samanta
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martedì 18 dicembre 2018
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lo spirito di tolkien ...
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Il film che è in questi giorni nelle sale italiane è stato al momento un notevole insucesso commerciale con un mediocre riscontro critico, ma a me è sembrato uno spettacolo non solo interessante ma anche più che buono.
La trama si svolge in un futuro apocalittico (circa il 3100) dopo che una guerra ha distrutto gran parte dell'umanità e sconvolto i continenti. Nella "grande terra" (Inghilterra e Europa) sopravvivono le così dette "città trazioniste" sono città mobili, la più grande è l'immensa Londra, in cui la filosofia è il "darvinismo urbano" un rigido sistema di classi in cui gli evoluti sono la classe dirigente e quelli considerati meno evoluti la "bassa forza", è una città predatrice che vive catturando e predando le altre città mobili e vivendo delle risorse che riesce a rapinare.
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Il film che è in questi giorni nelle sale italiane è stato al momento un notevole insucesso commerciale con un mediocre riscontro critico, ma a me è sembrato uno spettacolo non solo interessante ma anche più che buono.
La trama si svolge in un futuro apocalittico (circa il 3100) dopo che una guerra ha distrutto gran parte dell'umanità e sconvolto i continenti. Nella "grande terra" (Inghilterra e Europa) sopravvivono le così dette "città trazioniste" sono città mobili, la più grande è l'immensa Londra, in cui la filosofia è il "darvinismo urbano" un rigido sistema di classi in cui gli evoluti sono la classe dirigente e quelli considerati meno evoluti la "bassa forza", è una città predatrice che vive catturando e predando le altre città mobili e vivendo delle risorse che riesce a rapinare. Il nemico sono gli stazionisti che vivono in Asia al riparo di un 'immensa muraglia che vivono pacificamente delle risorse della terra. Londra è diretta da Valentine (Hugo Weawing, Re Elrond ne Il Signore degli anelli), un ingegnere che sotto un apparente equilibrio vuole creare un futuro di conquiste e di guerra. In questo quadro si situano le vicende di Tom (Robert Sheehan un attore irlandese alle prime armi) che lavora al Museo della Città come storico e di Hester (Hera Hilmar attrice islandese più nota in TV) che vuole uccidere Valentine per vendicare la morte della madre, non racconto la trama ma il finale sarà positivo, ovviamente ci sono numerosi altri personaggi. La regia è di Christian Rivers (Oscar per gli effetti speciali per King Kong) alla sua prima regia, storyboard di Peter Jackson che è coproduttore e cosceneggiatore oltre che pare abbia diretto alcune scene di guerra. Jackson è non solo il regista del Signore degli anelli ma un tolkienano, che ha letto e riletto fin da bambino la trilogia di Tolkien e le sue opere, come si evidenzia nella versione integrale in cui appaiono stralci di altre opere di Tolkien. Nel film alcune scene riecheggiano il film di Jackson ad esempio l'arringa alla guerra di Valentine (ricordate l'appello di Saruman alla guerra contro gli uomini?) o il mondo degli stazionisti che appare come la Contea solo con Hobbit più alti che vogliono vivere in pace e per i quali la guerra è solo l'extrema ratio, sono presenti alcuni temi di Tolkien: come l'avversione per le macchine e l'industrializzazione. Ci sono anche reminiscenze di Star Wars, come la battaglia finale presa dall'attacco dei ribelli contro la "morte nera". Il film ha difetti: la mediocrità della recitazione, l'inesperienza del regista, che si nota nell'affannarsi delle scene. .Peraltro la trama appare originale, interessante non solo per l'idea delle città mobili ma anche l'accenno al darwinismo visto come un rigido razzismo accettato per amore della scienza, gli effetti speciali sono poi eccellenti, il film dura due ore, ma non c'é un momento in cui cali l'interesse e lo spettatore non sia coinvolto dalle scene. In conclusione un buon spettacolo.
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felicity
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mercoledì 4 marzo 2020
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nulla di nuovo all'orizzonte
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Alla fine, Macchine Mortali è una grande disfasia tra le intenzioni e il risultato.
Di fatto, la grandeur si risolve tutta nell’impianto visivo.
Le enormi città cingolate che ingoiano le piccole hanno un grande fascino, sia concettuale che estetico, e le sequenze di inseguimento risultano una riuscita e parossisitica versione larger than life di Mad Max. Tutto il resto, però arranca.
La storia è raccontata con freddezza e distacco, popolata di personaggi adeguati al contesto.
In un panorama del genere, l’affastellarsi di citazioni e rimandi (Star Wars e la Morte Nera su tutti) diventa meccanico e un po’ gratuito.
Quando funziona, il film lo fa solo a livello visivo, effettistico, ma anche, fino a un certo punto, registico.
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Alla fine, Macchine Mortali è una grande disfasia tra le intenzioni e il risultato.
Di fatto, la grandeur si risolve tutta nell’impianto visivo.
