paolp78
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domenica 4 aprile 2021
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curatissimo impatto visivo
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Film in costume di genere sentimentale diretto dal regista inglese Stephen Frears che si era già dimostrato particolarmente a proprio agio alle prese con opere aventi tali caratteristiche.
La pellicola si impone per il rigore formale e per la straordinaria cura dei particolari, che può apprezzarsi soprattutto nei costumi, arredi, scenografie, ambienti, trucco e parrucco: sono questi, in effetti, gli elementi che caratterizzano maggiormente la pellicola producendo uno straordinario impatto visivo che resta impresso nella mente dello spettatore.
La sceneggiatura è intelligentemente adattata da un romanzo risalente al 1920 della scrittrice francese Colette ed è ambientato nella sofisticata, oziosa, libertina e spensierata Parigi della Belle Èpoque, di cui Frears è bravissimo a riprodurre molto credibilmente l’atmosfera.
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Film in costume di genere sentimentale diretto dal regista inglese Stephen Frears che si era già dimostrato particolarmente a proprio agio alle prese con opere aventi tali caratteristiche.
La pellicola si impone per il rigore formale e per la straordinaria cura dei particolari, che può apprezzarsi soprattutto nei costumi, arredi, scenografie, ambienti, trucco e parrucco: sono questi, in effetti, gli elementi che caratterizzano maggiormente la pellicola producendo uno straordinario impatto visivo che resta impresso nella mente dello spettatore.
La sceneggiatura è intelligentemente adattata da un romanzo risalente al 1920 della scrittrice francese Colette ed è ambientato nella sofisticata, oziosa, libertina e spensierata Parigi della Belle Èpoque, di cui Frears è bravissimo a riprodurre molto credibilmente l’atmosfera.
Nella parte della protagonista troviamo la bravissima Michelle Pfeiffer che incarna stupendamente il personaggio della raffinata cortigiana non più nel fiore della giovinezza, ma ancora molto attraente; il fascino e l’eleganza della Pfeiffer seducono lo spettatore, come il suo personaggio seduce il giovane dongiovanni protagonista maschile della storia, interpretato da un Rupert Friend perfettamente calato nella parte.
Un ruolo di particolare rilievo è affidato a Kathy Bates, davvero bravissima e molto convincente, soprattutto nei godibilissimi duetti con la Pfeiffer caratterizzati dai perfidi e pungenti dialoghi, ottimamente scritti ed esaltati dal talento delle sue sublimi interpreti.
Le musiche sono molto ben scelte in quanto adatte all’opera e capaci di accompagnarla gradevolmente per tutta la sua durata.
Esperta e convincente la direzione di Frears.
L’opera molto leggiadra e piacevole difetta però di sostanza ed in effetti deve dirsi che non lascia un segno ed un ricordo tangibile nello spettatore.
Buona la scelta di contenere la durata della pellicola, soluzione sempre opportuna per evitare il rischio noia.
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antonio canzoniere
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giovedì 11 dicembre 2014
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la pfeiffer, swann al femminile
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Nella Parigi del primo '900 Léa, radiosa donna di mezza età e cortigiana d'alto bordo, intreccia una relazione con Fred Peloux, figlio di una sua infida quanto obesa ex-collega assai più giovane di lei, soprannominato Chéri per la sua bellezza ed eleganza. Dopo sei anni d'amore, i due si lasciano per lasciar spazio alle convenzioni e al facoltoso matrimonio di lui con la figlia di un'altra cortigiana, giovane e inesperta, che rende ancora più evidente l'attrazione esplosiva tra i due amanti, destinati a dimenticare con malinconia il loro sogno d'amore. Per Frears si tratta di nuove relazioni pericolose, narrate con un tocco inconfondibile, elegante, sottile quanto il suo humour all'inglese, ma con un tocco minimalista da "commedia dei disprezzi".
