In “Miramar”, Bressane mette in scena il cinema, il suo cinema e dunque se stesso. Ma non lo fa come lo hanno fatto Fellini o Bergman, proprio perché egli rifiuta una storia compiuta, da sempre, e il cinema con il suo linguaggio esplicitato diventa ineviabilmente una dimensione parallela della sua vita. Bressane sceglie di rivelare i contenuti del segno cinema per spiazzare se stesso e lo spettatore,incapace di cogliere i nessi di una vita senza nessi. Proprio come il mare, sempre presente nell’inquadratura ma mai finalmente capace di dirci qualcosa di definitivo, mutevole com’è per natura. Anche le citazioni filmiche e poetiche presenti, da Eizenstein ad Orson Welles, da Osvaldo De Andrade a Machado De Assis, sembrano concorrere a dare del protagonista cineasta un’immagine indefinita, mai coerente e per questo profondamente umana nei suoi spiazzamenti temporali e morali.
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In “Miramar”, Bressane mette in scena il cinema, il suo cinema e dunque se stesso. Ma non lo fa come lo hanno fatto Fellini o Bergman, proprio perché egli rifiuta una storia compiuta, da sempre, e il cinema con il suo linguaggio esplicitato diventa ineviabilmente una dimensione parallela della sua vita. Bressane sceglie di rivelare i contenuti del segno cinema per spiazzare se stesso e lo spettatore,incapace di cogliere i nessi di una vita senza nessi. Proprio come il mare, sempre presente nell’inquadratura ma mai finalmente capace di dirci qualcosa di definitivo, mutevole com’è per natura. Anche le citazioni filmiche e poetiche presenti, da Eizenstein ad Orson Welles, da Osvaldo De Andrade a Machado De Assis, sembrano concorrere a dare del protagonista cineasta un’immagine indefinita, mai coerente e per questo profondamente umana nei suoi spiazzamenti temporali e morali. Il geniale regista brasiliano viene ancora una volta esaltato dalla musica popolare del suo paese, capace di liberarlo in quell’anarchia dissoluta e cieca che da sempre accompagna le sue messe in scena. Gli interni familiari , che all’improvviso mutano in lampi erotici e ferali, raccontano di un’esperienza visiva reale, precinematografica, con cui Bressane convive forzatamente e gioiosamente, e che si chiude sul set vissuto come prova del nove del suo essere al mondo. Per un visionario come Bressane, mettere in scena un regista, se stesso, seppure in una falsa autobiografia, significa sfidare ogni fotogramma a superarlo nelle sue intenzioni, con la macchina da presa sempre pronta a fuggire per raccontare l’istante, il presente sotto le mentite spoglie di un imprendibile passato.
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