sandro55555555555
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mercoledì 22 ottobre 2008
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il film più demagogico della storia del cinema!
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"La classe operaia va in paradiso" di Elio Petri e Ugo Pirro è il film più demagogico della storia del cinema italiano. "Demagogico" è proprio il termine più adatto. Un chiaro esempio di demagogia al cinema.
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anonimo
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domenica 19 ottobre 2008
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la classe operaia non va in paradiso
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Il film è una denuncia democraticistica e all'acqua di rosa con un grave fondo qualunquistico e demagogico, mescolato con un'odiosa metafisica e con della psicoanalisi da drogheria molto dilettantesca. Ovviamente il film fece incazzare gli operai più coscenti. Da dimenticare con cura, uno dei moltissimi film di destra spacciato per film di sinistra.
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rivoluzionario
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venerdì 19 settembre 2008
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"la classe operaia va in paradiso" di elio petri
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"La classe operaia va in paradiso" è un film pericolosamente reazionario, contro l'operaismo e il Movimento. Non c'è vero odio nei confronti del lavoro, non c'è spinta alla rivolta e al cambiamento (ma tutto l'orrendo cinema d Elio Petri è un elogio dell'accettazione-integrazione del Sistema). Aveva ragione il grande Jean-Marie Straub (cito a memoria): "Questo film infame merita il rogo".
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gigigi
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domenica 7 settembre 2008
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il più famoso film di elio petri
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Io sono di sinistra e quindi il film non mi è piaciuto affatto, ma non è questo il più importante. La cosa grave è Volontè: è il peggior attore italiano, incapace di recitare, incomprensibilmente osannato da tutti, recita da cani, qui e in tutti i film che ha fatto. Non sapeva recitare, è stato l'attore più mediocre d'Italia.
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anonimo marxista
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giovedì 4 settembre 2008
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"la classe operaia va in paradiso" di elio petri
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"La classe operaia va in paradiso" di Elio Petri è uno dei moltissimi film che avrebbero meritato la censura totale e il rogo. È uno dei film italiani più spaventosamente reazionario che sia mai stato fatto; è un film totalmente contro la classe operaia; è il manifesto della destra al cinema; osa mescolare sentimenti, metafisica e psicoanalisi da drogheria con le lotte della Grande Rivoluzione Operaia Proletaria; è una delle peggiori interpretazioni di Volontè (che è uno degli attori italiani più mediocri, incapace di recitare); vanta una sceneggiatura orribile, idiota e gravemente demagogica; per fortuna che Elio Petri e il suo orrendo cinema sono stati ampiamenti dimenticati.
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mik
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venerdì 6 giugno 2008
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la solitudine dell'operaio
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Difficile per chi come me è nato dopo le lotte operaie degli anni '60-'70 dare un giudizio su questo film...è difficile però togliersi dalla testa il ritratto impietoso che Elio Petri dipinge della condizione operaia...il frastuono, l'alienazione e la battaglia quotidiana dell'uomo con la macchina finalizzato al ciclo guadagno/consumo, a rischio di infortuni (disgraziatamente attuale) e nelle mani di un padronanto cinico e arrogante, fanno dell'operaio una "macchina" che non riesce più a provare gioia nemmeno nel sesso. Non va meglio se prende "coscienza" di se..stretto tra un sindacato opportunista e arrendevole e la "nuova sinistra" studentesca che parla di rivoluzione ma è di estrazione borghese, finisce per perdere il posto di lavoro e venire emarginato socialmente e dalla propria famiglia.