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Nella Parigi del primo '900 Léa, radiosa donna di mezza età e cortigiana d'alto bordo, intreccia una relazione con Fred Peloux, figlio di una sua infida quanto obesa ex-collega assai più giovane di lei, soprannominato Chéri per la sua bellezza ed eleganza. Dopo sei anni d'amore, i due si lasciano per lasciar spazio alle convenzioni e al facoltoso matrimonio di lui con la figlia di un'altra cortigiana, giovane e inesperta, che rende ancora più evidente l'attrazione esplosiva tra i due amanti, destinati a dimenticare con malinconia il loro sogno d'amore. Per Frears si tratta di nuove relazioni pericolose, narrate con un tocco inconfondibile, elegante, sottile quanto il suo humour all'inglese, ma con un tocco minimalista da "commedia dei disprezzi". Per marcare questo tratto teatrale, punta ai dialoghi serrati, la descrizione degli ambienti dalla limpidezza formale e dal cuore torbido degna di un'operetta. Ma il classicismo dello stile porta a ben altri traguardi: l'ispirazione verrà pure da Colette, ma Proust aleggia come uno spettro sui due amanti ricoprendoli del suo alone di decadenza. Swann ha trovato la sua anima gemella in questa Pfeiffer luminosa alla ricerca di bellezza e di vita volata sotto il peso del tempo e del suo corpo al tramonto, travolto da un amore edipico ai limiti dell'ingenuità; il suo Chéri, l'angelo di amore e morte, dalla femminea apparenza, non è forse Albertine sotto diverse spoglie? E non è sempre proustiana la sapienza con cui la civetteria delle classi alte viene smontata con trovate impietose semi-grottesche? Le scene più esplicative in questi termini sono quella nella serra con il bacio cullato dal profumo dell'acacia rosa e quella del doppio immondo e assolutamente caricaturale che apre le note drammatiche e il senso di colpevolezza di Léa che culmina nel suo monologo finale intenso e acuto quanto una spina di fiore. Un gioiello di Frears che si avvale di una Bates smagliante e di una protagonista resa anche più bella dagli scenari di inizio secolo.
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toty bottalla
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domenica 24 marzo 2013
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per sofferenti di insonnia!
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La sceneggiatura, forse perchè troppo fedele al romanzo della colette, sonnecchia, curando spettatori malati di insonnia, conviene svegiarsi nel finale per non perdersi la parte migliore offerta dalla pfeiffer, meravigliose alcune location. Saluti.
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francesco2
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domenica 29 agosto 2010
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piccoli affari. piccoli o medi?
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Se si riflette sul cinema di Frears, è forse impossibile non cogliere che questo inglese
(forse) gay, garbatamente irriverente pure durante la notte degli Oscar(Nell'abbigliamento, per come si atteggiava), non si sia spesso interrogato sull'imbroglio.Tralasciando "My Beautiful Laundrette", considerato tra i suoi film migliori, da "Rischiose abitudini" ed "Eroe per caso" (Primi anni '90), fino a "Piccoli affari sporchi" e "The Queen (Gli ultimi anni), valutare i piccoli e grandi inganni presenti nelle convenzioni quotidiane, nelle esistenze degli immigrati come negli alti strati della società inglese, è una tematica sempre presente; persino in una (presunta)opera leggera come "Lady Henderson presenta" (2006).
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Se si riflette sul cinema di Frears, è forse impossibile non cogliere che questo inglese
(forse) gay, garbatamente irriverente pure durante la notte degli Oscar(Nell'abbigliamento, per come si atteggiava), non si sia spesso interrogato sull'imbroglio.Tralasciando "My Beautiful Laundrette", considerato tra i suoi film migliori, da "Rischiose abitudini" ed "Eroe per caso" (Primi anni '90), fino a "Piccoli affari sporchi" e "The Queen (Gli ultimi anni), valutare i piccoli e grandi inganni presenti nelle convenzioni quotidiane, nelle esistenze degli immigrati come negli alti strati della società inglese, è una tematica sempre presente; persino in una (presunta)opera leggera come "Lady Henderson presenta" (2006).
Ignoravo, prima di leggerlo su "Segnocinema", che il film fosse stato scritto con gli stessi sceneggiatori delle "Relazioni pericolose"(1988), anche se non manca l'ironia, talvolta molto pungente, nel valutare la società dell'epoca: ma se il film secondo me lascia un pò perplessi, il punto è la scelta di concentrarsi su una vicenda individuale, che (troppo) spesso assume le sfumature del melodramma. E dire che la partenza non era male: veniva posto in risalto, con una certa intelligenza, il rapporto tra Lea e la suocera, che aveva organizzato un matrimonio con un altra pur sapendo che era innamorata di lei. Convince anche il "ritorno" della suocera stessa, dopo che i due si erano provvisoriamente ( ma poi definitivamente) lasciati. Però, se l'intenzione era (ri) fare il film di oltre vent'anni fa, fosse o non fosse così bello, presupponeva minori cedimenti all'impostazione dell'"Amore impossibile" ed un approccio maggiormente ironico al rapporto ambiguo che legava i due personaggi: un'ambiguità che alla fine si rivelerà fatale. La Pfeiffer si rende conto che era stata una "Seconda madre" nel senso più spregiativo del termine, e che paradossalmente la rivalità con la vera genitrice si era spinta a recitare (O appropriarsi) dello stesso ruolo, in modoc he il giovane non crescesse mai. Ma anche Chèri ha le sue "colpe": non si rende conto di essere innamorato non della Lea di adesso, ma di una realtà che non esiste più. Non è un caso che la didascalia finale parli non solo di un amore (Davvero?)finito (Microcosmi), ma della "Belle èpoque" che non esiste più (Macrocosmi).
