gianleo67
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lunedì 29 settembre 2014
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un 'ritratto di d.gray'...dalle parti di manhattan
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Pittore spiantato conduce una vita grigia e malinconica, non ostante l'incoraggiamento e l'aiuto tanto dell'anziana direttrice di una galleria d'arte quanto di un suo spigliato e gioviale amico di lunga data. L'incontro con la giovanissima Jennie, figlia di una coppia di trapezisti tragicamente deceduti, inizia a poco a poco a convincerlo della presenza di un sottile e indecifrabile legame che lo lega a lei e che sembra superare le barriere del tempo e dello spazio, rivelando la forza di un sentimento amoroso che rifulge nello splendore del ritratto che, nelle diverse occasioni, riuscirà a fare della misteriosa ragazza.
Sulla sottile linea di demarcazione tra sogno e realtà, tra immaginazione e ispirazione, tra predestinazione e suggestione, si muove questo melodrammatico 'Ritratto di Dorian Gray' che l'immigrato tedesco William Dieterle fa della moglie del produttore David O.
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Pittore spiantato conduce una vita grigia e malinconica, non ostante l'incoraggiamento e l'aiuto tanto dell'anziana direttrice di una galleria d'arte quanto di un suo spigliato e gioviale amico di lunga data. L'incontro con la giovanissima Jennie, figlia di una coppia di trapezisti tragicamente deceduti, inizia a poco a poco a convincerlo della presenza di un sottile e indecifrabile legame che lo lega a lei e che sembra superare le barriere del tempo e dello spazio, rivelando la forza di un sentimento amoroso che rifulge nello splendore del ritratto che, nelle diverse occasioni, riuscirà a fare della misteriosa ragazza.
Sulla sottile linea di demarcazione tra sogno e realtà, tra immaginazione e ispirazione, tra predestinazione e suggestione, si muove questo melodrammatico 'Ritratto di Dorian Gray' che l'immigrato tedesco William Dieterle fa della moglie del produttore David O. Selznick con l'amichevole (amorevole) partecipazione di un quanto mai tenebroso e romantico Joseph Cotten, già ambiguo protagonista,sempre sotto l'egida del magnate hollywoodiano, de 'L'ombra del dubbio' di un altro illustre immigrato di nome Alfred Hitchcock. La già consolidata tradizione del cinema fantastico americano trova qui una declinazione nella parabola sentimentale di un uomo alla deriva che rinviene il segreto della vita nelle insospettabili qualità della sua arte, quale paradigma e archetipo degli indecifrabili misteri dell'esistenza (la vita,la morte, l'amore) ed allo stesso tempo quale mistica sublimazione del valore senza tempo che la stessa arte (quella figurativa come quella cinematografica) sembra conferire alla vita. Benchè le digressioni temporali e la circolarità del racconto rimandino al didascalismo esemplare del cinema di Capra, la cifra più qualificante di questo dramma allegorico risiede piuttosto nelle atmosfere trasognate e brumose di una New York da cartolina illustrata, splendidamente fotografata nel chiaroscuro di Joseph H. August, tra le panchine di Central Park e la Skyline di Manhattan, quale sfondo e richiamo per le suggestioni di un delicato e sfumato ritratto interiore, al di là delle convenzioni e del buonismo di una storia d'amore che strizza l'occhio tanto agli eccessi melensi del melodramma quanto al simbolismo a buon mercato già preannunciate nelle citazioni dei titoli di testa (da Euripide a Keats). A ciò contribuiscono le indubbie qualità degli interpreti e dove al languido disincanto del bravo Cotten fanno da contraltare tanto la magnetica solarità della bella Jones quanto il carisma scenico della navigata Ethel Barrymore. Tra le curiosità di un'opera tutto sommato convenzionale come questa vanno annoverati alcuni bizzarri tentativi cromatici (dagli effetti serigrafici di alcune scene iniziali alle colorazioni nel finale: dal cobalto della tempesta al carminio della bonaccia, fino alla policromia della scena finale) e gli spunti inusuali di un chiaro riferimento alle tradizioni nostalgiche ed alla cultura cattolica degli immigrati irlandesi trapiantati nel Nuovo Mondo della libertà e del protestantesimo. Oscar per gli effetti speciali e premio internazionale quale miglior interprete per Cotten al Festival di Venezia del 1949.
