La sposa in nero

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Un film di François Truffaut. Con Michael Lonsdale, Jean-Claude Brialy, Michel Bouquet, Jeanne Moreau, Alexandra Stewart.
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Titolo originale La mariée était en noir. Drammatico, durata 107 min. - Francia 1968. MYMONETRO La sposa in nero * * * * - valutazione media: 4,09 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La sposa in nero, di CLaudio Arresta Valutazione 3 stelle su cinque

di piovani84


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giovedì 2 ottobre 2008

La sposa in nero (1968) Julie Kholer è una vedova non tanto allegra alla quale hanno ucciso il marito proprio il giorno del loro matrimonio. Mentre uscivano dalla chiesa un proiettile raggiunge l’uomo al petto e il vestito bianco da sposa di Julie si colora presto di un nero luttuoso che è quasi impossibile schiarire. Non si sa molto sulla vita di Julie prima che morisse il marito; l’unica cosa di cui Truffaut ci informa è che lui è l’unico uomo che abbia mai amato e l’unico con il quale è stata: si conoscevano fin da piccoli, come mostra un flashback a metà del film. Il film comincia con un primo piano a delle foto giornalistiche in cui compare il volto di Julie, dai capelli corti e neri, con la testa inclinata e la mano destra a sostenerla. Queste foto non le rivedremo per un pò durante il film. La storia, invece, comincia, come Truffaut spesso ama fare, dalla situazione familiare di Julie. La madre di Julie le impedisce di buttarsi giù dalla finestra, così Julie saluta la piccola nipote e decide di continuare a vivere solo per uno scopo: vendicare la morte del marito uccidendo tutti e cinque gli uomini che hanno perpetrato il crimine e che ancora la polizia non aveva rintracciato. Julie invece ci riesce, anche se Truffaut non ci fa ne vedere ne sapere in che modo, e così comincia la sua vendetta. La prima vittima è il Sig. Bliss, uomo giovane e ricco che Julie uccide facendolo cadere giù dal suo lussoso appartamento proprio durante la festa del suo fidanzamento con Gilberte. Da come organizza il primo omicidio si intravedono già degli elementi del personaggio Julie che sono destinati a ripetersi durante il resto del film: Julie prima di incontrare la sua vittima si informa su come vive quest’ultima, vuole conoscere la sua situazione familare, le sue abitudini, le sue passioni, i suoi punti deboli e soprattutto il suo livello economico. Infatti prima di incontrare il Sig. Bliss va a fare un sopralluogo al suo albergo per vedere come se la passava. Il Sig. Bliss era un appassionato di donne, ma soprattutto di gambe, infatti registrava il suono che produceva lo sfregarsi delle calze della sua fidanzata quando accavallava le gambe. Talmente fissato con le gambe che Truffaut segue il passo di Julie che si avvicina all’albergo inquadrandole solo le gambe, quasi come un Hitchcockiano avvertimento. Bliss è uno che in materia di donne sapeva il fatto suo, d’altronde anche il suo livello economico glielo permetteva. Non dice il suo nome e fa la misteriosa facendo credere alla sua vittima di essere interessata a lei, ma sfuggendole al momento più inaspettato. Prima di uccidere la sua vittima, rivela il suo nome per marcare la sua vendetta. Queste tre costanti saranno le colonne portanti di tutto il film e in particolare del personaggio. Julie Kholer, donna non troppo giovane senza un corpo da modella, è una donna che pietrificava gli uomini per il suo fascino e per quello sguardo glaciale e misterioso. Impossibile resisterle coi suoi modi così intriganti e quegli occhi da felina; Julie puntava su questo suo modo distaccato di sedurre gli uomini per colpirli nei loro punti deboli proprio quando li ha in pugno, quando li ha ormai disarmati mettendone a nudo i loro difetti e le loro meschinità. Successe così con il Sig. Bliss, cognome che ri ricorderanno coloro i quali abbiano visto attentamente “Mica scema la ragazza...”, che invaghito dalle donne di classe accetta di scambiare quattro chiacchiere con una donna