Quel che resta di mio marito |
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Un film di Christopher N. Rowley.
Con Jessica Lange, Kathy Bates, Joan Allen, Tom Skerritt, Christine Baranski.
continua»
Titolo originale Bonneville.
Commedia,
durata 93 min.
- USA 2008.
- Teodora Film
uscita venerdì 17 ottobre 2008.
MYMONETRO
Quel che resta di mio marito
valutazione media:
2,74
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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On the road le amiche si riappropriano della vitadi ciccio capozziFeedback: |
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giovedì 16 aprile 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“QUEL CHE RESTA DI MIO MARITO” di CHRISTOPHER N. ROWLEY; USA, 06. Arvilla da poco vedova è costretta a portare le ceneri del marito a Santa Barbara, dove la figlia di lui, che non ha mai amato la nuova compagna, vuole dargli sepoltura. Dall’Idaho fino alla California, il viaggio è lungo: non le vengono meno nè le sue amiche di sempre, né l’auto, una vecchia ma gloriosa Cadillac Bonneville. Il film solo nel 2008 ha avuto una distribuzione in Italia. Eppure i motivi per cui può interessare sono molti: innanzitutto la splendida e caratterizzante presenza di Jessica Lang e di un terzetto di attrici di grande e maturo fascino. L’interpretazione della vedova è un misto di malinconia, di dolore accettato con dignità: ma anche di un profondo senso di continuità e di accettazione rispetto alla vita. In questo senso riesce a passare dal dramma alla commedia con grande scioltezza. Ma è una commedia di tipo “pensante”, che si apre alla considerazione dell’insieme della vita, che è fatta anche di appressamento alla morte: anche se a noi sembra lontanissima, e di fatto quasi incredibile (come dice U.Galimberti). E ciò avviene in una favola morale di amore e di amicizia che si snoda come un grande serpente animato dalle soglie della morte sulla dimensione narrativa scelta, che è quella del viaggio. Il Road Movie è un genere particolare, tipico del cinema di Hollywood. Nasce dal profondo della cultura americana, ne accompagna la crescita e addirittura la presa di coscienza e definizione della stessa identità nazionale Usa: basti pensare a Mark Twain. Non solo serve a variare i ritmi narrativi, ma permette di immettere dei cambiamenti nelle psicologie dei personaggi, come in quello dell’amica Mormone, che, grazie a degli incontri “esterni”, in situazioni e con personaggi nuovi, muterà alcuni modi di vedere un po’ troppo sul bacchettonismo. Serve a meglio precisare la psicologia, abbastanza ricca, solare e strutturata in sede di sceneggiatura, della protagonista, a rivelarne aspetti diversi: e tutto ciò grazie ai confronti tra lei e le dimensioni di reciproca e mai allontanata memoria affettiva che proprio i dialoghi effervescenti e ricchi di notazioni tra loro, fanno venire a galla nei loro rapporti di amiche. In questa visione la tensione rappresentatavi è molto intensa: grazie alla qualità delle attrici, senz’altro; ma anche della sobria e attenta regia. Più attenta, anzi, al lato recitazione che all’individuazione di originali spazi visuali. Ma d’altra parte, era molto difficile sottrarsi al fascino umano e professionale della tre protagoniste, tutte geniali, senza la minima ombra di divismo: oltre alla Lang, c’era la raffinata Joan Allen, però fin troppo concentrata sulla sua missione di madre modello: anzi compressa, con leggere ma chiare sfumature di nevrosi. Kathy Bates, pur se generosamente in soprappeso, ha un attaccamento alla vita, che la rende allegramente e quasi elegantemente sensuale, senza sforare nel grottesco o nello scialbo. La loro vicinanza all’amica è resa in chiave non edulcoratamente banale, ma in modi narrativamente dinamici: come ad esempio nella riuscita sequenza di quel gioco collettivo, liberatorio del gettarsi sul lettone come delle ragazzine, in cui prevale la pura dimensione ludica, come un ritorno, pur nella consapevole maturità, di un’allegria individuale e collettiva, molto vitale, quale solo si ha in una dimensione di felicità condivisa, grazie all’amicizia sorerna che viene da molto lontano nel tempo.
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