fabiofeli
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lunedì 24 giugno 2019
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"detertutto"
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Alessandro e Pietro sono due ragazzi sui 18 anni che vivono a Napoli nel quartiere Traiano; hanno una amicizia fraterna grazie al fatto che vogliono entrambi vivere onestamente del loro lavoro. Sono convinti che essere malavitosi può condurli solo ad una brutta fine. Alessandro lavora come cameriere di un bar, mentre Pietro cerca inutilmente lavoro come parrucchiere e sfoga la sua frustrazione nel cibo. 4 o 5 anni fa un loro caro amico e coetaneo, Davide, è stato ucciso da un colpo di pistola mentre girava in motorino con gli amici. Il carabiniere che ha sparato ha dichiarato che il colpo era partito accidentalmente. A questo ragazzo è dedicata la pellicola …
Il film è ripreso quasi totalmente come se i protagonisti stessero a farsi un selfie con uno smartphone.
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Alessandro e Pietro sono due ragazzi sui 18 anni che vivono a Napoli nel quartiere Traiano; hanno una amicizia fraterna grazie al fatto che vogliono entrambi vivere onestamente del loro lavoro. Sono convinti che essere malavitosi può condurli solo ad una brutta fine. Alessandro lavora come cameriere di un bar, mentre Pietro cerca inutilmente lavoro come parrucchiere e sfoga la sua frustrazione nel cibo. 4 o 5 anni fa un loro caro amico e coetaneo, Davide, è stato ucciso da un colpo di pistola mentre girava in motorino con gli amici. Il carabiniere che ha sparato ha dichiarato che il colpo era partito accidentalmente. A questo ragazzo è dedicata la pellicola …
Il film è ripreso quasi totalmente come se i protagonisti stessero a farsi un selfie con uno smartphone. Alessandro e Pietro raccontano la loro vita e quella del loro amico Davide che sognava di diventare calciatore. Riprendono le loro giornate insieme. Intessono una serie di interviste a ragazze 16enni che si chiedono cosa farebbero se si innamorassero di un camorrista arrestato, a bambini di 10-12 anni che vorrebbero un paio di sigarette per la loro “prestazione filmica”, ad altri ragazzi del quartiere o al padre dell’amico ucciso. Le interviste fatte guardando “in macchina” le ha inventate Jean-Luc Godard ne La Chinoise; anche qui non hanno mai il sapore dell’artefatto. Ne esce un racconto spezzettato e vivace condito dall’espressivo ed ironico dialetto napoletano (sottotitolato): risate e momenti dolorosi e intensi. I protagonisti si interrogano su se stessi e si guardano nel loro ambiente e altrove. Sanno già che non potranno mai avere una casa a Posillipo; sanno che il rione Traiano ha cose belle (poche) e cose brutte (troppe). Alessandro in via Leopardi dove c’è il monumento al Poeta de L’infinito si filma paragonandosi a lui sull’ermo colle: i muri delle case di Traiano sono come la siepe che tanta parte dell’orizzonte il guardo esclude ed il suo quartiere vive lì dietro con tutto il male (camorra, spaccio di stupefacenti, delinquenza diffusa) e anche il possibile bene (le mille “criature” che giocano, e lì non sei mai solo come nella canzone Napule è di Pino Daniele). Ferrente filma tutto il suo materiale in apparenza come distaccato documentarista, ma si intuisce il suo grande lavoro di montaggio nelle perle cinematografiche che inanella: ad esempio i protagonisti spariscono nel buio di una porta che si chiude alle loro spalle ed i due riappaiono sul vespone mentre girano nella notte napoletana; Pietro scopre il valore del lavoro di cura della casa, sempre sulle spalle delle donne; Pietro va a trovare la nonna; i due amici fanno il verso ai registi dei sequel in scatola sulle mafie; i filmati d’epoca del funerale di Davide guardati da Alessandro con il padre del ragazzo morto; la bellissima sequenza di sapore onirico di Alessandro, che sta sul motorino girato in senso contrario al procedere del mezzo e racconta la sua giornata a suo padre (non sappiamo se questi è morto o in carcere o se si è fatto un’altra famiglia). E se l’insegna di un negozio di Traiano è “Detertutto”, non arrabbiatevi: la creatività al peperoncino del negoziante che vende detersivi di ogni genere non guasta il sapore di un Cinema pieno di buon sentire che non cade mai nell’artefatto e nel didascalico: un fenomeno raro ai confini del capolavoro.