sconosciuta, ma vestita con un bellissimo e angelico abito bianco da sera (“Vestita in abito da sera di mattina...” diceva il portiere dell’albergo di Bliss per descriverla) che non gli ha detto nemmeno il suo nome. Il non rivelamento della sua identità ha una doppia funzione: oltre a non farsi scoprire, l’anonimato accende quel quid di curiosità e mistero negli uomini che li spinge a fare qualsiasi cosa per saperne di più su quella donna. Bliss muore proprio in questo modo: dopo aver svuotato maleducatamente su una pianta il bicchiere d’acqua che un amico di Bliss le aveva gentilmente portato e dopo aver a questi chiesto di portargliene un’altro, Julie fa volare via dal balcone la sua seducente sciarpa che si impiglierà nella tettoia. Bliss non resiste al fascino di Julie e la riempie di domande alle quali Julie non risponde mai si o no, ma sempre con dei miseri “forse, può anche darsi”. Le redini della comunicazione sono sempre nelle sue mani, così facendo riesce a controllare gli uomini, a far fare loro cose che non avrebbero mai fatto come ad esempio riprendere la sciarpa, quindi fargli rischiare di cadere giù dal balcone. (Morte riccorrente nei film di Truffaut). Giù dal balcone Bliss ci finisce davvero, ma spinto da Julie, che quindi adesso diventa anche lei un’assassina. Fuori uno, e via il nome Bliss dall’agenda di Julie che deve ancora ucciderne altri quattro. Julie, come dicevamo prima, aveva studiato un piano perfettamente funzionale per colpire il Sig. Bliss, ovvero seducendolo con un abito elegante come piacerebbe ad un ricco dongiovanni e incuriosendolo fino a farlo impazzire, ma il tocco magico è stato mettersi zitta zitta in un angolino della festa sicura del fatto che il Sig. Bliss o uno dei tanti suoi amici donnaioli si sarebbero avvicinati a parlarle, ed ebbe così ragione perchè è proprio l’amico di Bliss, quello del bicchiere d’acqua a fare il primo passo e a presentargliela. La stessa tecnica invece non è adottata con la seconda vittima, il povero Corral che vive in una disordinata e squallida stanza d’albergo che non ha neanche i soldi per pagar regolarmente. Julie come di costume va a vedere questa stanza e scambia anche quattro chiacchiere con la donna della pulizia. Capisce che è un uomo solo, povero e non molto intrapendente, il classico sfigato come noi italiani chiamiamo questi tipi così. Julie ancora una volta calibra il suo piano sulla base della sua vittima facendo recapitare a questa un biglietto per il teatro. Sarà lì che avverrà l’incontro: lei vestita con un abito nero a spalle scoperte e un mantello bianco che le dà un’aria principesca, così come i suoi capelli, ora corti e biondi. All’uscita del teatro Julie non risponde alle domande del tanto incuriosito e stupido signore che così impacciato com’è non farebbe mai il primo passo. Julie invece si e si autoinvita da lui per la sera dopo alle 9 (“Da me? Io non avrei mai osato chiederglielo”) facendo impazzire quel povero uomo che solo nei sogni aveva pensato di essere sedotto da una donna bella e di classe come Julie. L’indomani alle 9 Julie va da lui, con una bottiglia di Rack, ma con del veleno dentro. Così Corral morirà avvelenato: mentre sta morendo, mentre le sue energie vitali stanno scomparendo Julie lo fa soffrire. A differenza della morte repentina di Bliss, questa è una morte lenta e sofferta: Julie balla per lu con un sottofondo di una musica classica dall’atmosfera celebrativa, aumentando in Corral oltre alla libido anche il rimpianto per non poter ballare con lei. “Sono Julie Kolher”, gli rivela la donna e lui disteso a terra muore sapendo chi è stato ad ucciderlo. Con Corral ha fatto tutto lei: lo ha cercato, trovato, raggiunto, invitato ad uscire, gli ha pagato il biglietto e si è invitata a casa sua, considerando ogni dettaglio anche psicologico della persona che aveva davanti e ancora una volta come sempre accade in Truffaut, quando l’uomo capisce la donna è troppo tardi, è già morto. Ed è poco prima che Corral sia morto che Truffaut da allo spettatore un assaggio del movente di Julie. Fino a questo punto il