La rivincita di Natale

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Un film di Pupi Avati. Con Diego Abatantuono, Carlo Delle Piane, Alessandro Haber, Gianni Cavina, George Eastman (II) Drammatico, durata 99 min. - Italia 2004. MYMONETRO La rivincita di Natale * * * 1/2 - valutazione media: 3,69 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La vendetta è un piatto che si serve freddo Valutazione 3 stelle su cinque

di andyflash77


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domenica 29 luglio 2012

A quindici anni di distanza dalla partita a carte della vigilia di Natale in cui perse 550 milioni di lire, Franco Mattioli torna a Bologna perché ha saputo che il suo amico Lele - di professione critico cinematografico, presente alla fatidica partita (era riuscito a vincere 500 mila lire) - ha un male incurabile. In tutti questi anni Franco ha pensato continuamente alla partita e adesso sa che è arrivato il momento della rivincita. Per questo decide di convincere le persone presenti nel 1986 (oltre a Lele, Ugo Cavara, Stefano Bertoni e Antonio Santelia) a giocare nuovamente.  
Un'altra notte di Natale da profanare, come diciassette anni prima quando alle 5 e 30 del mattino si chiuse una partita a poker che costrinse Franco a lasciare assegni postdatati per oltre cinquecento milioni di vecchie lire. La rovina o la rinascita? È la notte della rivincita, del riscatto, di un passato da chiudere e dal quale allontanarsi e soprattutto - come avverte la citazione di Cioran all'inizio del film - della vendetta, dell'animo, in ogni caso, avvelenato. A fare da mazziere è Pupi Avati che ritrova i suoi personaggi e i suoi bravissimi attori (Diego Abatantuono, Gianni Cavina, Alessandro Haber, George Eastman e Carlo Delle Piane), trasformati naturalmente dal tempo, affinati nella tecnica e diretti benissimo, per chiudere la partita di una vita. Per rispondere a quella domanda impellente che balugina alla fine di ogni bella storia: ora che cosa accadrà ai protagonisti? Che cosa faranno? Dove andranno? Chi incontreranno? Cambieranno? Il cinema ha escogitato l'espediente dei sequel per vendere risposte e gadget. Avati pensa, invece, a una tradizione letteraria classica, sa come auscultare il cuore dei protagonisti e sa immaginarne le mosse, i segnali di intesa, le ferite, le frustrazioni, la voglia di rivalsa, l'intenzione di pareggiare i conti con il destino cinico e baro. L'azzardo di una puntata al buio, il rischio di un rilancio, il bluff e l'inganno sono "incidenti" ed espedienti abbastanza normali nell'esistenza condensata dei personaggi cinematografici e si verificano anche in quella più distesa degli spettatori. Questa connessione dona al poker un fascino metaforico che Avati, da ottimo regista, sa descrivere e proporre con un tocco preciso, incisivo, serrato. Il suo intreccio, in cui i flashback sono presi da Regalo di Natale, ha molte analogie con una partita ricca di sorprese, di dettagli (i riferimenti al cinema vanno aldilà delle multisale possedute da Franco o dell'impiego in Cineteca di Lele), di sfumature e di ribaltamenti. Una mano di gioco si può passare. Il tempo, con un'ombra di pessimismo, ci passa dentro e si accaparra tutte le poste. “È lecito non vendicarsi?
 Non vendicarsi avvelena l’animo almeno quanto vendicarsi, se non di più” sostiene Emil Cioran in apertura. Più che una rivincita, al centro del sequel del cult movie del 1986 c’è la vendetta. Se è vero che si serve fredda, diciott’anni è un buon lasso di tempo per prepararla. A cucinarla ci pensa sempre il demiurgo Pupi nella fase più fertile della sua carriera, riproponendo quei cinque giocatori con qualche anno in più sulle spalle ed esperienze diverse. Franco, che si è ripreso dalla batosta e continua la sua attività gestendo sale cinematografiche, viene a sapere che a Bologna quella partita raccontata nel Regalo è diventata una leggenda nella città delle due torri e che Lele, decaduto a dipendente comunale alla cineteca, è gravemente malato. Franco allora ricontatta Stefano – rimasto sostanzialmente uguale – e Ugo – finito a servire in un ristorantino etnico – e ripesca l’avvocato Santelia, sempre più viscido. Ed ecco quindi il secondo round del gioco al massacro: chi la spunterà? E non si sottovaluti il fatto che spesso la vecchiaia inacidisce, rende più cinici, e se si coniuga con la disperazione sono, senza usare tante perifrasi perché il film è duro ed aspro, cazzi amari. Un film, ancor di più rispetto al prequel, sullo squallore e sulla solitudine, non lasciando per strada nemmeno una speranza, finendo col realizzare una delle opere più pessimiste e senza scrupoli dell’ultimo cinema nostrano.
 

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