Lo stato delle cose |
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Un film di Wim Wenders.
Con Isabelle Weingarten, Rebecca Pauly, Jeffrey Kime, Geoffrey Carev.
continua»
Titolo originale Der Stand der Dinge.
Drammatico,
durata 120 min.
- Germania 1982.
MYMONETRO
Lo stato delle cose
valutazione media:
4,00
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Film amaro sulla fatica di viveredi giulio andreettaFeedback: 10776 | altri commenti e recensioni di giulio andreetta |
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mercoledì 27 novembre 2019 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
In un hotel abbandonato sulle sponde dell'Oceano Atlantico si consuma la lenta agonia di un film di fantascienza la cui produzione è forzosamente interrotta per ragioni economiche. Ancora una volta, come spesso in Wenders, questa pellicola appare come una metafora della fatica creativa, della pigrizia, dello stallo interiore che condiziona tutti i componenti della troupe, persino i bambini, in un crescendo di drammaticità e malinconia. Un ozio forzoso che diventa l'elemento scatenante per mostrare tutta la propria insofferenza nei confronti del mondo e degli altri. Una condizione di solitudine interiore e di incomunicabilità a cui ci hanno abituato molti grandi registi del Novecento, a partire da Antonioni. In effetti, il cinema di Antonioni, e penso in particolare al film Professione reporter, può a mio avviso essere accostato a Lo stato delle cose. Entrambi raccontano la difficoltà di vivere e l'impossibilità di comunicare, di esternare il proprio disagio e insofferenza. Per empatia lo stato emotivo del regista si trasmette a tutti i componenti della troupe, che piano piano scivolano in un'attesa che appare sempre più inconcludente. Ed è proprio su questa sospensione che il regista gioca con abilità, sulle sfumature, sulle citazioni cinematografiche, in modo certamente un poco cerebrale, ma convincente. Un film che non concede nulla al pubblico, tutto appare quasi come un'autobiografia scritta senza pensare troppo a chi la leggerà, o la vedrà. In effetti vi è molto di Wenders nel protagonista del film. E nella parte finale della pellicola c'è una profonda riflessione metacinematografica sul cinema stesso, con tutte le possibili soluzioni estetiche e stilistiche che un regista può intraprendere al momento dell'ideazione della sceneggiatura. Sicuramente una pellicola che offre molti spunti di riflessione, ma forse non il capolavoro di Wenders, che a mio avviso ne Il cielo sopra Berlino offre una regià più matura e consapevole. Recitazione in genere più che discreta anche se, in media, non sempre eccellente, fotografia ottima, anche per l'uso affabulante del bianco e nero. Uno dei pregi di questo film è la sua sincerità, direi quasi la temerarietà di rappresentare senza censure lo stato di abbattimento interiore, e di disperazione.
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