Il film disegna un ritratto amaro e realistico della Germania nazista di Hitler attraverso gli occhi di un gruppo di giovani ribelli, gli Swing Kids, accomunati dalla passione per la musica scatenata proveniente dall’America; mentre loro amano suonarla, ascoltarla e ballare sul suo ritmo travolgente, il governo ne vieta la diffusione per l’origine ebraica ed afroamericana degli artisti che la producono. I giovani protagonisti saranno costretti a crescere in fretta, in una società che muta rapidamente e non lascia il tempo per riflettere: passeranno gradatamente dalla spensieratezza del ballo e dei primi amori alla consapevolezza di una realtà dove non c’è posto per la musica e neppure per la tolleranza.
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Il film disegna un ritratto amaro e realistico della Germania nazista di Hitler attraverso gli occhi di un gruppo di giovani ribelli, gli Swing Kids, accomunati dalla passione per la musica scatenata proveniente dall’America; mentre loro amano suonarla, ascoltarla e ballare sul suo ritmo travolgente, il governo ne vieta la diffusione per l’origine ebraica ed afroamericana degli artisti che la producono. I giovani protagonisti saranno costretti a crescere in fretta, in una società che muta rapidamente e non lascia il tempo per riflettere: passeranno gradatamente dalla spensieratezza del ballo e dei primi amori alla consapevolezza di una realtà dove non c’è posto per la musica e neppure per la tolleranza.
Il passaggio all’età adulta non sarà indolore e metterà a dura prova la loro amicizia quando, di fronte alle scelte imposte dalla vita e dalle loro coscienze, prenderanno strade diverse: Arvid sceglierà il suicidio come via di fuga da una realtà che non può accettare né cambiare, Thomas subirà il fascino della propaganda, arruolandosi nella Gioventù Hitleriana e arrivando a denunciare il proprio padre, mentre Peter, dopo un doloroso percorso di riflessione interiore, sceglierà di ribellarsi al fanatismo dominante a prezzo della propria libertà. Solo alla fine, di fronte al coraggio dell’amico Peter, Thomas sembrerà aprire gli occhi e trovare la forza di rivoltarsi alla divisa che indossa.
Quello che preme al regista non è tanto raccontare la tragedia degli ebrei, quanto descrivere i mutamenti della società tedesca per effetto della propaganda nazional socialista, e le reazioni del popolo germanico, spettatore spesso inconsapevole di questi cambiamenti graduali, a volte impercettibili ma irreversibili.
Persecuzioni e campi di sterminio non appaiono mai direttamente, ma il loro spettro si aggira silenzioso nelle stelle di David dipinte sui portoni, fino a materializzarsi in tutta la sua disumanità nella scena più cruda di tutto il film, quando Peter è incaricato di consegnare ad una donna ebrea un pacchetto, di cui ignora il contenuto, e scopre con raccapriccio che all’interno vi sono le ceneri del marito.
Il film si avvale di un’accurata ricostruzione storica dell’epoca, accentuata dalla cura di costumi e scenografie, e sottolineata da una suggestiva fotografia seppiata in cui si inseriscono spezzoni di filmati originali in bianco e nero.
Nei ruoli principali troviamo Robert Sean Leonard, reduce dal successo de L’attimo fuggente e Christian Bale, che all’epoca non aveva nemmeno vent’anni. A loro si aggiunge il meno conosciuto, ma incisivo, Frank Whaley, nel ruolo dell’amico suicida. Tutti e tre sono stati nominati per questo film come migliori giovani talenti.
Non accreditato, Kenneth Branagh interpreta il comandante della Gestapo, con una recitazione per lui insolitamente misurata, che rende il suo personaggio forse meno credibile ma sicuramente più umano.
Pur essendo indiscutibilmente un dramma, i toni sono volutamente smorzati, senza mai scendere nel sentimentalismo né tanto meno nel patetico, neppure nella scena del suicidio, mostrato con pudore ed estrema delicatezza.
Ne deriva una pellicola che non colpisce allo stomaco come Schindler’s list, ma che comunque commuove e fa riflettere.
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