Nel piccolo, discutibile ma ingiustamente ignorato "Piccoli affari sporchi" Frears fondeva Loach, azione e storia d'amore raggiungendo almeno due risultati: un piccolo(Appunto) spaccato sulle "Persone inutili" di Vallesi, ed una storia dì'amore senza lieto fine garantito. Questa è una "scommessa"(Ma dove?)ancor più riuscita a metà, si veda o il bicchiere mezzo pieno o quello mezzo vuoto. Persino il suicidio del protagonista, se potrebbe essere letto sotto diverse chiavi (Un altra dimostrazione della fine di un'epoca, il fallimento dell'(In)utile idiota(?), rischia di apparire un colpo "A effetto" modello "Attimo fuggente".
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alesya
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giovedì 1 luglio 2010
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cheri
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Cheri…un nomignolo di dolcezza che si scioglie in bocca come un cioccolatino…un vezzeggiativo adorabile per un personaggio adorabile…o in questo caso insopportabile.Per la sua ultima pellicola , dopo aver scavato nell’animo ferreo della regina d’Inghilterra in “the Queen” , Stephen Frears ci apre un passaggio nella Francia della Belle Epoque per raccontarci una storia , dall’omonimo romanzo di Colette ,la cui vera protagonista è la bellissima e bravissima anche se non più giovanissima michelle Pfeiffer , preferita dal regista sin dai tempi de ” le relazioni pericolose” ; é lei la bella Lea,raffinata cortigiana alle prese con l’avanzare della vecchiaia e con l’amore , imprevisto e inatteso per Cheri , figlio della sua amica e anche lei un tempo cortigiana Madame Peloux .
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Cheri…un nomignolo di dolcezza che si scioglie in bocca come un cioccolatino…un vezzeggiativo adorabile per un personaggio adorabile…o in questo caso insopportabile.Per la sua ultima pellicola , dopo aver scavato nell’animo ferreo della regina d’Inghilterra in “the Queen” , Stephen Frears ci apre un passaggio nella Francia della Belle Epoque per raccontarci una storia , dall’omonimo romanzo di Colette ,la cui vera protagonista è la bellissima e bravissima anche se non più giovanissima michelle Pfeiffer , preferita dal regista sin dai tempi de ” le relazioni pericolose” ; é lei la bella Lea,raffinata cortigiana alle prese con l’avanzare della vecchiaia e con l’amore , imprevisto e inatteso per Cheri , figlio della sua amica e anche lei un tempo cortigiana Madame Peloux . Questa passione , al’inizio puramente “didattica” per lui ed “educativa” per lei si stranformerà in un amore che inevitabilmente porterà entrambi al dolore e alla morte….se non fosse che , ahimè , da tutto ciò non si percepisce la benchè minima emozione o interesse nei confronti di chi guarda : nessuno tranne Michelle Pfeiffer sembra sinceramente impegnarsi per impregnare di anima e carne un epoca e un modus vivendi che rimane sotto una campana di vetro per tutta la durata della proiezione avvolto da una noia invincibile ,la stessa che il personaggio di Cheri sembra lamentare in continuazione , portatrice di un ‘antipatia che non possiamo fare a meno di provare per il nostro caro cioccolatino , il promettente ma nella fattispecie stiracchiatissimo Rupert Friend : quel capello bruno assolutamente tinto e quella boccuccia rossettata ci rendono impossibile amarlo ; il personaggio doveva essere indolente e insopportabile da copione , potremmo dire…ma credo che il visconte di Valmont di Malchovich sia esempio massimo di come un personaggio antipatico possa essere incredibilmente empatico e umano al di là dei suoi limiti ” letterari” . In questo mondo artefatto gli eventi accadono , gli anni passano , i cuori si spezzano ma tutto è percepito staticamente e nessuno dei colpi di scena presenti nella pellicola sa essere travolgente . Non date la colpa al romanzo : non esistono vecchie storie ma solo nuovi lettori o spettatori . Forse la colpa è della stranamente pallida colonna sonora di Alexandre Desplat, che forse era troppo impegnato a scrivere le musiche per new moon . Non lo so…ci rimane comunque la bellezza della grande Michelle , che brilla al massimo del suo incredibile talento nell’ultimo drammatico sguardo di rassegnazione di Lea alla telecamera , tacito omaggio alla mitica inquadratura finale di Glenn Close ne “les Dangerous Liaisons “.
