gianni lucini
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domenica 22 gennaio 2012
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un film da rivalutare
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Giancarlo Santi ha lavorato con Sergio Leone e si vede dal taglio delle inquadrature e dalle gestione di questo giallo psicologico ambientato sulla frontiera. Interessante, pur se non nuovo nel western all’italiana nel 1973, l’utilizzo del bianco e nero nei flashback. In qualche passaggio ricorda l’incedere di “L'uomo che uccise Liberty Valance” di John Ford mentre Lee Van Cleef, impeccabile come al solito, per caratterizzare il suo personaggio sembra attingere più al Corbett de “La resa dei conti” che al leoniano Mortimer di “Per qualche dollaro in più”. Il suo amico-antagonista è una sorta di hippie che, come il Cuchillo de “La resa dei conti” usa più la furbizia e l’agilità della pistola.
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Giancarlo Santi ha lavorato con Sergio Leone e si vede dal taglio delle inquadrature e dalle gestione di questo giallo psicologico ambientato sulla frontiera. Interessante, pur se non nuovo nel western all’italiana nel 1973, l’utilizzo del bianco e nero nei flashback. In qualche passaggio ricorda l’incedere di “L'uomo che uccise Liberty Valance” di John Ford mentre Lee Van Cleef, impeccabile come al solito, per caratterizzare il suo personaggio sembra attingere più al Corbett de “La resa dei conti” che al leoniano Mortimer di “Per qualche dollaro in più”. Il suo amico-antagonista è una sorta di hippie che, come il Cuchillo de “La resa dei conti” usa più la furbizia e l’agilità della pistola. Il suo interprete è Peter O’ Brien, uno pseudonimo dietro al quale si nasconde il futuro e affermato giornalista Alberto Dentice. Efficaci le musiche di Luis Enriquez Bacalov, riprese poi da Tarantino per il suo “Kill Bill – Vol. 1”. Quando arriva nelle sale viene accolto piuttosto tiepidamente dal pubblico, complice il fatto che il western all’italiana è ormai entrato nella sua fase conclusiva. Tra i personaggi meno interessanti anche ai fini della storia c’è quello della promessa sposa di uno dei cattivi Saxon, interpretato dalla viscontiana Dominique Darel. Con il passare degli anni il film, grazie forse anche ai giudizi positivi del solito Quentin Tarantino, è stato rivalutato dalla critica e dal pubblico tanto da essere inserito nella sezione celebrativa del western all’italiana della 64ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia
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fresno1606
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giovedì 25 agosto 2011
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innovativo, con delle grandi pecche
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Il grande duello è un film che risente certamente dei tempi che cambiano e che si spostano verso un modo molto più "moderno" (nella sua accezione negativa: un altro termine, forse più efficace, potrebbe essere "tamarro") di girare i film: salti ed acrobazie improbabili (si possono capire certamente in un film di Spencer e Hill, non certo in un film del genere, con un veterano come Lee Van Cleef che, nonostante già nella fase calante della sua carriera, mantiene il suo fare "cattivo" che avrebbe meritato di essere inserito all'interno di una migliore atmosfera, meno "giocherellona" di quanto non sia la prima parte di questo film); inutili nudi femminili, seppur brevi, che non aggiungono nulla di sensuale al film, ma che anzi tolgono una delle poche caratteristiche che i film western (all'italiana e non) dovrebbero mantenere, cioè una certa rudezza, senza romanticismi, se non molto delicati, e senza passione nè volgarità (ma si sa, è questo è un western all'italiana, e da buoni italiani non ci smentiamo mai).
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Il grande duello è un film che risente certamente dei tempi che cambiano e che si spostano verso un modo molto più "moderno" (nella sua accezione negativa: un altro termine, forse più efficace, potrebbe essere "tamarro") di girare i film: salti ed acrobazie improbabili (si possono capire certamente in un film di Spencer e Hill, non certo in un film del genere, con un veterano come Lee Van Cleef che, nonostante già nella fase calante della sua carriera, mantiene il suo fare "cattivo" che avrebbe meritato di essere inserito all'interno di una migliore atmosfera, meno "giocherellona" di quanto non sia la prima parte di questo film); inutili nudi femminili, seppur brevi, che non aggiungono nulla di sensuale al film, ma che anzi tolgono una delle poche caratteristiche che i film western (all'italiana e non) dovrebbero mantenere, cioè una certa rudezza, senza romanticismi, se non molto delicati, e senza passione nè volgarità (ma si sa, è questo è un western all'italiana, e da buoni italiani non ci smentiamo mai). Ad ogni modo, dopo un inizio veramente pessimo, il film decolla, aumenta di spessore, Peter O'Brien quando non fa il "deficiente" - nel suo ruolo s'intende - si dimostra un buon interprete del suo personaggio nella sua sfumatura più drammatica; Lee Van Cleef è una garanzia; degna di nota è pure l'interpretazione di Klaus Grünberg, perfetto nel ruolo dell'omosessuale Adam Saxon, femminuccia e spietato allo stesso tempo. Per quanto riguarda la regia, è inutile che si ripeta che c'è una presenza fortissima dello stile di Sergio Leone, con tutto ciò che ne deriva: ci assomiglia ma non raggiunge gli stessi effetti del maestro romano. Di particolare effetto la scena in cui Wermeer (Peter O'Brien) leva improvvisamente un telo da un carro su cui sono stati caricati molti cadaveri di innocenti sterminati dai Saxon, con la telecamera che fulminea si concentra sulla carcassa di una bimba bionda trucidata. In conclusione, il film si può considerare positivo, innovativo (manca l'eroe, ha una sfumatura poliziesca, fa da ponte - nel bene e nel male - tra i "vecchi" e i "nuovi" western), ma con gravi pecche soprattutto nella parte iniziale. I nostalgici dei grandi spaghetti-western non sono certamente nostalgici di questo film, complessivamente discreto ma non indimenticabile, se non per la strepitosa colonna sonora.
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