sostengono la frenesia di discesa del protagonista, e il filtro giallo e quasi sulfureo riempie lo spazio -rotto soltanto dalla luce della vacillante innocenza di Margaret- e invade il campo visivo, calando su di esso come un abbraccio mortifero.
Il paesaggio assume contorni danteschi, e l’inferno in terra di Sokurov s’inoltra senza sosta fra rocce e geyser, mentre la coscienza e l’anima di Faust si protendono verso la prospettiva di un vagabondaggio solitario, liquefacendosi e sfumando oltre l’orizzonte di un eterno e incontrovertibile errare.
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(di weach )
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epidemic
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domenica 5 febbraio 2012
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eccelsa fotografia per l'eterno divagare di faust
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eccelsa fotografia, teatralità dirompente e una buona scelta di scenografia e costumi. Ovviamente chi va al cinema a vedere il Faust penso che già sa cosa andrà incontro, che ovviamente non sarà una commediola (lo dico a tutti quelli che han dato una stella) allegra e sempliciotta. Si respira filosofia e teologia nell'incessante divagare del dottor Faust accompagnato dall'ambiguo Marcelius, così ogni situazione è buon terreno per rimpolparla di estremi dialoghi a volte eterei a volte boccacceschi. Il lungo percorso di Faust e i tranelli del Diavolo riempiono 2 ore in cui comunque la fotografia la fa da padrone. Piacevolmente sorpreso (sinceramente me lo aspettavo pesante) e assolutamente 4 stelle
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shishi raion
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venerdì 27 gennaio 2012
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sokurov e il faust kafkiano
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“Faust” è il film con cui Sokurov chiude la sua tetralogia sul potere, dolo “Moloch”, “Taurus” e “Il Sole”. Osannato e olimpizzato da tutte le critiche, il “capolavoro” di Sokurov sembra essere destinato a diventare un classico, un “film imprescindibile”. Geniali scelte stilistiche sembrano consacrare il regista, che è riuscito a racchiudere arte, filosofia e letteratura nella sua opera, pervasa di simbolismo.
Il dottor Faust è un uomo maledetto: condannato da una romantica tensione verso l’infinito, sbanda (fisicamente e moralmente) da tutte le parti. La sua anima è soffocata dalla claustrofobia del mondo, magnificamente resa dal regista attraverso espedienti cinematografici (inquadrature chiuse, esseri umani che si scavalcano continuamente), e infettata dalla putridità della materia che la costringe.
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“Faust” è il film con cui Sokurov chiude la sua tetralogia sul potere, dolo “Moloch”, “Taurus” e “Il Sole”. Osannato e olimpizzato da tutte le critiche, il “capolavoro” di Sokurov sembra essere destinato a diventare un classico, un “film imprescindibile”. Geniali scelte stilistiche sembrano consacrare il regista, che è riuscito a racchiudere arte, filosofia e letteratura nella sua opera, pervasa di simbolismo.
Il dottor Faust è un uomo maledetto: condannato da una romantica tensione verso l’infinito, sbanda (fisicamente e moralmente) da tutte le parti. La sua anima è soffocata dalla claustrofobia del mondo, magnificamente resa dal regista attraverso espedienti cinematografici (inquadrature chiuse, esseri umani che si scavalcano continuamente), e infettata dalla putridità della materia che la costringe. Nel film di Sokurov la morte e la miseria regnano incontrastate sugli uomini, rappresentati come animali, sporchi e mossi da bisogni prettamente fisiologici. In questo scenario volutamente marcio, spicca il dottor Faust che vediamo, all’inizio del film, cercare l’anima in un corpo dissezionato che perde fegato e budella come in un riuscitissimo horror-movie, chiedersi il significato del principio della Bibbia e provare a soddisfare la sua divorante sete di conoscenza a piccole gocce che altro non fanno se non aumentare la sete stessa. L’infelice Faust è così teso verso il suo infinito obiettivo da non distinguere più tra bene e male, arrivando a sfociare in un machiavellico tentativo di arrivare dove non è possibile arrivare, spinto dall’irrefrenabile forza della sua anima: un’anima incontentabile, che non riesce a sopportare le catene che la inchiodano al mondo, angosciante e disgustoso.