telespettatore aveva solo intuito che Julie uccidesse per un dolore nascosto e che questi uomini fossero la causa del suo dolore. Attraverso un flashback si ritorna a quel nefasto pomeriggio quando un colpo di fucile uccise il marito di Julie. Adesso è stato svelato l’inizio di tutto, quella che in semiotica narrativa si chiama la Privazione, ovvero il momento in cui succede qualcosa dal quale scaturiscono gli altri eventi che saranno un tentativo di far tornare tutto come prima della Privazione. In questo assistiamo alla privazione dell’amore. La terza vittima è il Sig. Morane, un uomo con una moglie ed un figlio a carico con una bella casa e con una carriera politica che è più raccontata che reale. Come ormai sapete Julie si informa bene su come e dove vive la sua vittima e lo fa parlando amichevolmente con il figlio Cucky. E’una scena molto importante perchè per la prima volta vediamo la sposa in nero Julie sorridere. Parlando col piccolo e per far colpo su di lui sa benissimo che non può presentarsi con quel volto statuario che tanto piace agli uomini. Julie riesce con l’inganno a far arrivare un fax a casa Morane, fax in cui la madre della moglie del Sig. Morane diceva di stare male e che necesitava che la figlia la raggiungesse. Così fu e sempre con l’inganno Julie si finse la maestra di Cucky, la signorina Beaker, per entrare a casa Morane con la scusa di assistere il bambino in assenza della madre. Si presenta in casa Morane con un abito bianco molto formale e abbottonato, ma con una doppia faccia, ovvero molto sorridente e disponibile con il bambino, come una vera maestra e molto seria e formale con il padre. Quella che può apparire come un banale rispetto nei confronti di un adulto sconosciuto è invece una tattica calcolata da Julie, che come sempre tratta freddamente e in maniera distaccata le sue vittime, ma in questo caso per far colpo sul Sig. Morane decide di prenderlo per la gola, ovvero dargli a vedere due aspetti di lei che un padre distratto e pieno di se come il Sig. Morane avrebbe apprezzato notevolmente: sostituirlo nel badare al figlio e restare zitta ad ascoltarlo mentre lui si vanta dei suoi successi professionali. Infatti lui è talmente sorpreso da questo atteggiamento che le confida anche particolari che nemmeno la moglie sa “Ho deciso di candidarmi alle prossime elezioni...” . Lei lo uccide, lo chiude in un sotto scala e lo fa morire asfissiato, ma prima le rivela il nome. Il Sig.Morane cerca di spiegarle tutto, le racconta come andarono le cose. Infatti Truffaut ci regala un altro flashback in cui si spiegano molte cose. I cinque uomini erano dei conoscenti con la passione per la caccia e per il poker. Quel pomeriggio erano in una stanza di un edificio vicino la chiesaa giocare a carte per ammazzare la noia e la solitudine, quando uno di loro prese il fucile, lo puntò fuori dalla finestra per scherzo e premette il grilletto pensando che il fucile non fosse carico. I cinque uomini di divisero e continuarono la loro vita come se niente fosse in parti diverse e lontane della Francia, ma Julie li ha rintracciati tutti, che importanza ha come: Truffaut voleva raccontarci il personaggio di Julie e di come può un dolore far fare diventare una donna fredda e crudele come gli uomini che l’hanno fatta soffrire. Mentre il Sig. Murane tenta disperatamente di convincere Julie ad aprire la porta, Truffaut ci mostra una Julie non più fredda e implacabile, ma ce la fa vedere che piange e che dice di essere morta quel pomeriggio. E’ li che si confessa e dice che David era il suo unico amore, non aveva che lui, adesso non ha niente. Lei e suo marito si conoscevano fin dalla loro infanzia, chissà com’era Julie prima di diventare assassina. Truffaut non ce lo dice, ma tanto dolore ci fa capire che sicuramente era felice e che tutta questa rabbia prima era dolcezza, che questa freddezza era prima passione, quell’odio era amore. Ma non ne abbiamo la certezza. Il cinema di Truffaut non è un cinema di certezze, ma di domande e interrogativi ai quali il cinema stesso da una strada interpretativa. Julie