The Deep

Il miracolo di Gulli il sopravvissuto

Nella penuria estiva di nuove uscite cinematografiche - e con quelle in programma che spesso si rivelano deludenti - non dispiace il recupero, da dopodomani, di un film del 2012 del regista islandese Baltasar Kormákur, famoso soprattutto per Everest, produzione americana zeppa di star sulla famigerata spedizione di un gruppo di alpinisti dilettanti finita in tragedia. The Deep, di tre anni precedente,  invece girato in patria, e racconta la storia vera di Gudlaugur "Gulli" Fridthórsson, unico superstite del naufragio del peschereccio Breki al largo delle isole Vestman nel 1984: mentre i suoi cinque colleghi sono morti in pochi minuti, il giovane è riuscito a nuotare per sei ore nelle gelide acque dell'Atlantico, raggiungendo la riva sano e salvo e camminando poi a lungo sulla terra lavica prima di trovare soccorso. Tema di entrambi i lavori è la lotta per la sopravvivenza dell'uomo di fronte a una natura minacciosa, spietata e onnipotente. Ma se nel primo i protagonisti suscitano immediata antipatia per l'arroganza con cui sfidano le vertiginose cime dell'Himalaya e trasformano le scalate in un business turistico, l'umiltà, la semplicità, la mitezza di Gulli (il bravo Ólafur Darri Ólafsson) conquistano lo spettatore, nononostante il cineasta adotti uno stile antiretorico, essenziale e quasi documentaristico che ha la freddezza degli inverni nordici. All'inizio lo si vede, col suo corpo massiccio e il volto paffuto, mentre beve assieme agli amci per dimenticare la fatica del quotidiano, poco prima di prendere la via del mare. E a qualche miglia dalla costa una rete rimane incagliata sul fondo, provocando il ribaltamento dell'imbarcazione. Le scene girate sull'oceano in piena notte sono molto potenti e suggestive, e rimandano in miniatura a La tempesta perfetta di Wolfgang Petersen del 2000, mentre i paesaggi vengono ripresi in modo non convenzionale. Ma la parte più toccante è quella in cui il ragazzo resta solo tra le onde e si aggrappa strenuamente alla vita. Nella sua mente ripercorre i momenti salienti della sua comune esistenza (tecnicamente resi con filmati in 16 mm, come quelli casalinghi realizzati alla buona): ricorda la drammatica eruzione vulcanica che lo costrinse, da bambino, a fuggire coi genitori dalla sua casa, prega Dio di concedergli ancora un giorno per saldare i debiti e non lasciare nulla in sospeso. Ma soprattutto parla con i gabbiani che volteggiano sopra di lui, gli unici compagni di viaggio. Al ritorno è un fenomeno suo malgrado e un interessante cavia per i medici, che lo spediscono anche in Inghilterra e lo sottopongono a impietosi esperimenti per cercare (invano) una spiegazione: forse è stato lo spesso strato di grasso sotto la pelle a proteggerlo. Quando ritorna nella sua comunità, i compaesani lo guardano sconcertati, i figlioletti dell'amico d'infanzia che non ce l'ha fatta pensano che sia un mostro marino, una foca, un troll. "Nessuno si preoccupa veramente per quanto è successo" dice il Gulli reale nelle scene d'archivio finali. A Kormákur non occorrono troppe parole per entrare nella psicologia di un personaggio allo stesso tempo forte e fragile, vincente e vittima, sorprendente per la lucidità e razionalità con cui ha affrontato l'impossibile, ma poi tormentato dal senso di colpa del sopravvissuto.
Da La Repubblica, 16 luglio 2019


di Paola Zonca, 16 luglio 2019