Alla fine, Macchine Mortali è una grande disfasia tra le intenzioni e il risultato.
Di fatto, la grandeur si risolve tutta nell’impianto visivo.
Le enormi città cingolate che ingoiano le piccole hanno un grande fascino, sia concettuale che estetico, e le sequenze di inseguimento risultano una riuscita e parossisitica versione larger than life di Mad Max. Tutto il resto, però arranca.
La storia è raccontata con freddezza e distacco, popolata di personaggi adeguati al contesto.
In un panorama del genere, l’affastellarsi di citazioni e rimandi (Star Wars e la Morte Nera su tutti) diventa meccanico e un po’ gratuito.
Quando funziona, il film lo fa solo a livello visivo, effettistico, ma anche, fino a un certo punto, registico.
Rimane il solito film apocalittico basato su una sorta di teoria di darwinismo urbano senza infamia e senza lode corredato dalla nascente storia d’amore tra i due protagonisti.
Con lei, bella e vendicativa, che non si fida di nessuno e che poi lentamente si apre e impara ad amare. Come nei copioni più classici e canonici.
Insomma nulla di nuovo all’orizzonte delle macchine mortali dove il mondo cambia, ma l’umanità resta sempre la stessa.
La sceneggiatura finisce per essere proprio l’elemento più debole del film, banale nelle premesse e prevedibile negli sviluppi, nonché affetta da diverse incongruenze e del tutto priva di ambizioni. Stupisce che in una pellicola meccanica quanto le macchine che la popolano, le uniche emozioni vere arrivino nelle sequenze che hanno per protagonista un essere senza cuore, metà robot e metà cadavere.
Perfetto per una serata di svago all’insegna dell’avventura, soprattutto se si è amanti del genere, ha il pregio di non essere uno young adult come molti temevano visti i due giovani protagonisti, ma se cercate un film di spessore, che utilizzi un genere cinematografico per riflettere sul presente e sul futuro, dovrete guardare altrove.
Macchine Mortali è un buon prodotto d’intrattenimento, superficiale, ma ben confezionato.
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