fabrizio byron rampotti
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venerdì 16 gennaio 2009
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la rabbia non (con)vince
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Un giovane cineasta cerca disperatamente i soldi per il suo film ma nessun produttore sembra intenzionato a finanziarlo. "Carmina non dant panem" suggeriscono al regista in erba, dopo aver visionato il copione, interessante ma senza tette e culi, con troppa cultura e poco mordente "questi film non si vendono in questo paese". La feroce delusione trasforma lo stato d’animo del regista spingendolo a casa del suo Mentore (Franco Nero), ma le sue rivelazioni non sono confortanti. Ormai alcolista e fallito, lamenta la crisi del cinema contemporaneo e la fine della ricerca artistica. Ma il giovane non si arrende e lentamente prende corpo l'idea di rapinare una banca per rimediare i suoi fondi. Film parzialmente autobiografico che lamenta un disagio nei confronti del cinema italiano.
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Un giovane cineasta cerca disperatamente i soldi per il suo film ma nessun produttore sembra intenzionato a finanziarlo. "Carmina non dant panem" suggeriscono al regista in erba, dopo aver visionato il copione, interessante ma senza tette e culi, con troppa cultura e poco mordente "questi film non si vendono in questo paese". La feroce delusione trasforma lo stato d’animo del regista spingendolo a casa del suo Mentore (Franco Nero), ma le sue rivelazioni non sono confortanti. Ormai alcolista e fallito, lamenta la crisi del cinema contemporaneo e la fine della ricerca artistica. Ma il giovane non si arrende e lentamente prende corpo l'idea di rapinare una banca per rimediare i suoi fondi. Film parzialmente autobiografico che lamenta un disagio nei confronti del cinema italiano. Ambientato in una città senza tempo nè riferimenti, dai contorni fantasmagorici che fa da sfondo al viaggio allegorico di Nico Rogner,la Rabbia ci vorrebbe spingere, scuotere, stimolare la riflessione. Peccato che le cose non funzionino in questo modo. La poesia sopravvive tra le righe, è il non detto in cui sfocia il significato. Dire troppo per far capire il senso in un film che si vorrebbe onirico sembra una grande contraddzione. Molto buona la colonna sonora di Bacalov, interessante la fotografia e le inquadrature (sono tanti i registi citati; da Greenaway a Lynch per l'atmosfera, Antonioni per i tempi dilatati, Fellini per la trama!) ma il problema di Nero sussiste. Lui non trova il giusto ritmo e gli sfugge il registro narrativo. La sua mancanza principale poi resta quella di non sapere come utilizzare gli attori, che divengono automi, macchiette oniriche, patetiche anche per un gruppo di avanguardia teatrale degli anni 60. Capisco e condivido la rabbia del regista nei confronti della situazione cinematografica nostrana, ma non apprezzo il suo elevarsi a giudice. Il suo pontificare dal monte. Il continuo uso del voi (noi chi?), la sua presunzione. Detto questo La Rabbia è certo il miglior film del regista, quello con più coerenza e stile, un contenitore di grandi attori che forse lascia l'amaro in bocca proprio per l'operazione non del tutto riuscita.
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fabrizio
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lunedì 3 marzo 2008
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ma la rabbia dov'è?
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Nero ha senza dubbio qualità rare nel cinema italiano: osa nelle inquadrature, utilizza movimenti di macchina coraggiosi e onirici, utilizza bene la fotografia. Ispirandosi al Linch di "Empire Island" e di "Strade perdute" il regista riesce anche a costruire un'interessante disquisizione estetica sul cinema, sul ruolo di sceneggiatura, recitazione e regia, ma il problema è un altro.
Più che di "Rabbia" trattasi di un misto di rancore e depressione, reso strano dal fatto che il film che nessun produttore vuole finanziare e di cui si parla sfruttando un logoro metacinema tanto caro alla critica, esiste (e lo dobbiamo subire con una presunzione sconcertante), ed è stato prodotto nonché ben distrbuito.
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Nero ha senza dubbio qualità rare nel cinema italiano: osa nelle inquadrature, utilizza movimenti di macchina coraggiosi e onirici, utilizza bene la fotografia. Ispirandosi al Linch di "Empire Island" e di "Strade perdute" il regista riesce anche a costruire un'interessante disquisizione estetica sul cinema, sul ruolo di sceneggiatura, recitazione e regia, ma il problema è un altro.
Più che di "Rabbia" trattasi di un misto di rancore e depressione, reso strano dal fatto che il film che nessun produttore vuole finanziare e di cui si parla sfruttando un logoro metacinema tanto caro alla critica, esiste (e lo dobbiamo subire con una presunzione sconcertante), ed è stato prodotto nonché ben distrbuito.
Non bastano gli accattivanti piani-sequenza iniziali e le interessanti trovate tipiche della videoarte (il quadro in movimento di Rembrant) o le spiazzanti situazioni grottesche di cui il fim è disseminato per limitare il fastidio moralistico che si prova nell'apprendere che solo questa è "arte pura", che "solo 4 su 100 possono coglierla" e che non esiste alternativa tra arte essenziale e commerciale. Le ottime interpretazioni in luoghi cameo di attori veri, del calibro di Franco Nero (nessuna parentela con il regista) e Arnoldo Foà non fanno altro che scavare un solco tra quello che “La rabbia” poteva essere e quello per cui si rivela in realtà: uno sfacciato esercizio di autocompiacimento formale e intellettuale.
Un vero peccato, perché Louis Nero di doti artistiche ne avrebbe, e tante, se solo si spogliasse di quel pesante carico di vittimismo autolesionista.
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