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Difficile per chi come me è nato dopo le lotte operaie degli anni '60-'70 dare un giudizio su questo film...è difficile però togliersi dalla testa il ritratto impietoso che Elio Petri dipinge della condizione operaia...il frastuono, l'alienazione e la battaglia quotidiana dell'uomo con la macchina finalizzato al ciclo guadagno/consumo, a rischio di infortuni (disgraziatamente attuale) e nelle mani di un padronanto cinico e arrogante, fanno dell'operaio una "macchina" che non riesce più a provare gioia nemmeno nel sesso. Non va meglio se prende "coscienza" di se..stretto tra un sindacato opportunista e arrendevole e la "nuova sinistra" studentesca che parla di rivoluzione ma è di estrazione borghese, finisce per perdere il posto di lavoro e venire emarginato socialmente e dalla propria famiglia. Alla fine, il reintegro del posto è l'ennesima prova che "tutto cambia per non cambiare mai nulla". Un film a mio parere modernissimo, per nulla ideologico (il "mito" della lotta di classe è fatto a pezzi tramite la raffigurazione di una sinistra divisa e interessata solo a se stessa)volutamente rumoroso, interpretato magistralmente da un grandissimo (a dir poco!) Gian Maria Volontè, girato con estrema bravura da Petri, con grandiose musiche di Ennio Morricone.
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anonimo
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domenica 18 maggio 2008
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gian maria volontè è lulù massa
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"La classe operaia va in paradiso" è il solito film DI DESTRA degli anni '70. Dove sei, Fofi! Fofi! FOOOOOOOOOOOOFIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!
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faber
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venerdì 14 marzo 2008
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scusate la prolissità,ma certe cose si chiariscono
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Io non voglio esaltare sproporzionatamente il film, che è un Capolavoro e se gli avessi assegnato meno di quattro stelle mi sarei sentito con la coscienza putrida, ma c'è un però. Innanzitutto, è vero che il film non sembra convincere poi tanto, giacchè tutta quela confusione, quest'atmosfera così insopportabilmente e fastidiosamente caotica, questo continuo rumore assordante che provoca una reppellenza angustiante già dai titoli di testa sembra essere stata creata volutamente, e forse anche troppo, tanto che non si capisce bene dovè che finisca l'intento artistico e dove cominci, dicamo così, la "pecca", ossia l'incompetenza, l'errore, lo si chiami come meglio aggrada. Ma non si può trascurare una cosa, che è l'elemento centrale del film, del suo periodo, del regista, molto probabilmente del protagonista: raccontare l'esperienza atroce ed asfissiante della condizione operaia (peraltro in un'annata come il '71 che si commenta da sola).
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Io non voglio esaltare sproporzionatamente il film, che è un Capolavoro e se gli avessi assegnato meno di quattro stelle mi sarei sentito con la coscienza putrida, ma c'è un però. Innanzitutto, è vero che il film non sembra convincere poi tanto, giacchè tutta quela confusione, quest'atmosfera così insopportabilmente e fastidiosamente caotica, questo continuo rumore assordante che provoca una reppellenza angustiante già dai titoli di testa sembra essere stata creata volutamente, e forse anche troppo, tanto che non si capisce bene dovè che finisca l'intento artistico e dove cominci, dicamo così, la "pecca", ossia l'incompetenza, l'errore, lo si chiami come meglio aggrada. Ma non si può trascurare una cosa, che è l'elemento centrale del film, del suo periodo, del regista, molto probabilmente del protagonista: raccontare l'esperienza atroce ed asfissiante della condizione operaia (peraltro in un'annata come il '71 che si commenta da sola). Questo film, diciamocelo, non ha un bel niente di artistico! e non può averlo, perchè si contradirebbe da solo! Ma come? Il film non fa altro che "Smerdare" tutti quegli studentellini che hanno come unico obiettivo rivoluzionario e morale quello della dedizione artistica, filosofica, contemplativa,insomma tutto quanto possa esserci di più inutile socialmente parlando, e poi lo staesso film che muove una denuncia simile dovrebbe ridursi ai soliti fronzoli intellettuali e