Sokurov prova a rappresentare tutto ciò, rendendoci molto bene la negatività materialistica del mondo, così bene però da soffocare la componente più essenziale e importante dell’opera di Goethe: la grandiosità e il fascino dell’anima di Faust, che il regista subordina agli escrementi e alla sporcizia della materia. Il risultato? Lo spettatore, concentrato a tapparsi il naso e a lamentarsi della puzza, si perde il meraviglioso tentativo del protagonista di appropriarsi dell’orizzonte e fondersi con esso: dalla sala esce infatti, al posto di una persona toccata nel profondo dall’eroismo titanico di Faust, un ipocondriaco con un altissimo tasso di melatonina nel sangue. Rappresentando un’opera come il “Faust” di Goethe, non si può prescindere dal fascino di cui è intriso il personaggio letterario, non si può asfissiare la perfezione dell’anima con la deformità e l’incompiutezza della materia. Il regista russo riproduce con tanta, troppa maestria i temi negativi racchiusi nel capolavoro di Goethe, mancando però di riprodurre altrettanto efficacemente quelli positivi e demolendo, minuto dopo minuto, il retroscena romantico al quale si sostituisce un cupo esistenzialismo. Forse, invece di fallire con il Faust, Sokurov avrebbe potuto puntare all’eccellenza portando sul grande schermo lo “scarafaggio” kafkiano.
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explorer23
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venerdì 27 gennaio 2012
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una pena
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semplicemente una pena di film. ho fatto fatica a vederlo tutto.
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(di ruggero)
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astromelia
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lunedì 23 gennaio 2012
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sebbene si arguista l'opera mefistofelica,sia negli scenari che nella fotografia oltre che nel contenuto stesso, e premesso che prima della visione bisognerebbe ripassare goethe rinfrescandosi la memoria, questo film è pesante,disturbante,per molti versi odioso,la prima parte è pallosa,si ravviva quando si inscena la giovane ragazza,ma l'atmosfera ricade nuda e cruda è il caso di dirlo sullo spettatore,bisogna considerare la premeditazione prima di avvicinarsi ad un film del genere,forse sarà riuscito per un'elite di palati sofisticati,ma non è cosa per un pubblico d'emblèe,drammaturgia che riporta ai fasti teatrali predatati o alle prime miniserie televisive in bianco e nero,ma nel 2012 questa pellicola stride fortemente .
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sebbene si arguista l'opera mefistofelica,sia negli scenari che nella fotografia oltre che nel contenuto stesso, e premesso che prima della visione bisognerebbe ripassare goethe rinfrescandosi la memoria, questo film è pesante,disturbante,per molti versi odioso,la prima parte è pallosa,si ravviva quando si inscena la giovane ragazza,ma l'atmosfera ricade nuda e cruda è il caso di dirlo sullo spettatore,bisogna considerare la premeditazione prima di avvicinarsi ad un film del genere,forse sarà riuscito per un'elite di palati sofisticati,ma non è cosa per un pubblico d'emblèe,drammaturgia che riporta ai fasti teatrali predatati o alle prime miniserie televisive in bianco e nero,ma nel 2012 questa pellicola stride fortemente .....
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gioinga
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lunedì 9 gennaio 2012
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noia
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Un film noioso, cupo, a tratti morboso e di sicuro poco interessante. Da non vedere. Mi sono chiesto come abbiano potuto assegnargli il leone d'oro, poi controllando la giuria del festival di Venezia le idee mi si sono fatte un pò più chiare. Il presidente era Aronofsky, il cui ultimo film "il cigno nero" non è male, ma non può certo definirsi un capolavoro se paragonato all'"inquilino del terzo piano", magistrale film dello stesso genere (thriller psicologico). Mi ha stupito la presenza di Martone, un buon regista italiano. Resta il fatto che questo film, piuttosto pretenzioso, e da molti critici interpretato come un capolavoro, è uno dei peggiori che ho visto. E non dipende dal taglio che il regista gli ha voluto dare, scegliendo ritmi lenti e dando grande attenzione alla scenografia.
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Un film noioso, cupo, a tratti morboso e di sicuro poco interessante. Da non vedere. Mi sono chiesto come abbiano potuto assegnargli il leone d'oro, poi controllando la giuria del festival di Venezia le idee mi si sono fatte un pò più chiare. Il presidente era Aronofsky, il cui ultimo film "il cigno nero" non è male, ma non può certo definirsi un capolavoro se paragonato all'"inquilino del terzo piano", magistrale film dello stesso genere (thriller psicologico). Mi ha stupito la presenza di Martone, un buon regista italiano. Resta il fatto che questo film, piuttosto pretenzioso, e da molti critici interpretato come un capolavoro, è uno dei peggiori che ho visto. E non dipende dal taglio che il regista gli ha voluto dare, scegliendo ritmi lenti e dando grande attenzione alla scenografia. Semplicemente è un'operazione mal riuscita e mal recepita dalla critica.
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maria cristina nascosi sandri
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martedì 13 dicembre 2011
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un uhr-faust cinematografico
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Il FAUST di Sokurov,
Leone d’oro 2011 a Venezia, finalmente nelle sale
di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Arriva finalmente nelle sale l’ultimo capolavoro, in ordine di tempo, di Aleksandr Sokurov, quello che chiude una tetralogia di grande valore, tema gli effetti corruttivi del Potere, iniziata con gli studi di Adolf Hitler ("Moloch", 1999), proseguita con Vladimir Lenin ("Il Toro", 2000) e l’imperatore giapponese Hirohito ("Il Sole", 2004).
