stefano capasso
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martedì 30 giugno 2020
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il circo umano
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Su una vecchia petroliera abbandonata nel Golfo Persico, vive da anni una comunità di uomini, donne e bambini iraniani; umanità emarginata con poche prospettive che trova nella nave una via d’uscita alla povertà. La comunità è gestita dal capitano Nemat che si rivela essere uno sfruttatore delle risorse della comunità. Quando comincia a vendere pezzi di nave che diventa quindi pericolosa, la comunità è costretta a tornare sulla terra.
Un film davvero originale quello di Mohammad Rasoulof, che sceglie un linguaggio diretto con una sottile vena ironica di fondo. È un lavoro che mette in risalto alcuni aspetti della cultura iraniana ma soprattutto restituisce una rappresentazione del grande circo umano; personaggi di varia natura, relazioni umane sempre al limite e su tutto l’eterna lotta degli ultimi in perenne cerca di “partecipazione”.
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Su una vecchia petroliera abbandonata nel Golfo Persico, vive da anni una comunità di uomini, donne e bambini iraniani; umanità emarginata con poche prospettive che trova nella nave una via d’uscita alla povertà. La comunità è gestita dal capitano Nemat che si rivela essere uno sfruttatore delle risorse della comunità. Quando comincia a vendere pezzi di nave che diventa quindi pericolosa, la comunità è costretta a tornare sulla terra.
Un film davvero originale quello di Mohammad Rasoulof, che sceglie un linguaggio diretto con una sottile vena ironica di fondo. È un lavoro che mette in risalto alcuni aspetti della cultura iraniana ma soprattutto restituisce una rappresentazione del grande circo umano; personaggi di varia natura, relazioni umane sempre al limite e su tutto l’eterna lotta degli ultimi in perenne cerca di “partecipazione”. C’è anche una intensa storia d’amore che si rivela essere il vero leit motiv della narrazione. In sostanza anche in una situazione di cattività come quella descritta le vicende umane si replicano allo stesso modo di sempre, e c’è sempre qualcuno che è più capace di altri, di trarre profitto dalla comunità.
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maurizio crispi
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martedì 26 settembre 2006
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un film dalle molte suggestioni
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Ho apprezzato molto il film di Rasoulof, malgrado la lentezza di alcune sequenze, del resto inevitabile proprio perchè necessaria a supportare un ordito narrativo fatto d'una sostanziale immobilità e mancanza di prospettive, in cui si incastonano mille eventi quotidiani, i sentimenti, le emozioni e in alcuni casi le passioni dei diversi personaggi. Il lungometraggio iraniano m'ispira a fare diversi commenti che, discostandosi dallo specifico filmico, entrano in un ambito più vasto.
Innanzitutto, ci sono delle suggestioni, per così dire, "letterarie". M'è venuta in mente prepotente la prima delle illustrazioni d'un romanzo "minore" di Verne, "La città galleggiante", ambientato su d'un grande transatlantico della marineria di fine ottocento e descritto dall'autore, apppunto, come una vera e propria "città galleggiante" che, nella sua traversata, trasporta un'intera comunità di uomini e donne, al cui interno si consumano relazioni d'intrigo e di passioni violente.
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Ho apprezzato molto il film di Rasoulof, malgrado la lentezza di alcune sequenze, del resto inevitabile proprio perchè necessaria a supportare un ordito narrativo fatto d'una sostanziale immobilità e mancanza di prospettive, in cui si incastonano mille eventi quotidiani, i sentimenti, le emozioni e in alcuni casi le passioni dei diversi personaggi. Il lungometraggio iraniano m'ispira a fare diversi commenti che, discostandosi dallo specifico filmico, entrano in un ambito più vasto.
Innanzitutto, ci sono delle suggestioni, per così dire, "letterarie". M'è venuta in mente prepotente la prima delle illustrazioni d'un romanzo "minore" di Verne, "La città galleggiante", ambientato su d'un grande transatlantico della marineria di fine ottocento e descritto dall'autore, apppunto, come una vera e propria "città galleggiante" che, nella sua traversata, trasporta un'intera comunità di uomini e donne, al cui interno si consumano relazioni d'intrigo e di passioni violente. La prima illustrazione (in bianco e nero) dà del grande steamer una veduta analoga a quella di avvio della pellicola: ma è forte il contrasto con il mondo dorato e scintillante dei viaggiatori di fine Ottocento che, nel bene e nel male, andavano verso l'avventura e la speranza nel Mondo Nuovo e la vita spezzata, bloccata, apparentemente senza sviluppo degli abitanti della nave che s'affidano totalmente alla guida del Capitano Nemat (padre/padrone, come è stato detto; capo assoluto e manipolatore, ma anche sinceramente dedito al manipolo di uomini e donne che dipendono da lui). Un'altra suggestione viene dall'inchiesta giornalistica di William Langewiesche ("Terrore dal mare"): in questo volume, un ampio capitolo (l'ultimo) è dedicato all'"inferno" della spiaggia di Alang in India dove navi in disarmo provenienti da tutto il mondo vengono fatte arenare per essere poi smantellate da folle di operai che vivono in miseri villaggi nei pressi di questa immensa officina di rottamazione dove s'opera in condizioni di rischio e esposizione continua ad agenti tossici. Quello dello smantellamento della nave è uno dei temi che viene, appunto, portato avanti nel corso del film, anche se non ne è quello principale: il riferimento a questa realtà misconosciuta gli conferisce pregnanza. Infine, v'è lo studio d'una comunità chiusa che si è isolata radicalmente dal mondo esterno, affidandosi integralmente ad un leader carismatico nella speranza di trovare un mondo migliore. Anche questo è un tema pregnante ed attuale, che riguarda trasversamente sia l'Occidente con le sue sette e le sue comunità chiuse ed intransigenti, sia il mondo islamico sia l'Estremo Oriente, sia pure con risvolti ed implicazioni diversi. Qui, v'è la rappresentazione perfettamente rispondente agli studi sociologici e psicologici portati avanti su comunità diverse (sia quelle dell'utopia, sia quelle cosiddette terapeutiche, sia infine religiose) di quella particolare tipologia di leader carismatico che è il "leader placentare" (di cui una delle più paradigmatiche e nefaste figure è stato il reverendo Jones a capo della setta della Guiana). Il leader placentare, proprio come Nemat, utilizza il suo carisma per ottenere una totale delega ad occuparsi della vita dei suoi adepti: in più, si pone, lui/lei, come esclusivo tramite con il mondo esterno: da un lato, per filtrare le notizie, eliminando il più possibile quelle "tossiche" e destabilizzanti; dall'altro, porta benessere alla sua comunità (cibo, risorse, speranza)
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