che piange ricorda Antoine Doinel da piccolo che piange anche lui in “I 400 colpi”, imprigionato dentro ad un furgone della polizia. I due primi piani sugli occhi che piangono è solo la forma di un tema molto caro a Truffaut, ovvero l’infelicità, che può scaturire da un brutto episodio, ma anche semplicemente da un’infanzia non troppo tenera; un’infelicità che ognuno assorbe e combatte a modo suo e che a volte fa finta di non vedere. Per questo motivo il momento del pianto è molto importante, perchè espressione di un sentimento represso e tipico di molti personaggi truffautiani . Dopo aver ucciso anche Corral, Julie raggiunge il quarto uomo, ma questi viene arrestato dalla polizia proprio un istante prima che Julie gli possa sparare. A differenza delle altre vittime quest’uomo ha continuato a infrangere la legge dedicandosi alla truffa e al ladrocinio; colpisce l’ironia di Truffaut nel dialogo tra quest’uomo e il suo amico ladro il quale vedendo arrivare Julie si rivolge al suo amico dicendogli che c’è una donna tipo puttana che vuole vederlo. Julie si era presentata con un abito sobrio, ma con la consueta sfacciataggine e sicurezza in sè stessa e non è irrealistico che un ladro che non conosce tutta la sua storia possa ritenerla semplicisticamente in quel modo. L’ironia stà nel fatto che molte donne del cinema di Truffaut, come abbiamo visto anche nelle altre recensioni possono essere semplicisticamente definite “puttane, prostitute, puttanelle, troie”, (ricordate la segretaria del sociologo in “Mica scema la ragazza” come definì Camille?) ma il regista francese è proprio lì che pensa i suoi film, gli piace approfondire i sentimenti , farsi domande sul perchè di alcuni comportamenti. Lui non giudica, come spesso ha detto, lui ama tutti i suoi personaggi con tutti i suoi difetti. Della quarta vittima non si sa molto, sulla sua vita e le sue abitudini si sa solo che non è un onesto lavoratore e a differenza degli altri uomini colpevoli dell’omicidio di David Kholer non ne ha neanche la faccia, infatti quella sua testa calva e lo sguardo cattivo lo rendono un pò diverso dagli altri ed è forse per questo che Julie non riesce ad ucciderlo. La quinta vittima è Fergus, interpretato dal fedele Charles Denner, un artista con la passione della pittura e delle donne. Lui, donnaiolo quasi di professione passa le sue giornate a ritrarre modelle nella sua casa. Julie si fa assumere, anche questa volta con l’inganno, e si fa ritrarre per volere di Fergus vestita da Diana, dea della caccia, con tanto di arco e freccia puntata sul pittore. Anche questa volta Julie si relaziona alla sua vittima in maniera funzionale a far colpo su di lei. A Fergus non mancano le donne, sono le modelle che lo cercano per farsi ritrarre, ma lui è colpito intensamente da questa donna con l’abito bianco, capelli corti neri e con delle belle gambe di nome Julie che irrompe a casa sua come nessuna aveva mai fatto prima. Fergus, che pur di osservare un sedere di una modella, si affaccia dalla finestra, dice che Julie non è il suo tipo, abituato com’è a snelle, alte e giovani modelle, ma Julie non è il tipo di nessuno, Julie è unica nel suo fascino. Truffaut ci mostra questa donna talmente sofferente da essere irresistibile; la sua è una seduzione da mordi e fuggi che fa girare la testa: non dice mai belle parole, non la vedi mai sorridere, non ti prende la mano, non ti sussurra all’orecchio, ma semplicemente piomba misteriosamente dentro la vita delle sue vittime soprendendole e facendole così credere di essere attratta da loro. In realtà la unica attrazione è l’odio; nel cinema di Truffaut succede anche che l’odio diventi seduzione. Fergus si innamora di Julie e si dichiara: la pensa tutte le notti e la ritrae nuda sul muro vicino al suo letto. La scelta di ritrarla vestita da dea della caccia non può essere una scelta solo formale, riteniamo che sia invece una descrizione di Julie da parte di Francois Truffaut che come sempre ci da una strada interpretativa seppur stretta e non sempre visibile. Julie è la vera cacciatrice e come ogni cacciatore