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Gli anni '80 di Pablo Escobar Valutazione 4 stelle su cinque

di andyflash77


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sabato 1 settembre 2012

Intervistando un corriere dei narcos, un distributore di cocaina e un killer dei colombiani (l'unico dei tre che si trova ancora in galera), e con l'aiuto di foto e filmati di repertorio (alcuni dei quali piuttosto terrificanti), il regista Billy Corben, in questo documentario, fa una cronistoria degli anni '70 e '80 di Miami mettendo a fuoco un decennio (quello che va dal 1975 al 1985) che ha visto una città, popolata prevalentemente da anziani desiderosi di morire al sole, diventare il principale punto di partenza di tutta la cocaina destinata all'intero Occidente ricco, per poi essere invasa e completamente piegata ai voleri di criminali di inaudita ferocia.
Un periodo in cui i rivenditori autorizzati Rolex di Miami non riuscivano a stare dietro alle richieste al punto di dover tenere le vetrine sguarnite di orologi, in cui qualcuno poteva permettersi di acquistare un aereo privato con soldi cash mentre una coppia - durante un banale litigio - poteva distruggere a colpi di pistola due Mercedes del proprio garage per poi riderne la mattina dopo, proprio come se fossero andati in frantumi due semplici piatti; anni in cui alcune persone furono costrette a seppellire le banconote in giardino in seguito all'esaurimento dello spazio tra le mura domestiche, in cui un semplice distributore poteva permettersi una scuderia con una quarantina di cavalli e in cui un corriere aereo veniva pagato - al suo primo incarico - 1.200.000 dollari. Per un viaggio. Un milione e duecentomila dollari. Degli anni '70.
Se questo era il giro d'affari di comuni distributori e trasportatori, si può facilmente intuire come la ricchezza dei produttori - come Pablo Escobar, e in generale degli uomini del cartello di Medellin - fosse a livelli inimmaginabili, ed è altrettanto facile capire come un tale fiume di denaro attirò i peggiori criminali del continente, dando il via, in breve tempo, ad una guerra spaventosa che culminò - nel 1981 - in una media di quasi due morti ammazzati al giorno nell'arco di un intero anno. Il rovescio della medaglia iniziò con un massacro nel negozio di un centro commerciale, in cui i killer spararono a chiunque si trovasse nella traiettoria che separava i loro mitra dai bersagli dell'assalto, e andò avanti grazie soprattutto alla follia sanguinaria della colombiana Griselda Blanco, la "Godmother of Cocaine", che ordinò stermini a non finire ed un numero spropositato di omicidi cruentissimi (parliamo di gente fatta a pezzi con la motosega ed impacchettata in un box di cartone), spesso compiuti per pura sete di violenza, al di là di ogni logica da commercio criminale (debitori fatti fuori da killer pagati con somme più alte del debito accumulato dalle vittime).
La Blanco fu la responsabile dell'uccisione scriteriata di un tale numero di persone che, ad un certo punto, riuscì a far girare i coglioni persino ai capoccia colombiani spedendo al creatore il parente di un intoccabile, azione indiscriminata che le costò una taglia da 4 milioni di dollari sulla testa.
A metà degli anni '80 la situazione andò completamente fuori controllo: un articolo di Time Magazine definì Miami come "the most dangerous place on earth", e l'allora presidente Reagan decise di intervenire con un'occupazione militare, seguendo la procedura destinata alle zone di guerra (un fatto senza precedenti) e riempiendo la città di poliziotti e agenti della CIA e dell'FBI.
Il documentario di Billy Corben si regge principalmente sulla forza dei fatti riportati, ma al regista va riconosciuto il merito di essersi fatto da parte escludendo qualsiasi tipo di commento (verbale e non) e lasciando che a parlare fossero, appunto, i fatti e i volti degli intervistati: alle espressioni quasi nostalgiche assunte da Munday e Roberts (rispettivamente corriere e distributore, che spesso - nel raccontare le oscene somme di denaro accumulate in quegli anni - sembrano non credere alle loro stesse parole), si affiancano quelle di Jorge Ayala, killer di fiducia di Griselda Blanco, che mostra al massimo un vago dispiacere anche nel raccontare di una sua missione finita con l'assassinio accidentale di un bambino di tre anni.
Roba che neanche Tony Montana...

Non convince del tutto il ritmo che il montaggio ha dato al film: cifre, aneddoti e dati vengono snocciolati con una tale velocità che mentre ci si sbalordisce per l'efferatezza di un omicidio si rischia di non assimilare l'enormità delle statistiche criminali dell'epoca, un fuoco di fila di informazioni stupefacenti che rischia di saturare lo spettatore facendogli perdere la reale dimensione del fenomeno.
L'elemento peggiore della pellicola, però, è un commento musicale volgarotto che scimmiotta inutilmente e fastidiosamente le musiche originali del telefilm 'Miami Vice' (dello stesso autore) e il Giorgio Moroder di 'Scarface', un richiamo ad una dimensione "glamour" della criminalità locale di cui non si sentiva affatto il bisogno e che stona mortalmente col serio, coinvolgente ed appassionante approfondimento offerto dal film.


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