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giovedì 4 settembre 2008
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gallo '66
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Dico che il fine ultimo di un regista dovrebbe sempre essere quello di dare alle proprie immagini la funzione di linguaggio parallelo rispetto alle parole: sta a lui, poi, dare loro più o meno importanza e significati, o metterle più o meno in contrasto con il “parlato”. Ma quando parola e immagini sono “semplicemente” riunite al servizio di una storia, l’appiattimento è quasi garantito.
Non è il caso di Buffalo ’66, esordio alla regia di Vincent Gallo: freddo, anomalo, ma infinitamente delicato.
E’ una storia di perdenti, di uomini e donne destinati a rimanere sempre ai margini: niente ricevono dal mondo che hanno attorno, ma tanto avrebbero da dare.
Billy Brown è un ragazzo che ha perso una scommessa sui Buffalo vincenti al Superbowl, ma non ha i soldi per pagarla: gli viene offerta una condanna al carcere da scontare al posto di un altro, per avere risparmiata la vita.
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Dico che il fine ultimo di un regista dovrebbe sempre essere quello di dare alle proprie immagini la funzione di linguaggio parallelo rispetto alle parole: sta a lui, poi, dare loro più o meno importanza e significati, o metterle più o meno in contrasto con il “parlato”. Ma quando parola e immagini sono “semplicemente” riunite al servizio di una storia, l’appiattimento è quasi garantito.
Non è il caso di Buffalo ’66, esordio alla regia di Vincent Gallo: freddo, anomalo, ma infinitamente delicato.
E’ una storia di perdenti, di uomini e donne destinati a rimanere sempre ai margini: niente ricevono dal mondo che hanno attorno, ma tanto avrebbero da dare.
Billy Brown è un ragazzo che ha perso una scommessa sui Buffalo vincenti al Superbowl, ma non ha i soldi per pagarla: gli viene offerta una condanna al carcere da scontare al posto di un altro, per avere risparmiata la vita. Uscito di prigione vuole vendicarsi sul giocatore che ha compromesso la sua vittoria. Ma incontrerà Layla.
Dà un’impressione strana, Buffalo ’66: sembra, in certi momenti, un “diario del fallito” che non potrà che finir male. Non solo Billy è disperato, ma tutti quelli che incontra, da Layla fino a Tonto, passando per i genitori. E inizialmente Gallo non li risparmia. Prende anche un po’ in giro i loro sogni (il padre che canta e Layla che balla al bowling), ma lo fa con una delicatezza inaspettata, in un crescendo di tenerezza mai patetica che porta a un finale “nuovo”: nuovo perché non è il finale che ci aspetteremmo nelle prime scene di solitudine e instabilità.
Buffalo ’66 è il potere dell’immagine , cui i dialoghi fanno solo da contorno. Immagini irreali (saturate in maniera spaventosa, ogni colore tende quasi al bianco!), “incorniciate” (split screen a manciate), sovrapposte (anche troppo), che raccontano molto più di quello che viene detto (basti pensare alla scena del bowling, quando Layla si mette a ballare).
E buffalo ’66 è un esempio di pudore, e allo stesso tempo di violenza: la verosimiglianza senza perdere mai di vista le persone, come se il regista le conoscesse e non volesse infierire.
Non un capolavoro, certamente un ottimo film.
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pep82
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sabato 6 settembre 2008
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poesia in epoca di prosa
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Billy Brown, pur essendo innocente, ha scontato cinque anni di prigione al posto di qualcun altro, ora è libero, ma è rimasto solo sotto la neve, completamente indifeso e vuole uccidere Scott Wood, il giocatore che gli ha fatto perdere la scommessa da cui nascono le sue pene; gli restano i genitori ai quali però non interessa troppo dove si sia cacciato il figlio negli ultimi cinque anni. Lui ha raccontato loro una balla a cui non hanno fatto fatica a credere... Ora Billy ha urgenza di andare in bagno, che trova in una palestra in cui è in corso una lezione di tip-tap. Qui chiama la madre, che insiste per conoscere la moglie, in realtà inesistente, di cui Billy le aveva parlato. Quest'ultimo quindi rapisce Layla, una pienotta ballerina che passava in quel momento davanti a lui e che presenterà come moglie.