è attratto dalla sua preda. Lui la studia, lo osserva, la segue e per avvicinarsi a lei si trasforma e mimetizza. Poi quando la preda non se lo aspetta PAHM!, le spara e la uccide. Fergus muore trafitto dalla freccia che Julie le ha scagliato contro mentre veniva ritratta. Si vede dagli occhi di Julie che soffriva a posare con quell’abito mentre lo squallido e improvvisato romanticone Fergus la guarda dalla testa ai piedi. E’ in posa, non può muoversi, ma sa benissimo che in realtà è lei ad avere sottocontrollo lui, lo può colpire da un momento all’altro. Ciò avviene infatti prima che l’amico di Fergus, lo stesso amico del Sig.Bliss, la prima vittima, riesca a riconoscere Julie, la quale decide di non cancellare il suo ritratto sul muro per far cadere le accuse su di lei. Julie deve ancora uccidere un uomo, che si trova adesso in carcere, quindi si presenta al funerale di Fergus e si fa arrestare. Ennesima prova di coraggio di questa donna che ormai agisce incontrastata, nessuno può fermarla perchè lei è più forte, lei non ama, non ama nessuno e non ama nemmeno se stessa , tanto di farsi attivamente arrestare per poter uccidere il calvo e completare la sua vendetta. “Non è l’amore che cerco”, rispose Julie a Fergus che si era appena dichiarato; vendetta e solo vendetta, questa è l’unica cosa dalla quale è attratta e per la quale si sente ancora viva. Ma Julie non è un robot, l’abbiamo vista soffrire, piangere, anche se sono solo momenti; forse non è insensibile alla vita, piuttosto è insensibile all’amore. L’attrice Jean Moreau riesce con una superlativa interpretazione a interpretare questo personaggio ambiguo, ma di straordinaria coerenza. Un film fatto di episodi che potrebbero essere tranquillamente autonomi narrativamente, ma tra di loro c’è una costante che tiene insieme tutti i pezzi, Julie e il suo odio, un odio così grande in cui Julie si annulla, che la rende spietata, cinica e piena di rabbia. Julie potrebbe decidere di chiudere con il passato, di perdonare o di convivere con il dolore, potrebbe rifarsi una vita, è una bella donna e potrebbe trovare un uomo che la renda felice, ma Julie non vuole essere felice “Non è l’amore che cerco...”, lei vuole odiare, vuole vendicarsi, vuole morire. Julie rappresenta la sconfitta dell’amore, la tragedia della vita, la non ricerca della felicità, la morte. Truffaut sceglie di far finire il film con l’omicidio dell’ultimo uomo, ma non si vede, si senteno solo le urla (anche l’assassinio di Clovis in “Mica scema la ragazza” non è mostrato) e non si vede neanche che ne sarà di Julie Kholer, continuerà a vivere con il suo odio o consumata la vendetta si sentirà meglio? Quello che è certo e che passerà il resto dei suoi anni in galera per aver ucciso cinque uomini. La sposa in nero non è solo il dramma di una vedova, ma è anche film sul dolore, sulla sofferenza che a volte è più forte di tutto, più forte degli uomini e delle donne; può essere definito un film drammatico, ma sappiamo che a Truffaut non piaceva questa distinzione tra generi, inoltre non mancano le incursioni ironiche che lo alleggeriscono un pò come anche la colonna sonora di segue il tema del matrimonio con una musica classica allegra e vivace che contrasta con gli occhi tristi e rabbiosi di Julie, ma Truffaut ama questi cluster: la Sposa in nero non va preso troppo sul serio, non è la pietà del pubblico nei confronti del personaggio Julie, ne tantomeno la condanna. Bergman era il musicista di Hitchcock, ma questo “non è un film Hitchcockiano per almeno due motivi: la protagonista Julie Kohler non ha nulla dei personaggi di Hitchcok, quasi sempre innocenti, a torto sospettati di crimini ke hanno commesso altri; in secondo luogo, Truffaut fa una cosa ke hitc non avrebbe mai fatto: ridurre volutamente il suspense, inevitabilmente connesso alle situazioni, trattando i tempi morti come tali e cioè funzionalizzandoli all'esigenza di dare spessore e complessità ai personaggi." (Francois Truffaut, A.Barbera e Umberto Mosca, il Castoro Cinema 2002)

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