Manolete

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Un film di Menno Meyjes. Con Adrien Brody, Penélope Cruz, Santiago Segura, Juan Echanove, Josep Linuesa.
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Storico, durata 92 min. - Spagna, Gran Bretagna, USA, Francia 2007. - Eagle Pictures uscita venerdì 14 maggio 2010. MYMONETRO Manolete * * - - - valutazione media: 2,09 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Come visse e morì l’ultimo eroe della Spagna vera e passionale

di Marco Cicala Il Venerdì di Repubblica

Quel pomeriggio a Linares c'erano quaranta gradi e Manolete fumava in silenzio a bordo arena. In attesa del suo turno, studia l'esibizione di un torero giovane, charmeur e passabilmente franchista che da qualche tempo gli va rubando la scena: Luis Miguel Dominguin. Lo vede avvolgersi in eleganti passaggi con la cappa. Poi piantare mirabilmente tre paia di banderillas. Quindi toreare in ginocchio con la muleta, il panno rosso. Dalle gradinate piovono ovazioni, cappelli, fiori. Dalla giuria Luis Mìguel ottiene a ricompensa un orecchia del toro ucciso. Ma, contro ogni regola, i suoi, assistenti arrotondano il premio mozzando all'animale anche l'altro orecchio e la coda. Dominguin li ostenta sfacciatamente in trionfo: Qualcuno protesta. Manolete fuma. Solo i più stretti collaboratori indovinano nervosismo nella sua lunga faccia inalterabile, in quell'eterna maschera dolente. All'origine delle sue preoccupazioni non c'è solo quel giovane e arrembante rivale: ci sono i veleni dell'ambiente taurino, di chi - nella Spagna bacchettona del dopoguerra - gli rimprovera le mondanità, la passione, ritenuta poco virile, per un'attricetta di serie B; di chi gli invidia i cachet principeschi, la Buick blu, le vacanze ad Acapulco. A opprimerlo è, insomma, il macigno del successo.
A trent'anni appena compiuti, Manuel Rodriguez Sanchez, alias Manolete, alias El Monstruo, il mostro, è ancora il numero uno. Ma un fuoriclasse sempre più contestato. Medita di ritirarsi. Alle 18 e 30 di quel 28 agosto 1947, si prepara ad affrontare il suo secondo toro (con il primo ha offerto uno spettacolo incolore beccandosi urla e fischi): Islero è un animale nero di 495 chili. Un Miura: il leggendario allevamento sivigliano che sforna le bestie più possenti, intelligenti e assassine mai viste nelle plazas. Islero non fa eccezione. È un toro rognoso. El Monstruo deve fare i salti mortali per averne ragione. Solo sul finire ci riesce: lo incapsula nel suo ritmo, fatto di movimenti lenti, ieratici. Riconquista il pubblico. Giù applausi. Alle 18 e 42 l'unico fotoreporter presente nell'arena, il giovane Francisco Cano, punta l'obiettivo su Manolete: il matador prende la mira per immergere la spada tra le scapole del toro, si slancia. L'otturatore del fotografo scatta. L'animale ha la lama affondata in corpo fino all'elsa. Il torero ha il corno dell'animale affondato nell'inguine. Alle cinque del mattino dopo Manolete non ha più nemici. Perché è morto. In ospedale. Al termine di un'agonia che - almeno quanto la sua vita - diverrà giacimento di leggende, racconti apocrifi, agiografie, ma anche nuovi veleni. Uno psicodramma nazionale. E un piccolo giallo ancora irrisolto.
Sono passati sessant'anni dalla tragedia di Linares: troppi perché in Spagna, durante le conversazioni, la gente si chieda come un tempo: «E tu dov'eri il giorno che morì Manolete?u. Esautorati da calciatori e popstar, i toreri non occupano più il centro della stampa rosa. Salvo i tori, nelle arene non muore (quasi) più nessuno. Grazie ai nuovi farmaci, ai progressi della chirurgia specializzata, all'efficacia dei microspedali nelle plazas. Ma anche perché - ti spiegano gli addetti ai lavori - la corrida è un'arte que se suaviza, che diventa più soft. Per far piacere a