Dalla terrazza |
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Un film di Mark Robson.
Con Paul Newman, Myrna Loy, Joanne Woodward
Titolo originale From the Terrace.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 144 min.
- USA 1960.
MYMONETRO
Dalla terrazza
valutazione media:
3,56
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un piccolo capolavoro "quotidiano"di PaolodilautreamontFeedback: 440 | altri commenti e recensioni di Paolodilautreamont |
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lunedì 30 novembre 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Se è pur vero che nel film ci sono alcune sbavature, tuttavia ciò non deve far dimenticare l'oggetto della discussione. Sono reduce dalla lettura del commento di Mereghetti, col quale non sono mai d'accordo. Mereghetti poteva fare qualsiasi mestiere, nella vita, non quello del critico cinematografico, anche perché il suo ideologismo soffoca il suo occhio. Tornando a Dalla Terrazza, non si può prescindere dal fatto che è un "film di buoni sentimenti", il che non è un filone, ma uno dei due colori fondamentali del cinema americano (l'altro è il noir, importato dalla Francia). Per "cinema di buoni sentimenti" intendo -per fare un nome- John Ford. Parlo cioé di una filmografia che non si pone intenti educativi, che non diffonde melassa di buonismi farisei. Se ci si pensa, Dalla Terrazza non è per niente una narrazione moralista. L'ipocrisia del dirigente anziano di Alfred-Paul Newmann è messa a nudo esplicitamente. Il dramma della famiglia di Alfred è descritto con una ferocia insieme breve, delicata e profonda. Ciò che risalta su tutto è il tema dell'amore contrapposto alla convenienza, dell'amore contrapposto alla superficialità, dell'amore come forma di religione, contrapposto al materialismo. Si finisce per parteggiare per la coppia Alfred-Natalie, riedizione di altre coppie, come Paolo e Virginia di de Saint Pierre. Poi c'è il realismo della scenografia, che non è pauperistico come nel cinema italiano del dopoguerra, ma è spesso e sofisticato come i quadri di Edward Hopper, e come impone l'appartenenza sociale dei protagonisti. La messa in scena ci cala con potenza nell'America del dopoguerra: le case pompeiane della top class, le strade eternamente postmoderne di New York, le auto che sono le statue di Fidia del '900 etc. Per non parlare degli stili di vita, così ben descritti a latere della trama: lo scorrere infinito di wisky e champagne (com'è fredda a impaurita -al confronto- la vita di oggi, piena di diet coke e di wine no wine, coi bar deserti, le strade vuote, le donne inaridite, gli uomini privi di denti e courage de vivre), la voglia di scalare la società e la capacità di lavorare giorno e notte. Poi il dualismo tra città e la campagna, col suo richiamo infinitamente americano (ricordiamo Thoreau, Emerson, Mark Twain, Steinbeck...), con quel messaggio profondamente divino ma senza passare da preti, pastori o chiese. Come si fa a non percepire che tutto ciò è presente in buone dosi in questo film? Certo, è "solo uno dei tanti" piccoli capolavori di vita quotidiana (della top class), ripresa dall'occhio di un film altrettanto "quotidiano". Ma la grandezza vera si trova nel minore, se il minore ha questo spessore.
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