L’opera è ispirata, più o meno liberamente, all’uhr-Faust di Goethe, il Faust ‘primario, originale’, benché, in ordine di tempo, il primo grande testo sull’argomento, risalga a quasi due secoli prima, di mano di Christopher Marlowe, il grande antagonista (o alter ego? ) contemporaneo di Shakespeare: entrambi erano nati, infatti, nel 1564.
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Il FAUST di Sokurov,
Leone d’oro 2011 a Venezia, finalmente nelle sale
di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Arriva finalmente nelle sale l’ultimo capolavoro, in ordine di tempo, di Aleksandr Sokurov, quello che chiude una tetralogia di grande valore, tema gli effetti corruttivi del Potere, iniziata con gli studi di Adolf Hitler ("Moloch", 1999), proseguita con Vladimir Lenin ("Il Toro", 2000) e l’imperatore giapponese Hirohito ("Il Sole", 2004).
L’opera è ispirata, più o meno liberamente, all’uhr-Faust di Goethe, il Faust ‘primario, originale’, benché, in ordine di tempo, il primo grande testo sull’argomento, risalga a quasi due secoli prima, di mano di Christopher Marlowe, il grande antagonista (o alter ego? ) contemporaneo di Shakespeare: entrambi erano nati, infatti, nel 1564.
Leone d’oro all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Faust è poesia per gli occhi, raffinatezza recitativa di grande impatto.
Negli intenti del regista - che lo ha dichiarato in conferenza stampa a Venezia, la sera della vittoria – il film riflette gli sforzi continuati da parte sua, tramite un ‘tema classico’ quanto mai, quello dell’uomo che patteggia col demonio per il raggiungimento della Conoscenza, di comprendere l’essere umano, le sue forze interiori ed i suoi lati più oscuri.
Grande era il timore di Sokurov per l’uscita nelle sale non solo italiane, timore, per fortuna, rivelatosi infondato.
Girato nei castelli della Repubblica Ceca, ed in Islanda, Faust è interpretato da attori tedeschi per precisi intenti filologico - performativi del regista.
Davvero un capo d’opera da non perdere.
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zoom e controzoom
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domenica 4 dicembre 2011
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i toni grigi per uno splendore
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Film pesantissimo da vedere anche con la passione del cinefilo che però scopre la meraviglia delle inquadrature, i cromatismi, la follia nei costumi, il continuo errare senza soluzione di continuità come specchio dell'anima e, stupenda scelta, la messa a fuoco di un'inezia di particolare, ma quel tanto che basta per rendere il soggetto soggetto e tutto il resto secondario.
Difficile film da reggere fino alla fine eppure è un gran film e già dalla prima inquadratura ti avverte sbattendo in faccia allo spettatore l'organo genitale maschile che, non essendo corpo vitale, è simbolo dell'espropriazione di tutto ciò che è vitale.
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Film pesantissimo da vedere anche con la passione del cinefilo che però scopre la meraviglia delle inquadrature, i cromatismi, la follia nei costumi, il continuo errare senza soluzione di continuità come specchio dell'anima e, stupenda scelta, la messa a fuoco di un'inezia di particolare, ma quel tanto che basta per rendere il soggetto soggetto e tutto il resto secondario.
Difficile film da reggere fino alla fine eppure è un gran film e già dalla prima inquadratura ti avverte sbattendo in faccia allo spettatore l'organo genitale maschile che, non essendo corpo vitale, è simbolo dell'espropriazione di tutto ciò che è vitale. Non puoi nemmeno gridare alle scandolo - per l'inquadratura - dato che al momento stesso in cui la percepisci, percepisci che non ha nulla di provocatorio, ma è solo la sua fine per poter passare ad altro privo di materialità.
Gli spazi, tutti comunicanti e privi di intimità, fanno sentire esposti e vulnerabili i due personaggi errabondi.
Non è nemmeno necessario seguire i dialoghi, si percepisce benissimo lo spazio entro il quale si è portati, finchè la luce cambia, inondata dal candido bagliore di Margherita o dalla scena dove tutte le donne con vesti bianche, scherzano e sberleffano con l'orrido caprone asessuato.
Spiazza il formato, spiazzano le inquadrature da "ubriaco", ma rientrano nella messa in pratica di tecniche che proiettano in avanti il processo del racconto.
Decisamente non è un film per tutti, ma solo perchi vuole entrare nel merito staccandosi dal proprio personale " SE' "
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[+] bravo
(di kimkiduk)
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