Grande rispetto e affetto per chi ha avuto il coraggio, la fantasia, la volontà di girare questo film ma anche tanti dubbi e la sensazione che sia un'occasione (in parte) persa.
"Il vangelo..." offre ottimi spunti, come la perdita di identità causata dalla mancanza di un lavoro che permetta di realizzarsi umanamente e la "guerra fra poveri" scatenata dal precariato. Diluiti, però, nello sforzo di seguire e legare quattro storie, che si rivela troppo impegnativo.
Nessuno si domanda perché il mondo del lavoro sia così: ci viene solo raccontato un campo di battaglia diviso fra datori di lavoro viscidi, immorali e quasi tutti coetanei (ma è possibile?) di dipendenti chiamati a scelte morali (la ragazza che fa le inchieste, l'avvocato).
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Grande rispetto e affetto per chi ha avuto il coraggio, la fantasia, la volontà di girare questo film ma anche tanti dubbi e la sensazione che sia un'occasione (in parte) persa.
"Il vangelo..." offre ottimi spunti, come la perdita di identità causata dalla mancanza di un lavoro che permetta di realizzarsi umanamente e la "guerra fra poveri" scatenata dal precariato. Diluiti, però, nello sforzo di seguire e legare quattro storie, che si rivela troppo impegnativo.
Nessuno si domanda perché il mondo del lavoro sia così: ci viene solo raccontato un campo di battaglia diviso fra datori di lavoro viscidi, immorali e quasi tutti coetanei (ma è possibile?) di dipendenti chiamati a scelte morali (la ragazza che fa le inchieste, l'avvocato). A parte lo schematismo mostri-angeli che è troppo semplicistico, il problema più diffuso e urgente è essere chiamati a una scelta morale o, ben prima... riuscire a essere chiamati a un colloquio? Anche io, nella mia esperienza lavorativa, ho trovato gente che ha fatto strada più con la lingua che con la testa ma è illusorio far credere che basti saper "ungere" per sistemarsi.
E poi, perché il film racconta solo storie di laureati? Dietro, non c'è nessuno? Mai stati in un McDonald? O in call center?
A parte la vicenda dell'avvocato, che richiama certe commedie all'italiana anni '60 ma in modo veramente piatto, le altre trame si concludono in modo frustrante (dal punto di vista del racconto, non dei contenuti). Invece della trasformazione in un mucchio di feci del produttore tv molto "attento" alle sue dipendenti (problema che indubbiamente esiste ma qui allontana dalla questione centrale) e della scelta dell'aspirante scrittore di fare famiglia con ottimismo verso il futuro (ma cos'è, uno sceneggiato scritto da Ruini?) mi sarebbe piaciuto che il film affondasse fino in fondo le mani in quelle feci (vere). Raccontando che sentirsi chiedere 4000 euro per fare un libro non è una barzelletta e che nel mondo "vero" è pieno di gente che si divide fra un lavoro "per mangiare" e uno "per sperare di farcela", con il risultato che, a lungo andare, gli entusiasmi iniziali si esauriscono e resta una profonda amarezza. Che il film non ha il coraggio di mostrare. Fosse dipeso da me, le scarpe magiche di Dora avrebbero solo fatto rumore. E Franco, lo scrittore, avrebbe gettato il suo romanzo in un cassonetto. Perché le cose stanno così.
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