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ralphscott
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sabato 28 maggio 2011
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amore eterno
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Pellicola di grande fascino,magia e,volendo,di riflessione sul tempo e la sua relatività. Dieterle firma un sogno d'amore lasciando la sua personalissima impronta,dalle immagini come tele di un dipinto alle nubi e le brume vere co-protagoniste. Sul finale si sbizzarrisce anche in un acido colore che davvero contrasta con il soave b/n dominante. Ethel Barrymore cavallo di razza dagli occhi magici,come pure Cotten dichiara. Film che ho sempre amato,forse un capolavoro,ma talmente delicato che c'é quasi da temere a definirlo tale. Mi porta alla mente "Gli amanti di Venezia",altra perla sull'amore insondabile e senza tempo
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mondolariano
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lunedì 23 maggio 2011
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antiche rimembranze
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Un candido Joseph Cotten alle prese con una storia d’amore e di fantasmi, dove l’elemento ghost sembra un sogno che vive nell’immaginazione del protagonista. Tanti i momenti di poesia: le nuvole che compongono il cielo di una vecchia New York in bianco-nero, quale sfondo bohemien di un artista in cerca di fortuna; le musiche che rievocano antiche rimembranze, come il coro del convento e la canzone cantata dalla bambina; la stessa bambina che ha gli occhi tristi di Jennifer Jones, già interprete di “Bernadette” e non nuova agli ambienti di un monastero. Nella seconda parte il film si sdoppia, col viaggio per mare e la tempesta sull’isola, coronata da un’onda di maremoto di discreto effetto scenografico.
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Un candido Joseph Cotten alle prese con una storia d’amore e di fantasmi, dove l’elemento ghost sembra un sogno che vive nell’immaginazione del protagonista. Tanti i momenti di poesia: le nuvole che compongono il cielo di una vecchia New York in bianco-nero, quale sfondo bohemien di un artista in cerca di fortuna; le musiche che rievocano antiche rimembranze, come il coro del convento e la canzone cantata dalla bambina; la stessa bambina che ha gli occhi tristi di Jennifer Jones, già interprete di “Bernadette” e non nuova agli ambienti di un monastero. Nella seconda parte il film si sdoppia, col viaggio per mare e la tempesta sull’isola, coronata da un’onda di maremoto di discreto effetto scenografico. Non si capisce perché la ragazza si avventuri su una barchetta in mezzo all’uragano, ma per fortuna l’intervento del pittore non cambia il suo destino e il fascino del sogno resta tale; salvarla sarebbe stata una forzatura.
Il ritratto è troppo matronale per assomigliare al volto fanciullesco della Jones. Colonna sonora dominata da “Nuages” di Debussy. Per indoli sensibili. Tre stelle e mezzo.
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bergheil
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mercoledì 6 febbraio 2008
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un bel ricordo dell'infanzia
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L'ho visto da ragazzo, avro' avuto 10-12 anni, mi si è impresso nei ricordi come qualcosa di indelebile, ancora non lo rivedo, magari non mi piace piu' ma conservo un bel ricordo.
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michel
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venerdì 14 dicembre 2007
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la vita appassionata di un fantasma
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Un pittore mediocre incontra il fantasma di una donna morta dieci anni prima. La sua arte e la sua vita ne saranno illuminate. Improbabile pastiche dalle pretese artistiche, fantasticheria magniloquente, romanticheria kitsch, “Il ritratto di Jenny” è un prodotto velleitario del quale si può sorridere ma che si lascia guardare proprio in virtù della sua sconsideratezza barocca.
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lucy
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venerdì 17 novembre 2006
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prezioso
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