Il giardino di limoni |
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Un film di Eran Riklis.
Con Hiam Abbass, Ali Suliman, Doron Tavory, Rona Lipaz-Michael, Tarik Kopty.
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Titolo originale Lemon Tree.
Drammatico,
durata 106 min.
- Israele, Germania, Francia 2008.
- Teodora Film
uscita venerdì 12 dicembre 2008.
MYMONETRO
Il giardino di limoni
valutazione media:
3,18
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un film politico, girato bene, realist-disneyanodi AleFeedback: 0 |
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martedì 6 gennaio 2009 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Della DIFESA il ministro israeliano; legato al potere palestinese l'avvocato, una sorta di politico in erba che cerca di dialogare con le alte sfere, mira ad avvicinarsene il più possibile e finisce per riuscire a legarsene anche sentimentalmente. Sullo sfondo l'inadeguatezza della 'politica di vicinato' di Israele, che danneggia la donna e i suoi limoni, ma anche il ministro (l'innalzamento del muro davanti alla sua stessa casa). Si trae spunto dall'esproprio di un agrumeto per raccontare il conflitto mediorientale secondo uno dei possibili angoli di vista, forse uno dei più 'privilegiati' in questi lunghi giorni di bombardamenti. Nel film la tensione arabo-palestinese resta nei confini della battaglia legale, non si parla di guerra, nè degli aspetti più desolanti della Striscia di Gaza. Lunghi sguardi legano le due donne che alla fine del film non riescono scambiare neanche una battuta. Un film muto, che non prova neanche a immaginare un dialogo tra quelle che dovrebbero rappresentare la speranza di pace e in cui indifferentemente lo spettatore può identificarsi. La protagonista non si lascia mai andare a invettive contro il governo, la sua è una battaglia tutta privata in memoria del padre. Come tutta familiare è la dinamica tra il ministro e la moglie, fatta di classiche dinamiche piccolo borghesi. Non c'è tifo per l'uno o l'altro governo, alle fine la tesi è che cadono entrambi negli stessi vizi e bugie (come il presidente palestinese in Egitto), nelle stesse ragioni di governo. Le due donne, ricche di giustizia, nobiltà e umanità, finiscono per essere sopraffatte dalle ragioni di carriera del marito o tradite dall'arrivismo di un legale che passa dall'odore sulle dita della sardine in scatola, all'inchiostro delle cronache dei giornali. Le voci maschili vengono amplificate dai media, quelle delle donne sono volutamente smentite, come fa la moglie con l'intervista, o volutamente lontane, come quando la protagonista preferisce scostarsi dalla telecamere per continuare a cercare lo sguardo dell'altra donna. Un non detto che resta negli occhi delle protagoniste e non sembra preludere a nulla. Nè la moglie del ministro, nè la protagonista sembrano volersi farsi portatrici di dialogo, di pace o di ragionevolezza, pur avendone l'opportunità. Uno spaccato edulcorato e disincantato, al limite del qualunquismo, che racconta la distanza tra la politica e queste due donne (simbolicamente società civile) che si guardano, si sentono, si leggono, si rispettano ma non riescono mai a parlare tra loro, nè con i figli, nè con i media. Due uomini spinti da logiche di personale successo politico, la macchina dei media che si occupa della vicenda quando assume una dimensione politica fino a tingersi di rosa (la separazione e il fidanzamento del legale), la cinica quanto inconcludente diplomazia europea che davanti alle telecamere solidarizza con la donna: sembra non esserci via di scampo a questa dinamica. Alla fine danneggiati sono quasi tutti, vittime, complici e persecutori. L'happy end è per pochi e in ogni caso non travalica la stretta dimensione personale. Il corso della storia non ha in serbo un nuovo Mandela o nuove forme di convivenza. Cinematograficamente la chiusura è affidata allo stato delle cose, la "barriera di separazione": desolante totem dell'ineluttabile destino del conflitto araboisraeliano o icona di moral suasion per la società israeliana?
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