Le enormi città cingolate che ingoiano le piccole hanno un grande fascino, sia concettuale che estetico, e le sequenze di inseguimento risultano una riuscita e parossisitica versione larger than life di Mad Max. Tutto il resto, però arranca.
La storia è raccontata con freddezza e distacco, popolata di personaggi adeguati al contesto.
In un panorama del genere, l’affastellarsi di citazioni e rimandi (Star Wars e la Morte Nera su tutti) diventa meccanico e un po’ gratuito.
Quando funziona, il film lo fa solo a livello visivo, effettistico, ma anche, fino a un certo punto, registico.
Rimane il solito film apocalittico basato su una sorta di teoria di darwinismo urbano senza infamia e senza lode corredato dalla nascente storia d’amore tra i due protagonisti.
Con lei, bella e vendicativa, che non si fida di nessuno e che poi lentamente si apre e impara ad amare. Come nei copioni più classici e canonici.
Insomma nulla di nuovo all’orizzonte delle macchine mortali dove il mondo cambia, ma l’umanità resta sempre la stessa.
La sceneggiatura finisce per essere proprio l’elemento più debole del film, banale nelle premesse e prevedibile negli sviluppi, nonché affetta da diverse incongruenze e del tutto priva di ambizioni. Stupisce che in una pellicola meccanica quanto le macchine che la popolano, le uniche emozioni vere arrivino nelle sequenze che hanno per protagonista un essere senza cuore, metà robot e metà cadavere.
Perfetto per una serata di svago all’insegna dell’avventura, soprattutto se si è amanti del genere, ha il pregio di non essere uno young adult come molti temevano visti i due giovani protagonisti, ma se cercate un film di spessore, che utilizzi un genere cinematografico per riflettere sul presente e sul futuro, dovrete guardare altrove.
Macchine Mortali è un buon prodotto d’intrattenimento, superficiale, ma ben confezionato.
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carloalberto
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lunedì 10 agosto 2020
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favoletta computerizzata
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Film di fantascienza post apocalittico di uno sconosciuto, forse esordiente totale alla regia, Christian Rivers, ispirato alla serie Mad Max, con un budget elevato, peraltro non del tutto rientrato, servito, si immagina, soprattutto per gli effetti speciali, che almeno quelli, per fortuna, non mancano grazie alla grafica computerizzata. I toni favolistici del racconto, con un chiaro riferimento a La Bella e la bestia nell’amore, seppur paterno, dell’androide per l’eroina, i dialoghi melensi e melodrammatici che intervallano metronomicamente le scene d’azione, l’esito scontato della vicenda con i buoni che prevalgono sui cattivi e la principessa triste, sofferente per la prematura e crudele dipartita della madre, che trova, nel finale da vissero tutti felici e contenti, il suo principe azzurro, ne fanno un polpettone indigesto di una durata che appare interminabile, nonostante siano in effetti soltanto due orette di passione, forse anche per adolescenti e bambini, che oggi si divertono con videogiochi dal ritmo sicuramente più serrato.
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Film di fantascienza post apocalittico di uno sconosciuto, forse esordiente totale alla regia, Christian Rivers, ispirato alla serie Mad Max, con un budget elevato, peraltro non del tutto rientrato, servito, si immagina, soprattutto per gli effetti speciali, che almeno quelli, per fortuna, non mancano grazie alla grafica computerizzata. I toni favolistici del racconto, con un chiaro riferimento a La Bella e la bestia nell’amore, seppur paterno, dell’androide per l’eroina, i dialoghi melensi e melodrammatici che intervallano metronomicamente le scene d’azione, l’esito scontato della vicenda con i buoni che prevalgono sui cattivi e la principessa triste, sofferente per la prematura e crudele dipartita della madre, che trova, nel finale da vissero tutti felici e contenti, il suo principe azzurro, ne fanno un polpettone indigesto di una durata che appare interminabile, nonostante siano in effetti soltanto due orette di passione, forse anche per adolescenti e bambini, che oggi si divertono con videogiochi dal ritmo sicuramente più serrato. Cast tutto giovanile e di bell’aspetto, adeguato al target di pubblico che si pensava di raggiungere, vista la scrittura della storia e il tenore dei dialoghi, eccetto il maturo Hugo Weaving, già visto in film di fantascienza di maggior spessore come Matrix. Una serie di luoghi comuni farcisce, come ciliegina sulla torta, la favoletta un po’ noiosa, senza renderla più appetibile, a partire dall’androide indistruttibile, ex soldato morto resuscitato tecnologicamente e condannato a una vita robotica, personaggio ampiamente sfruttato nel cinema di genere, vedi per tutti I nuovi eroi di Emmerich del 1992, e l’aviatrice asiatica, ovviamente esperta di arti marziali, e la stessa protagonista, che sono entrambe ennesime scialbe incarnazioni del topos cinematografico, oramai logoro e stereotipato, della donna guerriera, visto e rivisto troppe volte, a cominciare da Xena nell’omonima serie TV.
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