un pubblico sempre meno assetato di sangue. Soprattutto per agevolare i toreri che, visti gli ingaggi sontuosi, preferiscono ammortizzare i rischi. Scegliendo tori più comodi. Magari eleganti e plastici, però meno feroci e ingestibili. Gli allevatori li aiutano. Fabbricando, con incroci studiati, animali geneticamente più prêt-à porter. Gli stessi Miura, oggi, non innescano più brividi. Guardandoli all'opera adesso, il novantenne Manolete farebbe una faccia dieci volte più triste: quella che gli era toccata in natura. El Monstruo era nato a Cordova il 41uglio 1917, in un quartiere popolare dai vicoli contorti come una medina. Di padre torero, a undici anni decise di diventarlo anche lui. Con buona pace della mamma, dona Angustias, che lo voleva prete e magari santo, visto l'ascetico profilo degno di El Greco. Nel '36, allo scoppio della Guerra Civile, Manuel si trova in zona nazionalista e continua a toreare. Nelle regioni repubblicane, del resto, non si fanno quasi più corride. E, vuoi per contiguità ideologica con il tradizionalismo incarnato dal Caudillo, vuoi per necessità di lavorare, sono rari i toreri di parte lealista. È in quegli anni che comincia a ipnotizzare le folle col suo stile solenne, millimetrico, d'una flemma ultraterrena. Diventa una star. È un'icona del franchismo. Chissà se suo malgrado. Già, perché, sulle simpatie politiche di Manolete si continua a litigare. Lasciamo stare la leggenda nera secondo cui, ubriaco, si sarebbe divertito a «matare» prigionieri comunisti nelle arene. Chi non lo ama ricorda di quando si inchinava davanti al Generalissimo in tribuna, tra moltitudini di aficionados col braccio teso. Altri, al contrario, rievocano i malumori che suscitò nel regime per essersi intrattenuto con famosi esuli repubblicani, nelle tournée messicane. Un vero affronto al machismo di Stato è, invece, la foto che, sempre in Messico, lo ritrae in spiaggia genuflesso, mentre bacia il piede di Lupe Sino. La starlette per la quale era pronto a mollare il toreo. La malafemmena che, secondo i detrattori, l'avrebbe rammollito come matador. Iniziandolo, tra l'altro, agli sballi dell'alcol e della cocaina.
A sessant'anni dalla morte, nemmeno l'arte di Manolete sfugge al revisionismo. C'è chi sostiene che, Miura a parte, avrebbe costruito il proprio successo combattendo tori tagliati su misura per lui, forse drogati e con le corna limate. Per i critici meno corrosivi fu per la corrida un po' l'equivalente di Borg per il tennis: un campionissimo, ma dalla micidiale monotonia. Dicono perfino che ad ucciderlo non sarebbe stata la cornata ma una trasfusione killer: plasma infetto venuto dalla Norvegia. Povero Manolete.
Chissà se riuscirà a risollevarne il mito il film omonimo (appena uscito negli Usa, da noi in autunno) con protagonisti il somigliantissimo Adrien Brody, nel ruolo del torero, e Penelope Cruz, in quello di Lupe. Forse è meglio lasciarlo intoccato, il mistero del Monstruo. Le locandine della corrida di Linares le trovi ancora appese nelle più oscure cervecerias di Spagna. Tipo i ritratti di Marilyn o John Lennon.
E i vecchi aficionados sanno ancora recitarti a memoria le ultime parole del torero agonizzante: «Don Luis» disse al medico, «non mi sento una gamba». E poi: «Don Luis, non mi sento nemmeno l'altra». E infine: «Don Luis, non la vedo più. Non vedo più niente». All'annuncio della morte, l'eccellentissimo senor Eduardo Miura, padrone dell'allevamento da cui era uscito, Islero, il toro assassino, si levò di buon'ora. Trovò Islera, la madre, e la stese a fucilate. Che è un po' come se, alla morte di James Dean sulla spider, i fan avessero abbattuto a revolverate il signor Porsche.
Da Il Venerdì di Repubblica, 10 Agosto 2007

di Marco Cicala, 10 Agosto 2007

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