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dario
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martedì 9 marzo 2010
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irrisolto
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Ambientazione favolosa. Storia interessante, ma sviluppata con poca partecipazione. Un compitino svolto con eleganza. Dialoghi scontati e personaggi sopra le righe. Più bravo il ragazzo della Pfeiffer, che pure non sfigura. Di routine il contorno.
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steno
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mercoledì 17 febbraio 2010
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vale la pena
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luca segala
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lunedì 25 gennaio 2010
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cherì, un' amore senza tempo...
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Cheri è un salto nell’epoca più libertina e lussuriosa della Francia di fine 800’. La belle epoque. Dove tutto era sfarzo e il dandismo aveva lasciato la sua impronta. L’ambientazione e la scenografia ricostruite a regola d’arte, sembrano ricordare lo stile minuzioso di Visconti. Lea (Michelle Pfeiffer) e Cheri (Rupert Friend), i due protagonisti, dopo essersi conosciuti ad un incontro tramite la madre di Cheri, si fanno travolgere da una passione fisica irrefrenabile.
Lea, donna incredibilmente seducente, ma dall'età ormai matura, capisce che il suo passato di meretrice le ha garantito un presente ricco di soldi, ma privo di veri sentimenti.
L’esperienza dell’adulta con la spontaneità del fanciullo, tutto questo unisce ma divide la coppia, che è costretta a separarsi per il matrimonio che la madre di cheri, madame Peloux,( Kathy Bates) ha complottato per distruggere il loro amore.
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Cheri è un salto nell’epoca più libertina e lussuriosa della Francia di fine 800’. La belle epoque. Dove tutto era sfarzo e il dandismo aveva lasciato la sua impronta. L’ambientazione e la scenografia ricostruite a regola d’arte, sembrano ricordare lo stile minuzioso di Visconti. Lea (Michelle Pfeiffer) e Cheri (Rupert Friend), i due protagonisti, dopo essersi conosciuti ad un incontro tramite la madre di Cheri, si fanno travolgere da una passione fisica irrefrenabile.
Lea, donna incredibilmente seducente, ma dall'età ormai matura, capisce che il suo passato di meretrice le ha garantito un presente ricco di soldi, ma privo di veri sentimenti.
L’esperienza dell’adulta con la spontaneità del fanciullo, tutto questo unisce ma divide la coppia, che è costretta a separarsi per il matrimonio che la madre di cheri, madame Peloux,( Kathy Bates) ha complottato per distruggere il loro amore. Cheri dimostra la sua poca personalità sposandosi con una giovane ragazzina inesperta che non ama affatto, anzi usa per mettere alla prova l’amore che ancora nutre per Lea.
I sentimenti sono di nuovo vivi tra i due e la lontananza come al solito alimenta l’amore e la voglia di rivedersi. Ma non sarà più come prima.
I due si incontrano per l’ultima volta dicendosi ciò che pensano l’uno dell’altro senza che la passione fisica riprenda il sopravvento.
La guerra è alle porte e Cheri chiamato alle armi si suicida con la pistola di servizio.
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ultimoboyscout
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martedì 22 dicembre 2009
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l'elogio del meretricio.
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Quant'è brava Michelle Pfeiffer, in versione scheletrica per l'occasione. Ho molto apprezzato i costumi e le ambientazioni dell'epoca. Pur non avendo grande ritmo il film è gradevole e mai noioso specie nella prima parte.
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gabriella
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mercoledì 2 dicembre 2009
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x la redazione
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la mia recensione è un groviglio inarticolato di cui non si capisce niente? E non è la prima volta. Ho controllato dopo averla scritta, e non è così che l'ho scritta
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