Roberto Nepoti
La Repubblica
Nel 1997 si affacciò sugli schermi un dimenticabilissimo (e largamente dimenticato) "Anaconda", dove un serpentone in grafica computerizzata voleva mangiarsi Jennifer Lopez e Jon Voight. Per farne il seguito, i produttori aspettavano di trovare una "buona storia": che è venuta fuori grazie alla spremitura di meningi di sei-sette sceneggiatori, ed è la seguente. Una spedizione semi- scientifica (ci sono anche avventurieri) s'inoltra nella jungla del Borneo, scegliendo accuratamente la stagione delle piogge, per trovare una rarissima orchidea dalle capacità medicinali magiche. La buona idea a lungo ricercata consiste in questo: non un solo rettile, ma un esercito di anaconda (la parola è da leggere al plurale) gonfiati agli ormoni e tignosissimi custodisce l'accesso al campo dei miracoli.
Se il soggetto è inesistente, non fanno nulla per renderlo credibile gli sconosciuti interpreti assoldati per la spedizione, scelti in base al fatto d'essere più o meno sosia di star. L'unica via di salvezza, a questo punto, era immettere una buona dose di "gore" da serie B, con effetti speciali raccapriccianti.
Niente di tutto questo. Determinati a non giocarsi la fetta più giovane del pubblico, i promotori di Anaconda: alla ricerca dell'orchidea maledetta hanno preferito serpenti meno minacciosi, realizzati con immagni di sintesi cheap che, quando spuntano fuori, fanno un po' ridere. Resta irrisolto un piccolo mistero: perché realizzare un sequel quando l'originale era già una boiata?
Da La Repubblica, 28 gennaio 2005
di Roberto Nepoti, 28 gennaio 2005