Da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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mauridal
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venerdì 7 giugno 2019
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un selfie al dio minore
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Quando si vede un film come questo dal palese intento di rappresentare la realtà così come si ritrova nella vita di persone o nelle strade o nelle case di una metropoli in periferie segnate da tragedie e destini infami, allora la definizione di genere, docufilm, per poterne parlare , è restrittivo e limitante.
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Quando si vede un film come questo dal palese intento di rappresentare la realtà così come si ritrova nella vita di persone o nelle strade o nelle case di una metropoli in periferie segnate da tragedie e destini infami, allora la definizione di genere, docufilm, per poterne parlare , è restrittivo e limitante. Questo film di Ferrente è un vero film realistico dal linguaggio crudo e diretto come il miglior realismo italiano ha saputo fare nel cinema. Quindi è doveroso sottolineare lo sforzo del regista di rapportarsi alla comunicazione con i giovani e giovanissimi. Dunque la proposta cinematografica , si adegua a tale sforzo. In tal senso si comprende la scelta di utilizzare un cell come strumento di ripresa video e addirittura girare tutto il film o quasi con la modalità selfie che viene ormai ampiamente usata da tutti , per rappresentarsi ma in particolare dai giovanissimi. Quindi un plauso alla scelta del regista , che pur esiste nel film con la scelta di adottare un linguaggio visivo adeguato alla cultura contemporanea . Intanto il regista è presente anche nella resa finale del film pur se in forma differente dalla regia tradizionale. Infatti gli stessi protagonisti diventano attori e registi del film anzi nei dialoghi si auto definiscono registi ,fanno i registi, si chiamano tra loro, registi , come un nomignolo uno sfottò trattandosi di ragazzi di quartieri e di rioni popolari in cui tra malavita, devianza e descolarizzazione , il mestiere di regia cinematografica è un sogno sconosciuto. Tuttavia Agostino Ferrente, Regista , decide di regalare l’opportunità proprio di essere registi di un racconto per immagini video a due giovani ancora minorenni ma con una storia di vita sulle spalle, opportunità subito presa e interpretata come una possibilità di riscatto addirittura come alternativa a una possibile vita lontana dalla presenza e connivenza malavitosa, Creatività ,impegno, questo film potrebbe indicare per queste generazioni senza grandi speranze una via da percorrere , una scelta di vita migliore a dispetto dei quartieri di nascita dove le ragazze intervistate parlano di rassegnazione a destini infausti loro segnati per una sorte avversa. Ma i due protagonisti amici fraterni e compari nella buona e cattiva sorte hanno una missione, con i loro selfie vogliono ricordare un terzo amico loro coetaneo, il Davide, noto caso di cronaca ,ragazzo innocente ucciso per errore dalle forze dell’ordine . Ancora un destino infame a cui i due protagonisti attraverso i selfie si ribellano interpretando se stessi ma anche tutti altri, tutti uniti da una sola condizione di subalterna possibilità di una vita migliore. Un film che si distingue dagli altri per il taglio realista e di impietoso verismo , forse importante esperienza per il futuro cinema italiano di impegno nel sociale. (mauridal)
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(di fabiofeli)
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stefano capasso
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lunedì 2 marzo 2020
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cinema di formazione
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Selfie è un documentario di Agostino Ferrente centrato sulla figura di due sedicenni del rione Traiano di Napoli, Alessandro e Pietro. L’idea di partenza è di affidare a loro la narrazione di un fatto di cronaca accaduto nel 2014 proprio nel rione, quando Davide Bifolco, anche lui sedicenne, veniva ucciso per errore da un carabiniere che lo aveva scambiato per un latitante. Ferrente fa una serie di provini prima di scegliere i due amici, ed alcuni di questi diventano parte della narrazione, cosi come le immagini delle telecamere di sorveglianza del quartiere che, periodicamente sono utili a contestualizzare il racconto. Ai due ragazzi viene fornite un iphone e una breve formazione sull’uso in termini cinematografici e il loro racconto dell’episodio diventa anche la narrazione del territorio e soprattutto di sè stessi, dal momento che il dispositivo è quello del selfie, il telefono inquadra sempre l’utilizzatore.
