francesco2
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venerdì 20 agosto 2010
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quelli tra circo... .cinema, e realtà
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Diversi anni fa, su "Segnocinema" Enrico Terrone criticò con una certa durezza "Chi lo sa?", terz'ultimo film di Rivette, valutandolo pseudo-autoriale, su c"aristocratici" annoiati e noiosi (Sarebbe meglio ANNOIANTI, se esistesse in Italiano). In realtà nel recensire questo film è probabilmente a quell'esempio che bisogna riferirsi, più a che al poco discusso ma discutibile la "Duchessa di Langeais"(2008).
I tre film hanno in comune un rifiuto da Nouvelle Vague del cinema "in quanto tale",
nella concezione aristotelica di Tempo-Luogo-Azione, senza arrivare agli estremi di "ultimi respiri" godardiani. Del resto ancoraprima "Giovanna D'Arco" era un'opera di carattere storico, e ancora prima l'eccellente "La bella scontrosa" aveva una trama per modo di dire(Un pittore che dipingendo una donna (ri) trova sé stesso.
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Diversi anni fa, su "Segnocinema" Enrico Terrone criticò con una certa durezza "Chi lo sa?", terz'ultimo film di Rivette, valutandolo pseudo-autoriale, su c"aristocratici" annoiati e noiosi (Sarebbe meglio ANNOIANTI, se esistesse in Italiano). In realtà nel recensire questo film è probabilmente a quell'esempio che bisogna riferirsi, più a che al poco discusso ma discutibile la "Duchessa di Langeais"(2008).
I tre film hanno in comune un rifiuto da Nouvelle Vague del cinema "in quanto tale",
nella concezione aristotelica di Tempo-Luogo-Azione, senza arrivare agli estremi di "ultimi respiri" godardiani. Del resto ancoraprima "Giovanna D'Arco" era un'opera di carattere storico, e ancora prima l'eccellente "La bella scontrosa" aveva una trama per modo di dire(Un pittore che dipingendo una donna (ri) trova sé stesso.
In questo "Metacinema" che espelle qualsiasi commento musicale ma in compenso non rinuncia alla sua dimensione teatrale (Del resto, questi clown non fanno che teatro)le critiche di Terrone all'opera precedente valgono in parte anche stavolta, in parte no. Certo, rimproverare al regista una dimensione effimera, in questo luogo fuori dal mondo, stile comunità di "Centochiodi" (E' un caso che il titolo Francese, stavolta molto meno bello di quello Italiano, sia un INDIRIZZO?)risponde in parte a verità. L'amore sempre casto e contrastato tra Castellitto e la Birkin nasce in maniera originale (La scena muta all'inizio), ma rischia di ridursi ad un contrasto di caratteri che fa esplodere, in maniera a volte banale, il solito dramma passato di cui non si riesce a liberarsi). La descrizione della dimensione circense, poi, dà parzialmente ragione al giornalista di "Segnocinema": se a volte convince la dimensione del TEATRO, vissuta in maniera contrapposta ed allo stesso tempo
complementare a quella reale (La RECITA dei clown viene mostrata in piccoli sketches, mostrati tra un pezzo di VITA VERA e l'altro), in altre situazioni il film pare solo un giochino di artisti che hanno perso il loro pubblico e sé stessi,assorti in una dimensione come già detto fuori tempo e luogo, che finiscono per coinvolgere, grazie ad un banale stratagemma della sceneggiatura il (Mal) capitato Castellitto.
Però. Rispetto a "Chi lo sa?", il film conserva una dimensione "Tragica" che non si esaurisce nel banale e banalizzato dolore della Birkin. Intanto,grazie alla citata contrapposizione tra circo e realtà. Le cose, come evidenzia l'ottimo titolo italiano, vengono viste secondo una doppia prospettiva, quella reale e quella dello spettacolo. Il pittore della "Bella scontrosa" si immergeva nell'Arte per capire la realtà, alla Birkin, personaggio forse meno incline alla "Retorica decadente" ma anche in un contesto più banale, questo non basta più. Dovrà superare quel mondo forse un pò artefatto(?) per superare il lutto patito e tornare, al contempo, alla vita ed allo spettacolo, a essere sincera e recitare.
Il personaggio di Castellitto, interprete proprio anche di "Chi lo sa?", sintetizza meglio il film : di lui sappiamo ben poco, ma finirà per farsi coinvolgere nello spettacolo del film due volte, nella "Realtà"(Con la donna) enella "Finzione"(Recitando). Un PUNTO DI VISTA(appunto), quello dell'Arte, che come aveva evidenziato con ben altra profondità "La bella scontrosa", è forse fondamentale per capire meglio noi stessi.