alla solita e nauseante logorrea retorica sui "compagni operai", che, oggi siamo pronti a riconoscerlo, avevano ben altri problemi e ben altre possibilità di eventuali soluzioni, rispetto a quelle che proponevano gli "intellettuali"? Per concludere: mille particolari palesano lapalissianamente il vero intento di questo film: dalle musiche di Morricone, alla recitazione schizzofrenica ed ultra-dialettale di Volontè, ai movimenti di macchina, alla disillusione spietata che permea l'intera pellicola! Sostengo vivamente che Petri sia stato non solo sincero in questo film, e non abbia quindi maschareato la carenza artistica del suo prodotto (peraltro, palesamente politico) di una tensione sociale, falsamente perseguita con tanta caparbietà, ma di più, che Petri sia stato onestamente e profondamente ispirato da una ragione serissima, che molti sbandieravano in quegli anni (si pensi a Pasolini): le vere condizioni della classe operaia ed il burrone incolmabile che era (ed è!!!) frapposto fra gli studenti (almeno quelli borghesi, cioè la maggioranza, e qui si può leggere una leggerea presa di distanza dall'estremismo pasoliniano, perchè è, infatti, rappresentato uno studente-operaio. ma siamo nel nord, e Pasolini disperava più che altro per il proletariato meridionale) e i lavoratori. Oggi, sappiamo benissimo che la fusione, l'amalgama tra la volontà studentesca e quella operaia non si è mai verificata, e chi i due movimenti non si sono ami confusi! E questo è una delle mille riflessioni a cui ci sollecita il finale del film, quando il povero Lulù, dopo aver rasentato la pazzia, per la disperazione, viene riassunto in fabbrica, con migliori condizioni di lavoro, e gli studenti ancora fuori dal cancello della fabbrica, come all'inizio del film (a loro non è cambiato nulla, e non potrà mai cambiare nulla!) ancora lo esortano a non entrare, perchè venderebbe la sua vita. A testimonianza della sincerità del film, io ho sempre pensato che solo se sinceramnete ispirati, si può essere profetici. E Petri, in questo film,è più lungimirante di un vate.
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faber
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venerdì 14 marzo 2008
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hai ragione, però...
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Non vorrei passare per uno che ti da torto, per questo, ti invito a leggere la mia recnsione...
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milomar
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domenica 9 marzo 2008
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la testimonianza di un'epoca
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Elio Petri ha fatto uno dei più bei film sul mondo del lavoro. Solo "Tempi Moderni" e "Metropolis" sono più belli. Racconta l'ultima fase del "Taylorismo-Fordismo" (quello della catena di montaggio e del cottimo, per intenderci). Qualche anno dopo nascerà il modello dell'"accumulazione flessibile" che sostituirà il lavoro fisso e malpagato con quello precario e malpagato. E' un film che forma chiunque abbia un minimo di semsibilità sul mondo del lavoro. E' tragico, ironico e grottesco allo stesso tempo. Mette alla berlina i "vecchi" sindacati (CGIL, CISL e UIL in primis) ma anche quelli che nasceranno dopo (Rappresentanze di base, COBAS, ecc.) che tentano con ogni mezzo di omologare e di spersonalizzare i lavoratori.
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Elio Petri ha fatto uno dei più bei film sul mondo del lavoro. Solo "Tempi Moderni" e "Metropolis" sono più belli. Racconta l'ultima fase del "Taylorismo-Fordismo" (quello della catena di montaggio e del cottimo, per intenderci). Qualche anno dopo nascerà il modello dell'"accumulazione flessibile" che sostituirà il lavoro fisso e malpagato con quello precario e malpagato. E' un film che forma chiunque abbia un minimo di semsibilità sul mondo del lavoro. E' tragico, ironico e grottesco allo stesso tempo. Mette alla berlina i "vecchi" sindacati (CGIL, CISL e UIL in primis) ma anche quelli che nasceranno dopo (Rappresentanze di base, COBAS, ecc.) che tentano con ogni mezzo di omologare e di spersonalizzare i lavoratori. Proprio come fa il "padrone". C'è tutta una parte della società italiana degli anni '60-'70 che viene analizzata come, forse, nessuno ha mai fatto. Inutile parlare degli interpreti. Tutti grandissimi. Da vedere assolutamente! milomar
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