federico zecchini
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mercoledì 23 aprile 2008
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un john wayne da oscar (mancato)
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La seconda parte della cosiddetta tiologia della cavalleria fordiana è u film davvero straordinario, recitato benissimo da tutti, con un John Wayne, quarantenne che interpreta con una naturalezza strepitosa il suo personaggio più che sessantenne, capitano di uno sperduto avamposto all'ultima settimana di servizio. Egli si trova a dover far fronte ad un'ultima difficile missione, nella quale si mescolano i rapporti che legano fra loro i membri di quella grande famiglia che è - fordianamente intesa - la cavalleria: dal triangolo amoroso che vede la nipote del comandante contesa fra i due tenenti - gli stessi per cui indossa il nastro giallo del titolo - al rapporto di sincera amicizia che lega il capitano stesso al vecchio sergente ubriacone, fino al rispetto che tutti provano per il sudista che muore alla fattoria Sudro, nemico forse un tempo, ma ora "soldato e perfetto cristiano", accumunato agli altri senza distinzioni.
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La seconda parte della cosiddetta tiologia della cavalleria fordiana è u film davvero straordinario, recitato benissimo da tutti, con un John Wayne, quarantenne che interpreta con una naturalezza strepitosa il suo personaggio più che sessantenne, capitano di uno sperduto avamposto all'ultima settimana di servizio. Egli si trova a dover far fronte ad un'ultima difficile missione, nella quale si mescolano i rapporti che legano fra loro i membri di quella grande famiglia che è - fordianamente intesa - la cavalleria: dal triangolo amoroso che vede la nipote del comandante contesa fra i due tenenti - gli stessi per cui indossa il nastro giallo del titolo - al rapporto di sincera amicizia che lega il capitano stesso al vecchio sergente ubriacone, fino al rispetto che tutti provano per il sudista che muore alla fattoria Sudro, nemico forse un tempo, ma ora "soldato e perfetto cristiano", accumunato agli altri senza distinzioni. Oltre, ovviamente, all'amora che unisce Brittles e la sua famiglia anche dopo la morte della moglie: le scene sulla tomba sono indimenticabili e commuoventi.
Memorabili sono anche la colonna sonora di un Hageman ispiratissimo e la fotografia di Winton C. Hoch, premiata giustamente con l'Oscar: ispirata volutamente alle opere del pittore ottocentescco Frederick Remington, essa utilizza il coloro in toni smorti, che sottolinenao la malinconia di cui è impregnata la pellicola, una malinconia che nasce dal fatto che Brittles si sta apprestando a lasciare l'esercito, la sua casa, la sua famiglia. Non a caso, nel finale, Brittles non si unisce alla festa, ma si reca prima nel luogo pr lui più importante di ogni altro: la tomba della moglie, nuovamente a casa propria.
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brian77
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lunedì 26 ottobre 2015
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capolavoro assoluto
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lo rivedo almeno una volta all'anno, mi fermo di botto quando passa in tv e non posso trattenermi dal rivederlo fino alla fine, anche rimanendo in piedi tutto il tempo, in trance... la sua forza sta anche nell'avere una vicenda un po' minore, non particolarmente forte, in modo che diventa purissimo stile fordiano e purissimo mondo fordiano. una storia più forte o complessa avrebbe occupato spazi che qui invece restano abbandonati al puro piacere di cinema di Ford, alla sua libertà di muoversi in questo mondo, tra questi personaggi, tra questi interpreti. L'immersione nell'universo di un gigante assoluto del cinema. Ai cinefili piacciono di più capolavori fordiani in cui possono rispecchiare se stessi.
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lo rivedo almeno una volta all'anno, mi fermo di botto quando passa in tv e non posso trattenermi dal rivederlo fino alla fine, anche rimanendo in piedi tutto il tempo, in trance... la sua forza sta anche nell'avere una vicenda un po' minore, non particolarmente forte, in modo che diventa purissimo stile fordiano e purissimo mondo fordiano. una storia più forte o complessa avrebbe occupato spazi che qui invece restano abbandonati al puro piacere di cinema di Ford, alla sua libertà di muoversi in questo mondo, tra questi personaggi, tra questi interpreti. L'immersione nell'universo di un gigante assoluto del cinema. Ai cinefili piacciono di più capolavori fordiani in cui possono rispecchiare se stessi. Qui si rispecchia solo Ford, che è sempre molto meglio che vedere sullo schermo i riflessi dei cinefili!
