linus2k
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giovedì 26 dicembre 2013
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disturbante ed affascinante
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Analusia anni 20, un torero di grande fama, Antonio Villalta, rimane gravemente ferito in una corrida e sua moglie, quasi contemporaneamente, muore dando alla luce la loro figlia, Carmen, che viene affidata alla nonna, mentre il padre, ormai paralitico, cade nelle grinfie della perfida Encarna, matrigna crudele, perversa e vanitosa.
Inzia così una serie di travagliate avventure della piccola Carmencita condannata dal fato e dalla crudele matrigna a superare una serie impressionante di disavventure tragiche.
Non c'è certo da immaginarsi la favola disneyana, ma nemmeno le trasposizioni più mature ma sempre patinate viste di recente sul grande schermo.
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Analusia anni 20, un torero di grande fama, Antonio Villalta, rimane gravemente ferito in una corrida e sua moglie, quasi contemporaneamente, muore dando alla luce la loro figlia, Carmen, che viene affidata alla nonna, mentre il padre, ormai paralitico, cade nelle grinfie della perfida Encarna, matrigna crudele, perversa e vanitosa.
Inzia così una serie di travagliate avventure della piccola Carmencita condannata dal fato e dalla crudele matrigna a superare una serie impressionante di disavventure tragiche.
Non c'è certo da immaginarsi la favola disneyana, ma nemmeno le trasposizioni più mature ma sempre patinate viste di recente sul grande schermo.
In questo caso la famosa favola dei Grimm prende davvero nuova forma, declinata in un film muto anni '20 che respira un'atmosfera gotica ed oscura, ma dal sapore nettamente spagnolo.
La storia si cala nella società andalusa, ne riflette cultura e visione della realtà: la corrida, la musica, le persone, e tutto è più che reale.
Malattia, morte, sesso: tutto in questo caso ha una corporeità netta e decisa, spesso persino disturbante. Anche i 7 nani (che in realtà sono 6) sono veri nani da spettacoli comici ambulanti, caratterizzati da debolezze e piccolezze morali.
In tutto questo emerge la figura di Encarna, bellissima e crudele matrigna, impersonificata da una meravigliosa Maribel Verdú, che si destreggia tra giochi erotici sadomaso e aspirazioni di fama da grandi copertine ed una volta ritrovatasi a dover occuparsi, suo malgrado, della piccola Carmencita, mostrerà fino a che grado di crudele violenza sa arrivare.
Dopo il grande successo di "The Artist", "Blancanieves" mostra ancora una volta come il film muto rimanga un genere non morto e sicuramente utile nel raccontare storie dall'atmosfera antica.
Personalmente devo ammettere che trovo l'esperienza spagnola nettamente più convincente di quella francese (nonostante il trionfo del secondo agli Oscar e il completo snobismo verso questo film da parte dell'Accademy). Se "The Artist" a mio avviso si trasforma presto in un mirabile esercizio di stile per imitare film passati hollywoodiani, "Blancanieves" è dotato di una propria personalità estetica e narrativa che lo rende realmente riconoscibile ed originale.
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françois morane
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lunedì 11 agosto 2014
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blancanieves, un capolavoro tra le mediocrità
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Succede che il film di Berger, racconti con una fotografia mozzafiato e una energia fatta di ellissi, di simboli, di volti e gesti di straordinaria eloquenza, non una fiaba ma un archetipo della fanciullezza gettata nel mondo e nel male. Il rimando alla fiaba dei fratelli Grimm vale in questo senso strutturale e in nient'altro. Non solo perché la storia è ambientata nel primo Novecento spagnolo, tra corride, polvere e passioni di Siviglia, ma perché ogni fiaba si frantuma per la sua natura di archetipo in cento, in mille narrazioni. Qui l'espressività di ogni fotogramma combatte insieme all'azione e all'invenzione dei gesti, dei volti. La microstoria della piccola e del suo gallo, vale almeno da sola la maggior parte dei film d'oltreoceano che tengono cartellone e programmazione televisiva 365 giorni all'anno nella colonia europea più genuflessa al made in Usa.
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Succede che il film di Berger, racconti con una fotografia mozzafiato e una energia fatta di ellissi, di simboli, di volti e gesti di straordinaria eloquenza, non una fiaba ma un archetipo della fanciullezza gettata nel mondo e nel male. Il rimando alla fiaba dei fratelli Grimm vale in questo senso strutturale e in nient'altro. Non solo perché la storia è ambientata nel primo Novecento spagnolo, tra corride, polvere e passioni di Siviglia, ma perché ogni fiaba si frantuma per la sua natura di archetipo in cento, in mille narrazioni. Qui l'espressività di ogni fotogramma combatte insieme all'azione e all'invenzione dei gesti, dei volti. La microstoria della piccola e del suo gallo, vale almeno da sola la maggior parte dei film d'oltreoceano che tengono cartellone e programmazione televisiva 365 giorni all'anno nella colonia europea più genuflessa al made in Usa. Per questo forse si leggono recensioni che dovrebbero far vergognare ogni cinefilo. La banalità non è nel ripercorrere i nodi strutturali di una fiaba (come pure ho letto da qualche parte a proposito di questa pellicola), ma nel proporre ossessivamente modi e temi che riciclano piccolezze, meschinità quotidiane od ossessioni risibili per il target dei patiti del thriller. Blancanieves ha il lirismo e l'impatto di una poesia di Garcia Lorca, col suono delle sue nacchere, con la voce tersa di chi sa dire qualcosa in modo nuovo.
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