Hostel

Orripilante, perturbante, sanguinolento. Gli aggettivi si sprecano perchè qui i morti ammazzati sono souvenirs per qualche psicopatico col gusto del macabro. Stiamo parlando del regista Eli Roth, uno che alla vista del sangue non sembra provare alcuna impressione, nemmeno quando dinanzi la telecamera sfilano decina di corpi smembrati, fatti a pezzi da motoseghe, mannaie e altri strumenti affilati. E poi la chiamano bassa macelleria. “Hostel” riprende il filone degli studenti in gita che si mettono nei guai magari per aver incontrato la persona sbagliata nel posto sbagliato. Da “Venerdì 13” a “Scream” sino a tutti quei filmetti adolescenziali dove il gruppetto si ritrova decimato dal pazzo di turno, la cinematografia è stracolma di vicende come queste eppure Eli Roth, al suo curriculum un horror splatter dal titolo “Cabin fever”, ha voluto nuovamente raccontare la storia di alcuni ragazzi in viaggio –questa volta per l’Europa- che si ficcano nei guai per rimorchiare a più non posso tra Olanda e Slovacchia. Dopo un avvio colorato –le discoteche, le vetrine di Amsterdam, le notti brave-, “Hostel” cambia decisamente rotta quando i protagonisti mettono piede oltre frontiera per cercare sesso sfrenato: colori grigi, atmosfere inquietanti e intorno la povertà di un popolo che cerca un riscatto con il turismo sessuale. Allora due giovani entraineuses dell’Est si fingono disponibili solo per procurare carne da macello ad un gruppo di pervertiti che organizza tour per palati forti; iniziano così i missing, ragazzi che spariscono misteriosamente uno ad uno, torturati ed uccisi per il piacere di qualche riccone disposto a spendere fior di quattrini. Il sangue scorre a fiotti nella fabbrica adibita a museo degli orrori dove crimini inimmaginabili vengono compiuti con la connivenza della polizia: teste mozzate, corpi trapanati, membra bruciate nei forni, occhi cavati, Eli Roth non ci risparmia davvero nulla e non è un caso se tra i produttori ci sia anche Quentin Tarantino. Attori quasi tutti dell’Est, ad eccezione dei due giovani protagonisti –Jay Hernandez e Derek Richardson- che restano coinvolti nella brutta avventura, regia asciutta per un film che lascia atterriti non tanto per la crudezza delle scene ma per la consapevolezza di assistere a qualcosa di reale; si torna a parlare di “snuff movie” e di tutte quelle uccisioni in diretta che proliferano in molti paesi poveri la cui unica risorsa è il commercio di persone. Roth punta il dito contro il capitalismo coinvolgendo malavita ed istituzioni, perché la realtà supera persino la più perversa fantasia: nel suo horror trionfa la crudeltà fine a se stessa, l’emozione di uccidere qualcuno per puro piacere, mentre la banalità del male diventa essa stessa protagonista. I cinema si sono adeguati tanto che all’entrata hanno pensato di distribuire i sacchetti per il vomito. Se qualche spettatore dovesse sentirsi male… Antonello Villani (Salerno)