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Billy Brown, pur essendo innocente, ha scontato cinque anni di prigione al posto di qualcun altro, ora è libero, ma è rimasto solo sotto la neve, completamente indifeso e vuole uccidere Scott Wood, il giocatore che gli ha fatto perdere la scommessa da cui nascono le sue pene; gli restano i genitori ai quali però non interessa troppo dove si sia cacciato il figlio negli ultimi cinque anni. Lui ha raccontato loro una balla a cui non hanno fatto fatica a credere... Ora Billy ha urgenza di andare in bagno, che trova in una palestra in cui è in corso una lezione di tip-tap. Qui chiama la madre, che insiste per conoscere la moglie, in realtà inesistente, di cui Billy le aveva parlato. Quest'ultimo quindi rapisce Layla, una pienotta ballerina che passava in quel momento davanti a lui e che presenterà come moglie. Ecc, ecc... Buffalo '66 è uno dei film più romantici, eppure non mellifluo, degli ultimi vent'anni. Un modo originalissimo di narrare una "storia d'amore" a fine anni novanta, un inedito approccio ad un tema abusatissimo nel mondo del cinema e perciò non facile da trattare. Vincent Gallo ci riesce. Naturalmente non avrebbe potuto rappresentare una storia d'amore tra due personaggi normali, così disegna due esclusi, due figli degeneri, con dentro però tanto affetto da dare. Billy è un trentenne nevrotico e misogino che non ha mai avuto rapporti con una donna e trascurato dai genitori che lo considerano un perdente. Layla è la donna dei nostri sogni, la Venere fuori tempo, la fatina capace di salvare con la propria pazienza e con il proprio amore il nostro protagonista. Straordinari anche i personaggi di contorno, dall'amico down, Tonto, ai genitori di lui, una stralunata e fanatica tifosa di football, Angelica Houston, ed un assente e schizofrenico Ben Gazzara. La regia si avvale dello split-screen di una pellicola Koadak usurata per saturare al massimo le immagini, di soggettive "in assenza" e di riprese bizzarre ma riuscite, alcune delle quali sono già entrate nella storia del cinema(quella del ballo di tip-tap su Moonchild dei King Crimson, quella delle foto, il bacio sul letto del motel o ancora le sequenze nello strip-bar). Anche la colonna sonora, quasi tutta dello stesso regista, è di alto livello e si adegua bene alle immagini. Infine da sottolineare l'ironia con cui Gallo condisce la vicenda altrimenti, almeno in certi punti, noiosa; un'ironia tenera che alleggerisce parzialmente il personaggio penoso di Billy. Non riesco a capire le remore di certi critici (Farinotti e Morandini) nei confronti di un film quasi perfetto; sarà perchè Vincent Gallo è repubblicano, o perchè è politicamente scorretto, o forse perchè è un vero indipendente e non ha nessun pezzo grosso alle spalle. Fatto sta che Buffalo '66 è pura poesia in un'epoca di prosa.
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mickey!
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sabato 22 gennaio 2011
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la storia di billy
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Paragonabile ad uno di quei racconti brevi che facilmente stuzzicano la curiosità umana, questa è la storia di Billy. Inizialmente sappiamo ben poco della figura infreddolita dagli stivaletti rossi che vaga silenziosamente per lo schermo: egli è appena uscito di prigione e ha estremissima urgenza di andare in bagno. Come scalando un colle, passo dopo passo veniamo a conoscenza dei pezzettini della sua sfortunata esistenza da outsider: per una scommessa maledetta finisce in gattabuia per 5 anni, mentre regala agli occhi dei genitori un presente illusorio che lo vede lavorare per il governo e un matrimonio felice con Wendy Balsam, immagine della storia d’amore che non ha mai vissuto realmente.
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Paragonabile ad uno di quei racconti brevi che facilmente stuzzicano la curiosità umana, questa è la storia di Billy. Inizialmente sappiamo ben poco della figura infreddolita dagli stivaletti rossi che vaga silenziosamente per lo schermo: egli è appena uscito di prigione e ha estremissima urgenza di andare in bagno. Come scalando un colle, passo dopo passo veniamo a conoscenza dei pezzettini della sua sfortunata esistenza da outsider: per una scommessa maledetta finisce in gattabuia per 5 anni, mentre regala agli occhi dei genitori un presente illusorio che lo vede lavorare per il governo e un matrimonio felice con Wendy Balsam, immagine della storia d’amore che non ha mai vissuto realmente. La vicenda narrata si svolge in meno di 24 ore, eppure il tempo concesso dal regista sembra sufficiente da permettere alla dolce malcapitata, Layla, di avvicinarsi al cuore di Billy e di riportare la sua anima all’insorgere della vita. Il sentimento rivendicativo viene soffocato e il portamento fallimentare di quest’uomo brusco e maldestro subisce una metamorfosi rapida e piacevole. Melodie pacate accarezzano ritmicamente sensazioni amare essenzialmente recepite dai violenti e brevi dialoghi e dalle inquadrature sproporzionate: è dunque così che prendiamo coscienza della debole natura di un protagonista freneticamente ripetitivo e insicuro, un uomo che preferisce mantenere lo sguardo basso e il capo incassato nelle fragili spalle che non aspettano altro che essere strette teneramente.