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pietro signorelli
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martedì 15 settembre 2009
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piccole voci in un grande spettacolo
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80 minuti di film per il francese Jacques Rivette (classe 1928), amante del teatro da sempre, regista che è adorato dalla critica e snobbato completamente dal pubblico. Statico, pieno di dialoghi, ben poco frenetici od ansiosi, il suo cinema non è certo il pasto prelibato di spettatori che vogliano godersi la sala senza poi dover fare una sorta di analisi del visto, ed anche questo Questione di punti di vista, non sfugge alla regola.
Autentico esempio di teatro filmato o cinema teatrale che dir si voglia, narra la triste storia di Kate (la Birkin) che viene aiutata da Vittorio (Castellitto), che le ripara l'auto in panne sulla strada. Incuriosito dalla donna, decide di restare con lei, che lavora in un piccolo circo, per capire come mai questa sia cupa, taciturna e con poca voglia di raccontare il suo passato del quale ha un segreto totale.
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80 minuti di film per il francese Jacques Rivette (classe 1928), amante del teatro da sempre, regista che è adorato dalla critica e snobbato completamente dal pubblico. Statico, pieno di dialoghi, ben poco frenetici od ansiosi, il suo cinema non è certo il pasto prelibato di spettatori che vogliano godersi la sala senza poi dover fare una sorta di analisi del visto, ed anche questo Questione di punti di vista, non sfugge alla regola.
Autentico esempio di teatro filmato o cinema teatrale che dir si voglia, narra la triste storia di Kate (la Birkin) che viene aiutata da Vittorio (Castellitto), che le ripara l'auto in panne sulla strada. Incuriosito dalla donna, decide di restare con lei, che lavora in un piccolo circo, per capire come mai questa sia cupa, taciturna e con poca voglia di raccontare il suo passato del quale ha un segreto totale. Vivendo il ristretto circo, fatto di pochi artisti (che fanno delle scene e non dei numeri, come specificato) ed uno scarso pubblico, l'uomo a poco a poco ne conosce il fascino e l'essenza, mentre il segreto di Kate viene alla luce.
Statico si diceva, ma non immobile: il lavoro di Rivette si rivela essere una pellicola cristallizzata nei tempi che furono, girato con camere fisse, tempi lunghissimi e la totale assenza di musiche. Da notare come la Birkin nei suoi momenti intimisti di dolore parli molto di più con gli oggetti (pali, tombe ed altro) che con le persone, una sorta di rapporto di sicurezza derivata dal fatto che certe cose è molto meglio cercare di soffocarle e non divulgarle, una convinzione che vedremo alla fine non è certo liberante. Castellitto è una sorta di vagabondo/Charlot con i soldi che si avvicina a un mondo nuovo incuriosito, mosso non dalla voglia di sbarcare il lunario ma dalla possibilità di ampliare le sue cognizioni personali. Rivette ama il tema, lo tratta con una semplicità senza pari e una genuinità quasi atroce, lontana dal cinema fracassone e multieffetto di questo secolo digitale.
Ci sono vari stili di ripresa nella pellicola: il colpo geniale avviene quando si alternano in un'unica inquadratura la vita reale e il teatro, con il magistrale uso delle luci che alternano l'occhio di bue sul palco e poi i fari sulla strada, dimostrando che chi recita ha comunque dei drammi che non lo lasciano essere presente senza remore sulla scena entrando nel personaggio. È disarmante notare che ci possa essere tanta poesia con le piccole cose:i figuranti eseguono il compito di divertire senza quasi sapere perché suscitano risate, consapevoli soltanto che il pubblico, che praticamente li ha abbandonati decretando la fine dei circhi familiari da strada, è il loro giudice unico e così sarà per sempre.
Il film è corto nella metratura ma criptico, doverosamente lento, giustamente riflessivo, abbondantemente parlato e decisamente fuori da questi tempi. La noia rischia di essere praticamente subitanea, certo che se alziamo il tiro del nostro impegno e ci apprestiamo invece a vivere con il giusto metro questa piccola dolce intensa esperienza, la soddisfazione di entrare nell'anima che i personaggi alla fine aprono, senza clamori e clap-clap, è davvero sublime e fa parte di un cinema che esiste solo nei vecchi ricordi. Il finale con i saluti a turno dentro e fuori il tendone è perfetto, la luna scende e lo spettacolo finisce. Magari non ci illuminiamo d'immenso per questa alba rivettiana, però capiamo che forse esiste ancora un modo genuino di proporre piccole storie.
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(di francesco2)
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