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samanta
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giovedì 25 aprile 2019
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lei porta un nastro giallo
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She wore a Yellow Ribbon è il titolo in originale di Cavalieri del Nord Ovest film del 1949 che appartiene alla "trilogia della cavalleria" di John Ford prima era stao girato il Massacro di Fort Apache poi verrà Rio Bravo. La cavalleria era stata l'arma fondamentale per contrastare le tribù dei pellerossi che combattevano a cavallo.
Il film girato nelll'ormai consueta Monument Vallley ha una splendida fotografia a colori che meritò l'Oscar ed è ottimamente interpretato da John Wayne anche qui in un inedita figura di ufficiale: il Capitano Nathan Brittles ormai vicino ai sessanta anni (vediamo quindi un Wayne invecchiato con capelli e baffi brizzolati) che comanda uno squadrone a Forte Starke nel territorio indiano.
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She wore a Yellow Ribbon è il titolo in originale di Cavalieri del Nord Ovest film del 1949 che appartiene alla "trilogia della cavalleria" di John Ford prima era stao girato il Massacro di Fort Apache poi verrà Rio Bravo. La cavalleria era stata l'arma fondamentale per contrastare le tribù dei pellerossi che combattevano a cavallo.
Il film girato nelll'ormai consueta Monument Vallley ha una splendida fotografia a colori che meritò l'Oscar ed è ottimamente interpretato da John Wayne anche qui in un inedita figura di ufficiale: il Capitano Nathan Brittles ormai vicino ai sessanta anni (vediamo quindi un Wayne invecchiato con capelli e baffi brizzolati) che comanda uno squadrone a Forte Starke nel territorio indiano. Molto buona la recitazione degli altri attori, molti appartenenti al "cerchio magico" di Ford come: Victor McLaglen (sergente Quincannon), Ben Johnson (serg. Tyree) ex soldato sudista, Harry Carey jr. (messo per affetto al padre omonimo morto nel 1948 e star dei film western). Tra i i protagonisti la giovane Joanne Dru (bella e brava attrice: Fiume Rosso, Tutti gli uomini del re) che ebbe breve carriera a causa dei produttori che la ingabbiavano sempre negli stessi ruoli, qui interpreta Olivia la nipote del comandante contesa da i due giovani tenenti. Nathan Brittles è un ruolo inconsueto per John Wayne, un ruolo melanconico e crepuscolare di un ufficiale che non ha fatto carriera e la cui adorata moglie è morta da tanti anni e con cui parla al cimitero raccontandogli la sua giornata, un ruolo crepuscacolare e melanconico di un ufficiale che fa il suo dovere, che rispetta i soldati e si fa rispettare e che affronta il presente con lucidità e senza amarezza. Brittles fallisce la sua ultima missione non per colpa sua ma saprà riscattarsi e il governo premierà la sua dedizione e la sua conoscenza del mondo indiano, promuovendolo tenente colonnelloe comandante degli esploratori.
Nel film ricorre il mondo di Ford i momenti drammatici e sentimentali sono intercalati da intervalli comici o ironici spesso dettati dalle intemperanze del sergente Quincannon, ma c'é anche il rispetto per i nemici. Due episodi al riguardo il dialogo con il vecchio capo indiano del Capitano Brittles e la volontà di non provocare morti facendo fuggire i cavalli agli indiani, facendo così perdere a loro la possibilità di combattere. Bello anche il rispetto per gli ex nemici nel caso un soldtao semplice anziano che muore in comabattimento e che era un ex generale di cavalleria sudista arruolatosi dopo la guerra civile nella cavalleria dell'Unione,non solo viene sepolto con gli onori militari ma anche con la bandiera della confederazione: un esempio per noi italiani di riconciliazione.
In conclusione un film in assoluto da vedere in perfetta armonia tra i suoi componenti (salvo la voce fuori campo iniziale un pò retorica). Il nastro giallo veniva messo sui capelli dalle ragazze innamorate di un cavalleggero.
