Nel 1956 le storie di reduci che tornano a casa, inaspettati, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, pur non essendo più così ricorrenti nella cronaca, sollecitano ancora la fantasia della letteratura e del cinema. Nonostante la tragica drammaticità del tema, Canzone proibita si rivela una prova decisamente modesta per un regista come Flavio Calzavara, considerato uno dei maestri del cinema drammatico degli anni Quaranta, e in questa occasione molto lontano dallo spessore artistico dei suoi film più famosi come La contessa di Castiglione, Calafuria o Carmela. Nella mediocrità generale annega anche l’interpretazione di Claudio Villa, per la verità quasi sempre a disagio in ruoli drammatici, che mette in evidenza più di una difficoltà a reggere in maniera credibile il personaggio del reduce.
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Nel 1956 le storie di reduci che tornano a casa, inaspettati, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, pur non essendo più così ricorrenti nella cronaca, sollecitano ancora la fantasia della letteratura e del cinema. Nonostante la tragica drammaticità del tema, Canzone proibita si rivela una prova decisamente modesta per un regista come Flavio Calzavara, considerato uno dei maestri del cinema drammatico degli anni Quaranta, e in questa occasione molto lontano dallo spessore artistico dei suoi film più famosi come La contessa di Castiglione, Calafuria o Carmela. Nella mediocrità generale annega anche l’interpretazione di Claudio Villa, per la verità quasi sempre a disagio in ruoli drammatici, che mette in evidenza più di una difficoltà a reggere in maniera credibile il personaggio del reduce. Non l’aiuta la presenza di una Fiorella Mari più bella che brava. Il film appare superficiale nella definizione dei personaggi e sembra costruito in fretta e furia per sfruttare la popolarità del cantante.
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