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Selfie è un documentario di Agostino Ferrente centrato sulla figura di due sedicenni del rione Traiano di Napoli, Alessandro e Pietro. L’idea di partenza è di affidare a loro la narrazione di un fatto di cronaca accaduto nel 2014 proprio nel rione, quando Davide Bifolco, anche lui sedicenne, veniva ucciso per errore da un carabiniere che lo aveva scambiato per un latitante. Ferrente fa una serie di provini prima di scegliere i due amici, ed alcuni di questi diventano parte della narrazione, cosi come le immagini delle telecamere di sorveglianza del quartiere che, periodicamente sono utili a contestualizzare il racconto. Ai due ragazzi viene fornite un iphone e una breve formazione sull’uso in termini cinematografici e il loro racconto dell’episodio diventa anche la narrazione del territorio e soprattutto di sè stessi, dal momento che il dispositivo è quello del selfie, il telefono inquadra sempre l’utilizzatore. Durante l’arco di qualche mese i due hanno modo di migliorare la loro capacità narrativa anche in termini di tecniche di ripresa, e guardare la realtà in cui vivono con occhi diversi. Questo è forse il punto più importante del progetto, l’idea che questo racconto possa diventare un momento formativo per i protagonisti: la possibilità di vivere da “registi” il loro quartiere e quindi poter mettere una distanza dal vissuto quotidiano permette loro di vedere la loro quotidianità da un punto di vista diverso e con occhi diversi.
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ennio
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venerdì 8 gennaio 2021
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avercene dei selfie così
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"Selfie" è uno dei migliori film-documentario visti di recente. Tutto è molto realistico nella vita e nelle vicende dei due ragazzi del rione Traiano a Napoli, e nelle decine di personaggi con cui condividono luoghi e giornate. Dalla passione per la pistola come simbolo di possibile riscatto sociale. All'attenzione-dipendenza quasi ossessiva per il proprio aspetto fisico (ma non si dica che è così solo per i giovani d'oggi, era così anche decenni fa). Dalla disillusa consapevolezza, già in giovanissima età, che difficilmente ragazzi come loro ce la faranno ad uscire dal "recinto" del quartiere. L'unica alternativa è sperare di "faticare" (lavorare) in modo onesto, oppure chi lo sa.
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"Selfie" è uno dei migliori film-documentario visti di recente. Tutto è molto realistico nella vita e nelle vicende dei due ragazzi del rione Traiano a Napoli, e nelle decine di personaggi con cui condividono luoghi e giornate. Dalla passione per la pistola come simbolo di possibile riscatto sociale. All'attenzione-dipendenza quasi ossessiva per il proprio aspetto fisico (ma non si dica che è così solo per i giovani d'oggi, era così anche decenni fa). Dalla disillusa consapevolezza, già in giovanissima età, che difficilmente ragazzi come loro ce la faranno ad uscire dal "recinto" del quartiere. L'unica alternativa è sperare di "faticare" (lavorare) in modo onesto, oppure chi lo sa.
Non c'è dubbio, l'uso di telefonini o videocamere per l'autoripresa conferisce al documentarismo odierno quel tocco di realismo carnale in più, quella mancanza di preamboli, anticamere e paesaggi preparati, che dà allo spettatore l'impressione di qualcosa di molto più vivo, fossero anche le situazioni quotidiane più banali.
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