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stefano capasso
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lunedì 8 giugno 2015
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l'amore che guarisce
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Billy esce di prigione senza saper esattamente cosa fare e dove andare. Nutre un vago sentimento di vendetta verso l’ex giocatori di football che col suo errore gli fece perdere tanto denaro da costargli la galera. Incontra Layla, una giovane ragazza che costringe a recitare la parte di sua moglie per poter andare a trovare i suoi genitori. Layla comincia ad affezionarsi a Billy e poco a poco anche lui riesce ad entrare in contatto con lei fino a rinunciare definitivamente ai suoi piani di vendetta.
Bel film questo di Vincent Gallo, una storia che calamita l’attenzione con la semplice narrazione degli eventi. E se per gran parte del film viene raccontata l’angoscia esistenziale di Billy e di Layla nel finale c’è spazio ad emozioni di altra natura.
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Billy esce di prigione senza saper esattamente cosa fare e dove andare. Nutre un vago sentimento di vendetta verso l’ex giocatori di football che col suo errore gli fece perdere tanto denaro da costargli la galera. Incontra Layla, una giovane ragazza che costringe a recitare la parte di sua moglie per poter andare a trovare i suoi genitori. Layla comincia ad affezionarsi a Billy e poco a poco anche lui riesce ad entrare in contatto con lei fino a rinunciare definitivamente ai suoi piani di vendetta.
Bel film questo di Vincent Gallo, una storia che calamita l’attenzione con la semplice narrazione degli eventi. E se per gran parte del film viene raccontata l’angoscia esistenziale di Billy e di Layla nel finale c’è spazio ad emozioni di altra natura. La perseveranza di lei nell’accettare lui cosi come è diventa una grande occasione di riparazione di vecchie ferite mai sanate. E per entrambi c’è spazio per una nuova vita. Molto interessante e congruente l’uso della macchina da presa, davvero insolito e che descrive esattamente il senso di instabilità e incompletezza dei protagonisti
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francesco2
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giovedì 28 febbraio 2013
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se l'autoreferenzialità non è solo nostra(na)
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Al cinema italiano (si) rimprover(i)a(mo), con una certa frequenza di avere accentuato -Almeno a partire dagli anni '80- un'autoreferenzialità di fondo, complice anche- E soprattutto- l'assenza di grandi autori, eccetto la vecchia guardia, e col dilagare dei vari Pierini, gli unici fenomeni a stelle e strisce che riempissero i botteghini. Ma al di là dell'antiamericanismo che a volte investe anche la sfera cinematografica, non sempre -Ma a volte sì- sembriamo interrogarci sull'inconsistenza, persino forse un pò pretenziosa, di certe produzioni statunitensi.
L'opera prima di Gallo, nonostante il fascino visivo che lasciano trapelare certe immagini, sembrerebbe autoinserirsi in questa tendenza.
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Al cinema italiano (si) rimprover(i)a(mo), con una certa frequenza di avere accentuato -Almeno a partire dagli anni '80- un'autoreferenzialità di fondo, complice anche- E soprattutto- l'assenza di grandi autori, eccetto la vecchia guardia, e col dilagare dei vari Pierini, gli unici fenomeni a stelle e strisce che riempissero i botteghini. Ma al di là dell'antiamericanismo che a volte investe anche la sfera cinematografica, non sempre -Ma a volte sì- sembriamo interrogarci sull'inconsistenza, persino forse un pò pretenziosa, di certe produzioni statunitensi.
L'opera prima di Gallo, nonostante il fascino visivo che lasciano trapelare certe immagini, sembrerebbe autoinserirsi in questa tendenza. Il messaggio, certo, non è stoltamente ottimistico, e questo non è neanche poco; ma il quado familiare che dipinge, l'incontro col personaggio della Ricci e quello, fugacisimo, con una vecchia fiamma interpretata dalla più grande delle sorelle Arquette, ed il rapporto-Appena abbozzato, ed anche maluccio- con il macchiettistico personaggio ciccione, richiamano il peggiore Jim Jarmusch, una voglia più o meno consapevole -Pensiamo- di imitare, ma senza lasciar traccia, i fratelli Coen, etc.
Ma volendo essere più cattivi, si avverte nel personaggio un vittimismo di fondo che potrebbe essere quellodello stesso Gallo. E'vero che non costruisce certo il suo personaggio come un santo, anzi; ma è come se il suo disagio finisse per rappresentare quello dello stesso regista, che rischia di girare -Nel senso letterale e metaforico!_ un tantino a vuoto, senza trovare però una strada vera, se non nel già menzionato finale. Ma , è chiaro, questa -In ogni caso- è solo la sua opera prima.
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