Dallas Buyers Club |
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Un film di Jean-Marc Vallée.
Con Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner, Denis O'Hare, Steve Zahn.
continua»
Drammatico,
durata 117 min.
- USA 2013.
- Good Films
uscita giovedì 30 gennaio 2014.
MYMONETRO
Dallas Buyers Club
valutazione media:
3,50
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Dallas buyers clubdi catcarloFeedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo |
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martedì 4 febbraio 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nel momento in cui più che una malattia l’AIDS sembrava un flagello divino, Ron Woodroof si scopre sieropositivo dopo un controllo di routine: un marchio difficile da portare per uno come lui, omofobo elettricista che partecipa ai rodei, vive in un piccolo mondo dalle vedute ristrette come le sue e ha con il sesso un rapporto di puro consumo. In ospedale gli danno trenta giorni e una medicina che lo fa stare peggio: Ron decide di reagire, va in Messico alla ricerca di una cura alternativa e, quando la trova, mette su un’importazione parallela (nonché illegale) per distribuirla ad altri nelle sue condizioni attraverso il club di cui al titolo, ingegnosa trovata per aggirare il divieto di vendita diretta. Ad aiutarlo c’è soprattutto il travestito Rayon, che gli allarga a dismisura la clientela, ma presto arriva il contrasto con la rigidità della medicina ufficiale e con le case farmaceutiche: una battaglia persa, ma, prima di morire ben sette anni dopo rispetto a quando gli era stato pronosticato, Ron riuscirà a ottenere, almeno in parte, ragione. E’ curioso che, anche adesso che la malattia è stata culturalmente metabolizzata, i film sull’AIDS continuino a essere assai rari: l’argomento sembra restare tabù e anche questa sceneggiatura di Craig Borten e Melisa Wallack ha fatto una gran fatica a venire alla luce. Il progetto, nato quando Woodroof era ancora vivo, è passato per tante mani ed è stato finalmente realizzato solo grazie al contributo di McConaughey e al contenimento dei costi: solo venticinque giorni di riprese (se non altro, i due protagonisti hanno così evitato di morire d’inedia) e attrezzature ridotte al minimo. Con queste ultime, il canadese Vallée firma un dramma classico in cui si narra la parabola di redenzione di un uomo ignobile che ha il coraggio di sfidare il destino e i mulini a vento (ovvero Big Pharma), superando al contempo i propri pregiudizi mentre mette in mostra un fino a quel momento sopito spirito imprenditoriale. Come si nota, tutta una serie di classici temi del cinema statunitense che vengono però raccontati con il piede ben piantato sul pedale del freno: i patetismi sono banditi in favore di uno sguardo molto naturalistico (magari un po’ aiutato dalla carenza di mezzi) che sembra ispirarsi a certe opere di Cassavetes. Il Texas che ne esce è un postaccio, dove lo squallore degli ambienti si somma alle ristrettezze mentali di chi ci vive senza alcun desiderio di allargare l’orizzonte: solo la malattia arriva a portare un sconvolgimento tale da far cadere le barriere, ma il prezzo è venire esclusi senza pietà dal proprio ambiente. Proprio per la capacità di narrare tale sconvolgimento, la prima parte del film si rivela più interessante della seconda, dove hanno il sopravvento le disavventure del protagonista con la DEA e con la giustizia del suo Paese diminuendo in qualche modo l’intensità della pellicola anche se l’impostazione visiva rimane coerente: si veda il tristissimo ristorante in cui Ron cena con la dottoressa Saks (Jennifer Garner), l’unica esponente della medicina ‘ufficiale’ che si degni di dargli ascolto. E’ probabile che gli dia ascolto anche perché, sotto i baffoni e dietro l’aspetto pelle e ossa ottenuto perdendo circa venti chili, c’è il fascino di Matthew McConaughey, la cui prova d’attore, con incluso tour de force fisico, è il vero valore aggiunto di ‘Dallas buyers club’ che, grazie a lui, passa da lavoro discreto a pellicola da vedere: l’immedesimazione è sia fisica sia psicologica per una recitazione che, come il film, riesce a trasmettere la carica emotiva pur sforzandosi di non mostrarla in modo palese. Accanto a lui, gli altri attori danno vita a onesti ruoli di supporto (anche Garner risulta sacrificata e non è particolarmente incisiva) con la sola eccezione di Jared Leto che – dopo una pausa di cinque anni – si toglie una decina di chili per incarnare un/una Rayon molto femminile: una bella prova solo messa un po’ in ombra da quella di McConaughey che magari fa un po’ la figura di quei chitarristi abbonati all’assolo che mettono in secondo piano il resto della band ma, tutto sommato, meriterebbe proprio l’Oscar.
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