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carloalberto
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mercoledì 13 gennaio 2021
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bellissimo e mistificante
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Quando la cavalleria sarebbe arrivata prima o poi in soccorso del manipolo di audaci, assediati nella trincea di fortuna, scavata dietro una carovana, mentre, sotto un nugolo di frecce, resistevano impavidi sparando con le colt ed i winchester in mezzo ai cadaveri dei compagni sparsi nella buca. Era l’epoca felice in cui i buoni li potevi riconoscere facilmente perché vestivano la stessa giubba ed i selvaggi li si vedeva arrivare da lontano, grazie al gran polverone che sollevavano gli zoccoli dei loro cavalli al galoppo e alle urla spaventose che lanciavano nel frenetico carosello suicida attorno all’avamposto. Quante emozioni può suscitare in un bambino quella marcetta di Hageman che accompagnava la lunga teoria dei soldati stagliata contro il tramonto infuocato dal rosso all’orizzonte.
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Quando la cavalleria sarebbe arrivata prima o poi in soccorso del manipolo di audaci, assediati nella trincea di fortuna, scavata dietro una carovana, mentre, sotto un nugolo di frecce, resistevano impavidi sparando con le colt ed i winchester in mezzo ai cadaveri dei compagni sparsi nella buca. Era l’epoca felice in cui i buoni li potevi riconoscere facilmente perché vestivano la stessa giubba ed i selvaggi li si vedeva arrivare da lontano, grazie al gran polverone che sollevavano gli zoccoli dei loro cavalli al galoppo e alle urla spaventose che lanciavano nel frenetico carosello suicida attorno all’avamposto. Quante emozioni può suscitare in un bambino quella marcetta di Hageman che accompagnava la lunga teoria dei soldati stagliata contro il tramonto infuocato dal rosso all’orizzonte. Ed i nostri grandi doppiatori ci facevano sognare con quel timbro profondo della voce arricchendo i dialoghi più banali fino a trasformarli in pezzi di teatro drammatico o di commedia brillante, rendendo immortali i battibecchi tra il burbero sergente Quincannon ed il capitano Nathan. Tutta la violenza che potevi trovare in quei film, tra i bianchi, era ridotta all’insolenza di uno sguardo o alla minaccia di un ceffone mai dato a chi ha mancato di riguardo alla graziosa signorina Olivia, contesa tra i due giovani ufficiali che si sfidano a singolar tenzone, mentre l’orrore era riservato alle scene dei corpi straziati da quelle bande di indiani senza Dio e senza onore che torturavano le loro vittime prima di finirle senza alcun rispetto per donne e bambini.
Era l’epopea dell’uomo bianco anglosassone che qualche anno prima aveva riportato in Europa ordine e civiltà ed ora mostrava ai vinti, con il suo cinematografo, la nobiltà dell’antico lignaggio e di come, quasi da cavalieri medievali di una inesistente corte di re Artù, avessero dovuto mettere a posto, piegando alla civiltà con le buone o con le cattive maniere, altre creature selvatiche e violente, gli uomini rossi, gli Cheyenne, gli Arapaho,dal corpo tatuato con i colori di guerra e dallo scotennamento facile, che imperversavano impunemente nelle terre dei loro avi da millenni.
Poi tutto è finito, John Wayne è andato in pensione col grado di tenente colonnello, forse è andato a fumare la pipa con Pelle di Volpe nelle grandi distese erbose delle fertili pianure del Wyoming dove milioni di bisonti attendevano di essere cacciati per diventare hamburger serviti alla tavola degli eroi, a cui abbiamo creduto ciecamente. Eppure, nonostante tutto, come fare a non rivedere questo film ritornando nostalgicamente a quella vecchia ammirazione, alla estatica devozione per un mondo esistito soltanto nell’immaginazione di chi lo ha messo in scena e di noi sprovveduti spettatori e allo stesso tempo così vivo e reale da farci ancora commuovere e forse nell’intimo sperare che le cose siano andate proprio così come le raccontava quel grande affabulatore per immagini che era John Ford, il moderno cantore omerico delle gesta epiche dei pionieri americani del diciannovesimo secolo, che distrussero sistematicamente un paradiso terrestre, per gettare le fondamenta della società dei consumi e dello spettacolo, che ancora ci ammalia e ci ipnotizza, negandoci la squallida verità dell’ennesimo genocidio della storia umana.
Film tanto bello e suggestivo quanto falso e mistificante, come tutta la produzione hollywoodiana sulla questione indiana fino a Il piccolo grande uomo di Arthur Penn.
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