Questione di punti di vista |
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Un film di Jacques Rivette.
Con Sergio Castellitto, Jacques Bonnaffé, Julie-Marie Parmentier, Hélène de Vallombreuse, Tintin Orsoni, Vimala Pons.
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Titolo originale 36 vues du Pic Saint-loup.
Drammatico,
durata 75 min.
- Francia, Italia 2009.
- Bolero Film
uscita martedì 8 settembre 2009.
MYMONETRO
Questione di punti di vista
valutazione media:
2,80
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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piccole voci in un grande spettacolodi Pietro SignorelliFeedback: 105 | altri commenti e recensioni di Pietro Signorelli |
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martedì 15 settembre 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
80 minuti di film per il francese Jacques Rivette (classe 1928), amante del teatro da sempre, regista che è adorato dalla critica e snobbato completamente dal pubblico. Statico, pieno di dialoghi, ben poco frenetici od ansiosi, il suo cinema non è certo il pasto prelibato di spettatori che vogliano godersi la sala senza poi dover fare una sorta di analisi del visto, ed anche questo Questione di punti di vista, non sfugge alla regola. Autentico esempio di teatro filmato o cinema teatrale che dir si voglia, narra la triste storia di Kate (la Birkin) che viene aiutata da Vittorio (Castellitto), che le ripara l'auto in panne sulla strada. Incuriosito dalla donna, decide di restare con lei, che lavora in un piccolo circo, per capire come mai questa sia cupa, taciturna e con poca voglia di raccontare il suo passato del quale ha un segreto totale. Vivendo il ristretto circo, fatto di pochi artisti (che fanno delle scene e non dei numeri, come specificato) ed uno scarso pubblico, l'uomo a poco a poco ne conosce il fascino e l'essenza, mentre il segreto di Kate viene alla luce. Statico si diceva, ma non immobile: il lavoro di Rivette si rivela essere una pellicola cristallizzata nei tempi che furono, girato con camere fisse, tempi lunghissimi e la totale assenza di musiche. Da notare come la Birkin nei suoi momenti intimisti di dolore parli molto di più con gli oggetti (pali, tombe ed altro) che con le persone, una sorta di rapporto di sicurezza derivata dal fatto che certe cose è molto meglio cercare di soffocarle e non divulgarle, una convinzione che vedremo alla fine non è certo liberante. Castellitto è una sorta di vagabondo/Charlot con i soldi che si avvicina a un mondo nuovo incuriosito, mosso non dalla voglia di sbarcare il lunario ma dalla possibilità di ampliare le sue cognizioni personali. Rivette ama il tema, lo tratta con una semplicità senza pari e una genuinità quasi atroce, lontana dal cinema fracassone e multieffetto di questo secolo digitale. Ci sono vari stili di ripresa nella pellicola: il colpo geniale avviene quando si alternano in un'unica inquadratura la vita reale e il teatro, con il magistrale uso delle luci che alternano l'occhio di bue sul palco e poi i fari sulla strada, dimostrando che chi recita ha comunque dei drammi che non lo lasciano essere presente senza remore sulla scena entrando nel personaggio. È disarmante notare che ci possa essere tanta poesia con le piccole cose:i figuranti eseguono il compito di divertire senza quasi sapere perché suscitano risate, consapevoli soltanto che il pubblico, che praticamente li ha abbandonati decretando la fine dei circhi familiari da strada, è il loro giudice unico e così sarà per sempre. Il film è corto nella metratura ma criptico, doverosamente lento, giustamente riflessivo, abbondantemente parlato e decisamente fuori da questi tempi. La noia rischia di essere praticamente subitanea, certo che se alziamo il tiro del nostro impegno e ci apprestiamo invece a vivere con il giusto metro questa piccola dolce intensa esperienza, la soddisfazione di entrare nell'anima che i personaggi alla fine aprono, senza clamori e clap-clap, è davvero sublime e fa parte di un cinema che esiste solo nei vecchi ricordi. Il finale con i saluti a turno dentro e fuori il tendone è perfetto, la luna scende e lo spettacolo finisce. Magari non ci illuminiamo d'immenso per questa alba rivettiana, però capiamo che forse esiste ancora un modo genuino di proporre piccole storie.
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