Into Paradiso

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Un film di Paola Randi. Con Gianfelice Imparato, Saman Anthony, Peppe Servillo, Eloma Ran Janz, Gianni Ferreri.
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Commedia, durata 104 min. - Italia 2010. - Cinecittà Luce uscita venerdì 11 febbraio 2011. MYMONETRO Into Paradiso * * * - - valutazione media: 3,12 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

l'immaginazione al potere Valutazione 4 stelle su cinque

di angelo umana


Feedback: 110710 | altri commenti e recensioni di angelo umana
venerdì 11 febbraio 2011

“Io sono un ex campione sfortunato” dice lo srilankese Gayan emigrato a Napoli in cerca di una vita migliore; “Io sono un ex ricercatore precario licenziato” gli risponde il già anziano Alfonso D’Onofrio (Gianfelice Imparato). In questo breve dialogo c’è molto di tutto il film: sono gli stranieri – che si adattano a molti lavori, Gayan per esempio farà il badante e sua cugina Giacinta, che diventerà amica quasi amore di Alfonso, legge il futuro ai clienti - a star peggio in una società disastrata o simpaticamente scombiccherata come la nostra e come la regista ce la mostra, oppure gli italiani ormai fuori mercato che si adattano a espedienti per sopravvivere? Può capitare invece che si diano alla politica inchinandosi alla criminalità organizzata , del resto “un politico mangia tutto”, come Vincenzo Cacace (Peppe Servillo degli Avion Travel) oppure alla manovalanza sonnacchiosa del boss camorrista don Fefé, macchietta esilarante per la quale – si spera – la malavita non accuserà la regista di vilipendio dell’”istituzione” camorra e non la minaccerà come ha fatto con Roberto Saviano. Ognuno insomma s’arrangia, cerca una sponda, “più sponde equivalgono a più possibilità”, se proprio non si ha una “sponda secca”. Tutto questo è Into Paradiso: Paradiso è il nome del fondaco occupato promiscuamente da srilankesi e nativi napoletani, ma forse è anche il tetto della casa dove D’Onofrio e Cacace si ritrovano dopo una fuga dai malavitosi, il primo si era rivolto all’altro in cerca di lavoro o di una “sponda”. Sul tetto conoscono Gayan e la sua dolce cugina Giacinta. Gayan diventa uno dei pochi extracomunitari, rara avis, che dopo pochi giorni d’Italia vogliono tornare al proprio paese; dice “basta!” ad Alfonso che cerca di spiegargli la complessità del soprav-vivere da noi. Il film è realizzato come in un set teatrale, pieno di sonorità musicali e popolari, più voci da un mondo multiculturale, Servillo e Imparato sono impareggiabili. Il ritratto del nostro arrangiarsi richiama i recenti Qualunquemente di Albanese, Che bella giornata di Zalone e, perché no, Un’altra vita di Luchetti. Ci viene servito da Paola Randi in un piatto di sogni e fantasia, così la realtà sembra meno amara. D’Onofrio si mette i tappi nelle orecchie per seguire un mondo suo, dove diventa regista di un film, dove vede gli eventi svolgersi come in sogno. In una scena parla al telefono con Cacace e gli descrive immagini di una festa srilankese, il fantastico che contrasta con le parole del politico angosciato, minacciato da don Fefé. Da quest’aria di disperazione ma festaiola il finale ci fornisce una satira elegante e giocosa, l’immaginazione al potere: è il sermoncino che Alfonso fa a don Fefé nel covo di costui, circondato dagli scagnozzi, “a pensarci bene non la voglio più la raccomandazione, tanto tra un po’ siamo tutti morti. Siete cellule impazzite che non comunicano più tra loro, cancro da estirpare come voi tutti”. Gli spari che seguono, dove ognuno ammazza l’altro, sembrano più petardi, non una vera e propria carneficina; Alfonso scappa alla chetichella (come Gianfelice Imparato-Don Ciro nel finale di Gomorra) e Cacace legato a una sedia con le rotelle lo insegue. Sarà un’allegoria, un politico legato alla sedia?

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cannedcat domenica 13 febbraio 2011
ma sono macchiette
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Come certi attori non riescono a non uscire dal personaggio, purtroppo il dramma dei camorristi è di non poter lasciare il loro ruolo, che molte volte è puramente macchiettistico.Perciò la regista, come si dice a Napoli, li ha trattati...bene, è sottinteso.

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