E' bello che l'Italia sia tornata sul podio di casa ed è bellissimo che uno dei maggiori festival mondiali abbia premiato un documentario, genere troppo spesso relegato ai margini della cinematografia. A parere di chi scrive tra i film in concorso c'era di meglio, tuttavia è apprezzabile il messaggio che si è voluto dare con questa incoronazione.
Molto carino, Sacro GRA, niente di eclatante, ma decisamente godibile. Un piccolo spaccato di vita ai margini della Capitale, uno sguardo quasi poetico, mai invasivo, che ci restituisce umori, sensazioni, pensieri di persone comuni che vivono giorno per giorno, come chiunque altro. Storie vere che non hanno nulla da invidiare a quelle raccontate dalle ricostruzioni filmiche, storie riprese e restituite con tutta l'arte che il grande schermo richiede, arte che Gianfranco Rosi padroneggia magistralmente fino a fare scomparire la sottile linea che separa la realtà dalla finzione.
Il regista lo accenna, la Giuria di Venezia 70 lo ha ribadito: non siate prevenuti sul genere documentaristico perché sono tante le sorprese che vi/ci riserva.
Consigliato veramente a tutti.
Deborah Ugolini
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antonio montefalcone
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lunedì 23 settembre 2013
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concordo con te! godibile film corale (1)
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Il GRA è uno spazio “sacro” ci dice Rosi con questa sua ultima pellicola: non solo perché preserva la memoria storica di Roma e le sue storie e leggende millenarie, ma anche perché cerca il sacro in un laico, pasoliniano ritratto di persone che lo abitano. Mai ripreso fisicamente eppure sempre presente, il GRA esiste, nel film come nella realtà, solo in quanto zona estrema, limite, delimitazione astratta e concreta al tempo stesso di un qualcosa di più raccolto, integrato e “regolare”: è l’immagine esatta delle vite dei personaggi che racconta e che vivono ai margini da sempre, appunto in un’allegorica «periferia esistenziale». “Sacro GRA” è un film di anime perse nella solitudine.
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Il GRA è uno spazio “sacro” ci dice Rosi con questa sua ultima pellicola: non solo perché preserva la memoria storica di Roma e le sue storie e leggende millenarie, ma anche perché cerca il sacro in un laico, pasoliniano ritratto di persone che lo abitano. Mai ripreso fisicamente eppure sempre presente, il GRA esiste, nel film come nella realtà, solo in quanto zona estrema, limite, delimitazione astratta e concreta al tempo stesso di un qualcosa di più raccolto, integrato e “regolare”: è l’immagine esatta delle vite dei personaggi che racconta e che vivono ai margini da sempre, appunto in un’allegorica «periferia esistenziale». “Sacro GRA” è un film di anime perse nella solitudine. E’ un cinema ri-trovato nella realtà, distante da ogni confine tra fiction e documentario; un cinema dello sguardo, godibile e poetico, ricco di rimandi e contrasti (il campo e il fuori campo, il definito e l’indefinito, il visto e l’immaginato). 1 - CONTINUA
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antonio montefalcone
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lunedì 23 settembre 2013
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concordo con te! godibile film corale (2)
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Interessante e ambizioso il suo sviluppo: progettato più di 10 anni fa, durato 2 anni di riprese e 8 mesi di montaggio, la pellicola affascina e coinvolge, emoziona e sorprende. Meritato il Leone d'Oro al 70° Festival di Venezia. La messa in scena si pone a metà tra l’astrazione metafisica e la concretezza più neutrale e pudica. La regia nascosta e sensibile crea connessioni straordinarie, atmosfere sospese, toni vitali; ridona stile a un montaggio dialettico di forte essenzialità e semplicità che mira all’autenticità di ciò che rappresenta. Riuscendo infine a cogliere e offrirci tutta la calda e dolce umanità dei suoi strani personaggi: oggi sempre più rara a trovarsi, emarginata e scartata dai nostri cuori, e da una società sempre più priva di morale e sentimento (ed è in fondo questa la vera e amara deriva spirituale evocata dal film, e non tanto l’anomala quotidianità dei suoi protagonisti relegati alla periferia e fuori dai sistemi sociali…).
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Interessante e ambizioso il suo sviluppo: progettato più di 10 anni fa, durato 2 anni di riprese e 8 mesi di montaggio, la pellicola affascina e coinvolge, emoziona e sorprende. Meritato il Leone d'Oro al 70° Festival di Venezia. La messa in scena si pone a metà tra l’astrazione metafisica e la concretezza più neutrale e pudica. La regia nascosta e sensibile crea connessioni straordinarie, atmosfere sospese, toni vitali; ridona stile a un montaggio dialettico di forte essenzialità e semplicità che mira all’autenticità di ciò che rappresenta. Riuscendo infine a cogliere e offrirci tutta la calda e dolce umanità dei suoi strani personaggi: oggi sempre più rara a trovarsi, emarginata e scartata dai nostri cuori, e da una società sempre più priva di morale e sentimento (ed è in fondo questa la vera e amara deriva spirituale evocata dal film, e non tanto l’anomala quotidianità dei suoi protagonisti relegati alla periferia e fuori dai sistemi sociali…). Da non perdere!
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eliver72
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sabato 28 settembre 2013
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né carne né pesce, in sintesi...niente
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Dovrei rubare una citazione di un film noto a tutti per commentare questo documentario:"Il Sacro Gra é UNA CAGATA PAZZESCA!". É un non film e un non documentario. Se fosse un nuovo genere di arte visiva (rifiuto l'aggettivo cinematografico) dategli subito un nome cosí si capisce da cosa stare alla larga. 1 ora e 40 minuti strazianti, altro che "la storia del pescatore di anguille...le transessuali che vivono in un camper ai bordi del gra...": le storie che si raccontano al cinema devono accenderti la passione, far ridere, arrabbiare, riflettere, piangere o sognare. O tutti questi sentimenti insieme. Ho letto da qualche parte un paragone tra questo documentario e il cinema di Pasolini: sicuro! come paragonare un Tavernello ad un Chateau d'Yquem.
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Dovrei rubare una citazione di un film noto a tutti per commentare questo documentario:"Il Sacro Gra é UNA CAGATA PAZZESCA!". É un non film e un non documentario. Se fosse un nuovo genere di arte visiva (rifiuto l'aggettivo cinematografico) dategli subito un nome cosí si capisce da cosa stare alla larga. 1 ora e 40 minuti strazianti, altro che "la storia del pescatore di anguille...le transessuali che vivono in un camper ai bordi del gra...": le storie che si raccontano al cinema devono accenderti la passione, far ridere, arrabbiare, riflettere, piangere o sognare. O tutti questi sentimenti insieme. Ho letto da qualche parte un paragone tra questo documentario e il cinema di Pasolini: sicuro! come paragonare un Tavernello ad un Chateau d'Yquem.
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